Le confessioni di un grande Lucano

Le confessioni di un grande Lucano
di Angelo Colangelo

Ho potuto leggere solo di recente il volume molto edificante “Del tempo e dell’eterno. Pagine di diario di Vincenzo Verrastro (1970-1981)”, pubblicato nel 2008 da Congedo editore, con una sintetica ma incisiva presentazione di Giampaolo D’Andrea, un’articolata e illuminante introduzione di Valeria Verrastro, una circostanziata nota biografica. Preziosi il ricco corredo fotografico e l’apparato di note a piè di pagina, che agevolano la comprensione di fatti e personaggi.
Nel libro così si delinea, con il profilo umano dell’autore, una sintesi significativa del suo impegno e del suo pensiero politico, ispirati ai valori del cattolicesimo sociale e alimentati da un autentico spirito di servizio. Come di recente ha ricordato, infatti, la figlia Valeria in un denso articolo, “Vincenzo Verrastro, politico e cristiano tra il tempo e l’eterno” (in Dialoghi, n. 1, 2023), fu questo «il tratto distintivo della sua vita, protesa tra l’impegno politico nella città degli uomini e l’anelito costante alla città di Dio».

Il bel volume mi è stato gentilmente donato della dottoressa Verrastro, che ebbi il privilegio di conoscere sedici anni fa, quando mi fu conferito il Premio intitolato al suo illustre Genitore, scomparso il 9 agosto 2004 a Potenza. Ho il rammarico di non averla più incontrata dopo di allora e in tutti questi anni ne ho solo potuto seguire da lontano il fervido lavoro intellettuale, portato avanti con serietà e senza ostentazione, per cui si è resa degna erede del prezioso lascito paterno.

Valeria Verrastro premia Angelo Colangelo

Responsabile dell’Archivio di Stato potentino, docente di Archivistica e autrice di alcune importanti pubblicazioni scientifiche, molto si è spesa e si spende per il progresso culturale e sociale della sua terra, grazie a un instancabile lavoro di ricerca e a un impegno assiduo in varie e lodevoli attività di volontariato.
La raccolta di testi del ponderoso diario, da lei curato con delicata sensibilità e rara competenza, facendosi carico con le sorelle della scelta di ampi stralci tratti da ben otto quaderni, fa tralucere un tenero e sempre vivo sentimento di affetto. L’amore filiale, comunque, non impedisce una corretta ricostruzione storica e una veridica rappresentazione degli eventi, che videro il padre protagonista in quel memorabile decennio in cui la storia regionale si snodò nel contesto per certi versi drammatico della storia italiana.

Nel breve torno di quegli anni, infatti, la Regione Basilicata si dotò dello Statuto e avviò una programmazione economica per affrontare i difficili problemi della disoccupazione e dell’emigrazione, resi ancora più complessi dal fatto che l’Italia era tormentata da una vera emergenza economica, evidenziata da una persistente crisi industriale e da una forte inflazione, da acute tensioni sociali e dal dilagante terrorismo politico, che in occasione dell’efferato delitto di Aldo Moro parve minacciare la stessa vita democratica.
Nelle pagine intense e sofferte del diario, tanto più autentico in quanto non era destinato alla pubblicazione, la personalità di Vincenzo Verrastro emerge in modo trasparente attraverso la fitta trama di pensieri, sentimenti, riflessioni, che nei rari momenti di intimità egli trascrisse, a partire da una malinconica domenica romana dell’autunno 1970, quando iniziò a registrare le speranze e le ansie, le attese e le disillusioni, le gioie e i dolori che segnarono la vita familiare e il lungo mandato presidenziale nel neonato Ente regionale lucano. Si conclude, non casualmente, con le pregnanti note che raccontano il viaggio effettuato nella primavera del 1981 in Israele.

