La vita è per-donare

di Angelo Colangelo.

La vita, si sa, è un grumo più o meno denso di fatti, talvolta voluti e più spesso subiti, che si succedono ininterrottamente e che, giorno dopo giorno, plasmano nel bene e nel male le nostre esistenze. Ciò accade, in maniera silente o eclatante, anche grazie ai nostri incontri, casuali o provvidenziali che siano. Ne ho avuto recentemente un’ultima prova, non necessaria ma significativa.
Ecco, in breve, la storia, che fin da subito si prefigura con i contorni di una favola. Mio figlio Michele prende servizio l’1 settembre scorso all’Istituto “Spallanzani” di Castelfranco Emilia per l’insegnamento di Economia Aziendale e apprende, con grande sorpresa e una certa contrarietà, che gli sono state assegnate anche delle classi nella sede coordinata di Montombraro. Messa a fuoco la situazione, dopo una fase iniziale di disorientamento, realizza che, data la distanza da Parma per cui occorre circa un’ora e mezzo di macchina, è giocoforza trovare una sistemazione in loco. Decide allora di prendere in affitto un monolocale e dopo una breve ricerca su internet opta per la mansarda di una villetta che si trova in prossimità della scuola.
A metà settembre, nel pomeriggio di una calda domenica ancora estiva, si va a prendere possesso della casa e si sperimentano da subito la gentilezza e la cordialità dei proprietari, Davide Pellegrini e Rita Zironi. Sono bolognesi: lui è avvocato, di lei si dirà fra poco. Assenti figli e nipoti, ci viene presentato il resto della famiglia, vale a dire sei cani, due o tre gatti e un pennuto, con i quali mi auguro di poter un giorno familiarizzare e di memorizzarne i nomi. Intanto, agli onori di casa provvede Argo, un tenero setter tredicenne, che, saldamente convinto della bontà degli umani, non ha alcuna esitazione a fare una festosa accoglienza ai nuovi ospiti. Trascorrono così un po’ di giorni e tutto procede tranquillamente.

Argo e Nicola

Ma ecco che, d’un tratto, la storia, appena iniziata, ha un sussulto. Inatteso, domenica scorsa, mi ritrovo tra le mani un aureo libretto pubblicato una decina di anni fa, il cui ricavato fu devoluto in beneficenza. Il titolo, scarnificato ma pieno di senso, è “Per-donare”. L’autrice è Rita Zironi, naturopata, e, come si legge nel risvolto di copertina, anche regista e coreografa. Ma, quel che più conta, sostenitrice e madrina dell’A.N.T., Fondazione Nazionale Tumori, nonché Presidente dell’Associazione “Novanta”, che tramite il sostegno allo sport dilettantistico promuove assiduamente varie e importanti attività sociali.
Nella luminosa presentazione del libro Madre M. Nazarena Di Paolo, che vive a L’Aquila, definisce l’autrice «una donna travolgente, dalle mille idee e iniziative, capace di seminare speranza nei solchi della vita umana». E non manca di ricordare la loro assidua frequentazione, che, ne ha cementato la collaborazione e l’amicizia e ha consentito di progettare tante opere di bene, come, ad esempio, una piscina terapeutica in Bolivia. Fra i tanti incontri memorabile per molte ragioni è, però, quello avvenuto «nella stupenda e nuova villa a Montombraro di Zocca, la terra di montagna dei suoi ricordi d’infanzia, luogo in cui per allargare le ali del bene, [Rita Zironi] si è inserita nel Consiglio Comunale di Zocca». Accadde in un fine settimana, quando, annota la religiosa, «restammo fino a tarda notte, per parlare di valori da coltivare nella nostra terra italiana».
Sono, queste della suora abruzzese, parole dettate solo da un sentimento di sincera stima e di grande affetto per l’amica emiliana? E risentono forse di un tono encomiastico che non sfugge a una sorta di eccessiva, seppure inconsapevole, retorica? Le domande, pur legittime, non possono che avere risposte negative, se si guarda alle opere che Rita Zironi, grazie alle sue capacità progettuali e a un entusiasmo contagioso, è riuscita a realizzare adoprandosi nel campo del volontariato: l’apertura di un ambulatorio a Castelletto, l’acquisto di importanti strumenti medicali per l’ospedale San Marino di Bentivoglio, la raccolta mirata di fondi a sostegno dei più disagiati, che negli ultimi tempi sono sempre più numerosi anche in una regione solida economicamente.
Non è difficile, inoltre, constatare che i progetti della Zironi, testimone coerente e concreta dei principi evangelici nella prassi quotidiana, sono sempre sostenuti e illuminati da una grande fede e da quei profondi valori, che l’hanno spinta fra l’altro a tornare a vivere nel paese dell’infanzia. Tale decisione, infatti, è stata determinata dal desiderio di conservare una dimensione e uno stile di vita, che in città rischiava di smarrire del tutto e che è possibile mantenere a Montombraro.
Qui, si ricorda nel libro, è possibile incontrare personaggi di ogni tipo, «dal più simpatico al più burbero, dal più povero al signorotto, dal più estroso all’eremita, ma tutti con un minimo comune denominatore: il rispetto per la persona, la dignità dell’uomo e la solidarietà per il prossimo. Nel bene e nel male gli ideali abitano ancora nel loro cuore e il sapore della vita si avverte in abbondanza».

Così, confessa ancora l’autrice, «ancora una volta la natura, il sole, il mondo si mettono al mio servizio e ciò grazie a colui che ha creato il tutto. Volgo così lo sguardo alla mia destra e vedo la torretta del paese che ospita un magnifico crocefisso […] che s’illumina la sera fino all’alba per accompagnarti nel tuo viaggio di ritorno e ti veglia durante la notte».
Alla fine di questa breve storia rimane fermo un punto di domanda, che mi assilla ed inquieta: “Perché nel mondo sono così rare le persone positive e propositive come Rita Zironi, mentre innumerevoli sono i testimoni dell’indifferenza, dell’egoismo, del cinismo?”. Non so dare una risposta, ma sono convinto che, non ostante tutto, è doveroso sperare e operare per il bene comune. Non può prevalere l’idea hobbesiana dell’Homo homini lupus, per cui a determinare le azioni e la vita degli uomini sarebbe solo l’istinto della sopravvivenza e della sopraffazione. È vero, invece, che Il bene lo si può fare. Anzi, lo si deve fare.

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