Stigliano, ultimo atto?

Stigliano, ultimo atto? – di Angelo Colangelo

Giornata dei lucani nel mondo

Sono trascorsi tre lustri ormai da quando sono andato via dal mio piccolo paese lucano, che è rimasto nel limbo dell’anonimato, anche se può menar vanto di essere stato capoluogo della Basilicata nel 1643 e, già prima, nel 1528, pur in un contesto amministrativo e geografico diverso.
L’ho lasciato per la “petite capitale” del minuscolo ma glorioso ducato della mitica Maria Luigia d’Austria. Così, da quindici anni sono domiciliato a Parma, ma residente a Stigliano, per un’estrema forma di resilienza, propria di chi si ostina a restare abbarbicato a una realtà sempre più volatile e sfuggente.
Sono in effetti un emigrato anomalo, in quanto, al contrario di chi un giorno partì per cercare un lavoro e un futuro lontano da casa, io sono andato via in età avanzata, appena ho smesso di lavorare. Una volta si diceva che si parte per vivere e si resta per morire. Oggi quelle regole sono saltate. Io appartengo, perciò, a una nuova schiera di migranti, che da qualche anno è diventata sempre più numerosa: ne fanno parte gli anziani i quali non hanno avuto la sorte di restare, perché sono stati spinti a raggiungere i figli disseminati per l’Italia.
Ogni anno, comunque, sono tornato a Stigliano, prima più spesso, poi almeno durante l’estate. Quando sono al paese, mi piace ripercorrere di tanto in tanto gli angusti vicoli, che mi sono familiari da sempre e che custodiscono tanti ricordi della mia vita.

Mi aggiro senza meta fra case linde e ben tenute anche se vuote, che sembrano provare commiserazione per altre case vicine, pur esse abbandonate, ma ridotte a scheletri malfermi dalle occhiaie vuote e paurose. Qua e là, sulle soglie o nelle crepe dei muri, invadenti ciuffi di erba e solitari fiori selvatici hanno avuto l’ardire di affacciarsi da soli alla vita e sono sbocciati con rara improntitudine.
Camminando, vivo visioni oniriche in un silenzio irreale. Da qualche dove mi raggiungono languide voci che implorano aiuto. Mi fermo. Con un po’ di fatica mi accorgo alla fine che sono le voci di dentro. Emettono nenie pietose per un paese agonizzante.
Davanti a una porta sgangherata e tenuta chiusa da una enorme catenaccio e da un grosso lucchetto arrugginiti un magro cane randagio sonnecchia in un ritaglio d’ombra. Solleva appena la testa non appena avverte la mia presenza. Dopo avermi guardato con i suoi occhi buoni, si stiracchia un attimo e riprende placidamente a dormire. Sono colpito dal suo sguardo docile e remissivo. Per un istante penso che mi piacerebbe metterlo nello stemma del comune di Stigliano al posto del nobile cavaliere che, impettito e baldanzoso sul cavallo marrone, con la sua lunga lancia sembra pronto ad affrontare improbabili battaglie.
Scaccio subito questa idea bizzarra, ad evitare accuse di vilipendio alla sacralità della storia. Ma insisto nell’immaginare che l’aspetto di quel cane stanco e rassegnato meglio si addica a rappresentare oggi la condizione del mio paese spaesato. Una comunità che appare sempre più avvilita e sfiduciata, benché non manchino certo ammirevoli quanto sterili sussulti di reazione al disfacimento in atto.


Pian piano mi libero, proseguendo il cammino, delle mie allucinazioni. Finalmente riesco a riprendere coscienza di me. Mi soffermo, allora, a riflettere che non vi è in tutta la Lucania-Basilicata persona che da almeno trent’anni non continui a porsi ossessivamente la stessa sconsolante domanda sulla triste sorte dei nostri paesi montani. Senza trovare valide risposte. Molti sono ormai rassegnati a una decadenza iniziata da tempo, che non si riesce ad arrestare. Alcuni temono perfino l’estinzione, che pare loro quasi ineluttabile.