Nato ad Avigliano, in provincia di Potenza, il 6 maggio 1919, Vito Vincenzo Verrastro ricevette fin da piccolo una profonda educazione cristiana. Fece parte dell’Azione Cattolica parrocchiale, di cui divenne presidente, e della Fuci, la Federazione degli universitari cattolici, quando a Napoli frequentò la Facoltà di lettere. Laureatosi nel 1944 con una tesi su Giovanni Pascoli, relatore il Professore Giuseppe Toffanin, insegnò per breve tempo al liceo classico “Orazio Flacco”, prima di passare all’Istituto Tecnico Commerciale di Potenza, dove dal 1949 fu preside per circa dieci anni.
Animato da un forte spirito di solidarietà, fu indotto a fondare nel paese natale una Conferenza di San Vincenzo de’ Paoli, perché urgente avvertiva la necessità di dare un aiuto concreto ai più bisognosi, particolarmente numerosi allora nei paesi lucani, dove l’endemica miseria era stata resa ancora più opprimente dagli effetti disastrosi della seconda guerra mondiale.
Lo stesso sentimento di cristiana sollecitudine lo spinge a frequentare assiduamente i contadini aviglianesi, per conoscerne da vicino i problemi e i bisogni. Non stupisce perciò che, quando viene chiamato ad amministrare la cosa pubblica, s’impegni innanzi tutto a dotare le campagne di strade, acquedotti, illuminazione elettrica per rendere più dignitose le condizioni di vita nelle campagne. Ed è sempre per spirito di solidarietà che si presta ad aiutare alcuni confinati, come Franco Venturi, Manlio Rossi-Doria e il greco Achille Cutrulli, con i quali stringe rapporti di grande amicizia.
Si può affermare, dunque, che la fede, vissuta con profondità e coerenza fin dalla tenera età e alimentata negli anni dalla lettura corroborante dei Vangeli e di Sant’Agostino, Pascal e Maritain, i suoi autori prediletti, segnò il concreto agire quotidiano di Verrastro nella vita privata e ne ispirò costantemente la condotta in ogni momento della vita pubblica, qualunque fosse l’incarico affidatogli nelle Istituzioni o nel partito.

Il suo cursus honorum, come molti sanno, era iniziato nel 1952 quando fu eletto consigliere comunale ad Avigliano, dove sette anni prima aveva fondato la locale sezione della Democrazia Cristiana su sollecitazione del vescovo Augusto Bertazzoni, che era riuscito a vincerne l’iniziale riluttanza ad entrare in politica. In quegli anni fu pure Consigliere della Provincia di Potenza, di cui diventò Presidente nel 1958 per la prima volta.
Eletto senatore nel 1968, si dimise due anni dopo, perché con l’istituzione delle Regioni a statuto ordinario fu sollecitato a proporsi alla guida della Regione Basilicata da Emilio Colombo, il quale non a torto era convinto che nella fase di avvio il governo regionale dovesse essere affidato a persone esperte e competenti. Ma a convincerlo a rinunciare al seggio senatoriale risultò ancora una volta decisivo l’intervento del vescovo Augusto Bertazzoni (Polesine, 1876, – Potenza, 1972), diventato un luminoso punto di riferimento spirituale per Verrastro, il quale lo considerava «un uomo santo che vive di Dio e che fa sentire Dio al suo contatto» (28 novembre 1971).

Nella prima legislatura regionale, giova ricordare en passant, fu eletto Presidente dell’Assemblea un altro leader della Democrazia Cristiana lucana, l’avvocato stiglianese Salvatore Peragine. Era stato, pur egli, Presidente dell’Amministrazione Provinciale, naturalmente di Matera, e nel corso dei suoi due mandati era riuscito nella difficile impresa di dotare Stigliano e i paesi dell’alta montagna materana di un’opera salvifica qual era l’ospedale civile. Uno dei vicepresidenti nella prima legislatura regionale fu invece Michele Cascino, un altro stiglianese, che sarebbe divenuto esponente di spicco del Psi a livello nazionale e che va ricordato, fra l’altro, per avere fortemente contribuito alla nascita del Centro di Geodesia Spaziale a Matera.

Dietro Verrastro, 3° da sx, Peragine e Cascino

Verrastro fu rieletto in Consiglio Regionale nel 1975 e nel 1980, quando non portò a termine la legislatura e compì un atto, che può apparire incredibile a chi assiste al triste spettacolo che da alcuni anni ormai offre la fauna politica regionale e nazionale. Nel marzo 1982, infatti, decise di lasciare volontariamente l’incarico, perché il clima politico si era deteriorato e la maggioranza era logorata dai dissidi interni del suo partito e dagli estenuanti tatticismi dei partiti alleati. Poiché mancavano le condizioni per operare positivamente, si dimise, ritenendo che conservare la carica senza dignità sarebbe stato come tradire se stesso, le istituzioni e l’intera comunità lucana.

Il Presidente in quel frangente sperimentò, ancora una volta, che la lotta politica era sempre meno animata da nobili ideali e sempre più pervasa da ambizioni smodate. Già in passato gli era capitato di essere sopraffatto dallo sconforto, quando, allungando lo sguardo oltre l’angusto cortile della politica, aveva dovuto prendere atto di spiacevoli situazioni ed era stato spinto a chiedersi, perplesso e allarmato: «Che fiducia si può avere in una società scardinata nei valori morali, in cui i pubblici poteri sono indecisi, impacciati, tardivi, molte volte impotenti a tener dietro ai tanti, impetuosi problemi di un popolo affamato di giustizia ed angosciato dinanzi a fatti che di giustizia non hanno nulla? In una società in cui sempre più il diritto è dei più forti, dei più spregiudicati e violenti?» (23 febbraio 1975).

Troppo di frequente, insomma, comportamenti improntati a tracotanza, invidia, spregiudicatezza avevano avvalorato l’idea concepita dagli antichi greci, i quali, come osserva un insigne grecista lucano, non considerano il Potere «ottimisticamente quasi ludus provvidente di Dio o dell’uomo, ma valutano «ogni forma di potere divino o umano nel suo aspetto tragico, come violenza, come hybris, come phthonos, come tolma». (Vincenzo Cilento, “Il potere sofferto”, in “Il problema del potere politico”, Brescia, Morcelliana, 1964).
Epperò, Verrastro, pur essendo consapevole dei mali prodotti da tanta cattiva politica, non rinuncia ai valori in lui radicati e ribadisce con fermezza che «La vita politica ha le sue esigenze morali e, per quanto sia difficile sostenerle, si ha il dovere di difenderle. Battersi per una politica onesta, per un uso lecito del potere, per un’azione dignitosa dell’uomo politico nella società, è un dovere per chi, in politica, vuole ancora rimanere da cristiano» (30 luglio 1973).

Da quanto si è fin qui detto è agevole intuire come sia impossibile attingere nel prezioso e inesauribile scrigno diaristico di Verrastro tutte le perle di pensieri e sentimenti, che, fra loro inscindibili, investono la dimensione familiare, politica, religiosa, spirituale della vita. Ed è azzardato pensare di proporne una rappresentazione esaustiva. Nella consapevolezza di ciò, giova darne solo un piccolo segno, riportando tre ampi stralci di una pagina meravigliosa, che assume quasi valore emblematico, perché offre in una stupenda sintesi una varia gamma di momenti, emozioni, stati d’animo di grande significato.