*****

Si può ritenere che l’inizio della fine risalga a quarant’anni fa. Dopo l’estemporaneo e illusorio dinamismo degli anni Ottanta, suscitato dalla disponibilità dei fondi del terremoto, Stigliano, come tutti i paesi interni, visse un altro periodo di forte criticità. La conseguenza fu che a partire dai primi anni Novanta una nuova e imponente ondata migratoria ne ridimensionò la popolazione, ridottasi alla fine a meno di 4000 abitanti.
In quegli anni diventò rilevante l’esodo di giovani che, partiti per frequentare le Università nelle città del centro e del Nord dell’Italia, non avrebbero più fatto ritorno, se non per brevi periodi dell’anno. Sotto tale aspetto Stigliano si rivelava in linea con i parametri di una regione, in cui solo il 25% degli studenti s’iscriveva all’Università di Basilicata. Non sorprende, pertanto, che nel 2013 si siano laureati fuori della regione ben 2970 giovani lucani, che, per mancanza di concrete prospettive di lavoro in Basilicata, hanno costruito altrove il loro progetto di vita. Sparsi per le città del Nord dell’Italia e per l’Europa. Magari anche in Cina o in Australia, o chissà dove.
Prescindendo dall’esperienza strettamente familiare, ne posso dare un’altra personale testimonianza, che assume il valore dell’esemplarità. Tra il 1997 e il 2000 a Stigliano ho insegnato in una classe meravigliosa, una “ciurma” affiatata di ventitré alunni. Mi pare che, tranne quattro, siano andati tutti via dopo aver completato gli studi superiori. Nessuno è tornato e ora spendono i loro talenti a Chiusi o a Milano, a Parma, a Firenze e perfino in Germania. Sorte analoga è toccata alla quasi totalità dei miei ex alunni, che ho avuto la fortuna di avere a Stigliano e ad Aliano.


Non stupisce, pertanto, che sul finire del secondo millennio si sia consolidato anche per la comunità stiglianese, come per tutti i paesi appenninici, il fenomeno di una «grandiosa dilatazione antropologica». Iniziato oltre un secolo prima, esso ha fatto sì che, mentre la comunità di origine si ridimensionava massicciamente, altre comunità “stiglianesi” si sono andate formando lontano da Stigliano, in Italia e all’estero.
Eppure, raffrontando i dati dell’emigrazione nel primo decennio del secolo passato con quelli degli anni ’50/’60 e di fine millennio, può essere interessante notare come emergano tra loro alcune differenze sostanziali, che meritano una riflessione.


Io ho preso in considerazione solo i due paesi, cui sono più legato, ma in effetti essi rappresentano emblematicamente la realtà di tutti i paesi della catena appenninica, dal profondo Nord fino all’estremo Sud. Ebbene, sia a Stigliano che ad Aliano, nel primo decennio del secolo passato, a dispetto del forte esodo migratorio verso l’America, la popolazione crebbe rispettivamente di 71 e 60 unità, passando nel primo caso da 6934 a 7005 abitanti, nel secondo da 1537 a 1597.
Se in questi due centri della montagna materana si prendono, invece, in considerazione i due decenni 1961-1971 e 2001-2011, si registra un forte decremento demografico, che non si mai fermato. Stigliano perse 1771 abitanti tra il 1961 e il 1971 e 931 fra il 2001 e il 2011; Aliano ne perse negli stessi periodi di riferimento 364 e 202.
Ma. ancor più di questi dati, sono tragicamente eloquenti i dati che si riferiscono alla popolazione scolastica delle scuole dell’obbligo, che rischiano di scomparire nel giro di qualche anno. A Stigliano la scuola elementare, che venti anni fa poteva contare addirittura su due plessi distinti, ora ha complessivamente cinque classi. La scuola media, a sua volta, ha visto ridursi i suoi quattro corsi a sole tre classi, neppure troppo numerose. Nella scuola media di Aliano, che aveva trenta anni fa due corsi con un centinaio di alunni, opera già una pluriclasse per meno di venti alunni. Anche a causa di una denatalità, quale mai si è vista in passato.
Sono numeri terrificanti, che avvalorano l’idea di una morte annunciata per tutti i paesi di montagna. A scacciare tale incubo non bastano la buona volontà e l’impegno, apprezzabili e meritori ma pur sempre velleitari, dei singoli, siano essi semplici cittadini, amministratori locali o componenti delle varie associazioni socio-culturali.
Essendo, dunque, il problema dello spopolamento delle aree interne molto complesso, e per di più un fenomeno non circoscritto, la sua non facile soluzione è legata all’unità di intenti e a una condivisa strategia di amministrazioni locali e Istituzioni Regionali. Ma non basta. Essa è affidata anche alla possibilità che si attui una rivoluzione culturale capace di determinare in Italia e in Europa una nuova visione sociale, economica ed etica fondata su un nuovo Umanesimo.
Di tutto ciò non mi sembra al momento di scorgere segnali incoraggianti all’orizzonte.

Parma, 22 maggio 2021
Giornata dei lucani nel mondo

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