La pagina, risalente al 31 luglio 1974, inizia con una annotazione intrisa di tristezza e sconforto: «Questa sera sono molto stanco e preoccupato. Le cose della Regione non vanno bene: la prepotenza dei sindacati e la slealtà delle forze politiche, le scorrettezze di compagni di viaggio nella stessa compagine politica, l’intrigo, la malevolenza e l’affarismo sono fatti che scoraggiano a durare in questa inaudita quanto inutile battaglia contro il precipizio».
Subito dopo, quasi a vincere il senso di amarezza e di frustrazione, che lo tormentano come uomo prima ancora che come politico, l’autore dice di cercare rifugio nella lettura e con un sentimento misto di trepida commozione e di nostalgico rimpianto scrive: «Sto leggendo un profilo di De Gasperi, uomo cristiano. È affascinante! Come vorrei riprodurlo, nel piccolo, quell’esempio luminoso! Ma a quei tempi la politica era ancora suscettibile di interiorità e di idealità. Oggi, in questo deserto delle anime, quei fiori non spuntano più e tutto è aridità fisica e morale».

Ma, evidentemente, neppure la sublime lezione dello statista trentino è bastevole a restituirgli la forza di perseverare nella difficile opera di governo. A questo punto confessa di cercare conforto nella preghiera e così chiude la lunga e dolorosa annotazione, che travalica la mera sfera politica: «O Dio, sulle miserie di questa febbrile attività, divenuta quasi un rovello che consuma ed annienta le realtà che irrompono e passano su questa scena spesso allucinante, stendi il velo della tua misericordia. A me, che aspiro ancora a rendere utile e valida la mia vita tra gli uomini, addita, per le tue vie, quello che debbo fare. Per essere più padre di quanto sono stato finora, per essere più uomo nella società e più cristiano tra i miei fratelli».
Dai brevi stralci citati si evince in maniera evidente che le riflessioni che il Presidente Verrastro consegna al suo diario, benché siano in prevalenza attinenti alla sfera politica, purtuttavia rimandano alla sua personale Weltanschauung, riflettono cioè la sua concezione del mondo. Nelle oltre 350 pagine del diario, perciò, ci s’imbatte spesso in profonde meditazioni, che offrono al lettore occasioni importanti per interrogarsi sul senso della vita individuale e collettiva.

Allontanatosi dalla politica attiva, Verrastro si dedicò con rinnovato vigore all’attività culturale, che mai aveva abbandonato del tutto negli anni faticosi dell’impegno politico. Tale merito, peraltro, è riconosciuto dallo storico comunista materano Raffale Giura Longo, il quale scrive che egli «tra tutti i democristiani lucani è stato certamente quello che più di ogni altro ha espresso una politica culturale».
Verrastro collaborò per alcuni anni più vivamente alle attività della Deputazione di Storia Patria lucana, che egli aveva contribuito a fondare, diventandone dal 1972 Presidente. L’alta considerazione che aveva per la cultura è infine simbolicamente racchiusa in un dettaglio molto eloquente: a riprova del fatto che si era battuto con convinzione per la nascita dell’Università in Basilicata, confidando che essa avrebbe potuto svolgere un ruolo rilevante nella crescita della comunità lucana, concluse il suo terzo mandato presidenziale con la firma dell’atto ufficiale dell’istituzione dell’Ateneo lucano.

Pare superfluo, a questo punto, aggiungere che questo nostro scritto, nato in modo del tutto occasionale dopo la lettura del diario del Presidente, non ha nessuna pretesa di aggiungere alcunché di nuovo intorno alla figura di Vincenzo Verrastro. Ha solo un duplice scopo: rendere omaggio alla memoria di una persona che ha un posto di rilievo nella storia della Lucania-Basilicata per la sua eccelsa statura umana, politica, spirituale ed esprimere l’esigenza di recuperare i valori e gli ideali, che ne ispirarono il pensiero e l’azione.

Verrastro, Del Tempo e dell’eterno, il libro di Valeria Verrastro

La testimonianza esemplare di Verrastro, infatti, dimostra che una vera rigenerazione politica può avvenire solo se si realizza un vero rinnovamento etico, culturale e spirituale. Sono queste le condizioni necessarie per salvare la nostra regione da un inquietante declino, che oggi a molti appare irreversibile per l’insipienza di un ceto politico sempre meno responsabile e credibile e di una società civile sempre più distratta e rassegnata.

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