Piazza Zanardelli racconta

«Mi vedi vuota e spoglia, quasi insignificante. Certo sono stata trascurata da tutti. Hanno voluto sempre preferire le due piazze vicine. Non ho mai ospitato comizi elettorali o manifestazioni canore. Per qualche tempo, come ricorderai, mi fu tolta anche l’aria per respirare. Fui soffocata dal cemento, perché si volle costruire un repellente mercato coperto. Abbattuto, per fortuna, qualche anno dopo, perché ogni tanto la Giustizia riesce anche a trionfare. Ora mi limito a donare il mio spazio, solo per brevi periodi dell’anno, a qualche anziano in cerca dell’ultimo sole e a pochi bambini che si rincorrono gioiosi sotto lo sguardo amorevole delle mamme o dei nonni. Ma tu sai che anch’io ho annusato il profumo della storia stiglianese e ho vissuto un momento di gloria. Il mio nome lo dovrebbe far sospettare. Si potrebbe dire nomen omen, anche se sono convinta che il nome spesso non vuol dir nulla. In ogni caso non è tutto.

Io comunque mi ritengo fortunata, se penso alla triste sorte toccata alla centralissima via che è alle mie spalle. Si è dovuta rassegnare a subire il nome di Enrico Cialdini, il famigerato responsabile della feroce repressione dei briganti. Lo stesso che il 14 agosto 1861 aveva ordinato che di Pontelandolfo e Casalduni, due piccoli paesi in provincia di Benevento, non rimanesse traccia. Provocando un massacro mostruoso, con circa mille vittime innocenti.

Insomma, non voglio tirarla per le lunghe. Sono contenta che il mio nome sia legato a un evento positivo della comunità stiglianese e ad una personalità assolutamente rispettabile nel Panteon della politica nazionale. Su questo aspetto avrò poi modo di chiarire e approfondire, se avrai la bontà di ascoltarmi. Intanto, però, lasciami dire in tutta franchezza che non credo di meritarmi il tuo disinteresse. Mi passi davanti di frequente e quasi sempre non mi degni neppure di uno sguardo distratto. E’ vero, non ho con te il legame viscerale che può vantare la Villa. Neppure sono per te uno scrigno di ricordi come la Chiazza. Ma, se hai la bontà di ascoltarmi, ti renderai conto che qualcosa d’interessante posso raccontartela anch’io».

Beh, forse Piazza Zanardelli non ha tutti i torti a lamentarsi del mio atteggiamento distratto. Per questo non fa fatica, stasera, a convincermi a sostare, perché voglio farmi perdonare. Per un po’ resto, del tutto solo, in estatica contemplazione della bella e suggestiva facciata in stile bugnato del Convento. Rabbrividisco al pensiero che, circa sessant’anni fa, rischiò di essere polverizzata da uomini improvvidi. Fu risparmiata miracolosamente. Purtroppo, non riuscì a salvarsi l’interno dell’antica chiesa da un insano e devastante progetto di ammodernamento.

Stigliano, Santa Maria La Nova (Convento di S. Antonio)
Stigliano, Santa Maria La Nova (Convento di S. Antonio)

Ora, a distanza di centotrenta anni, la facciata della storica chiesa di Santa Maria la Nova non nasconde le rughe del Tempo, ma neppure lamenta la fatica di vivere. Come il campanile, più giovane di lei di circa mezzo secolo. Anzi, il Convento, così chiamato affettuosamente dagli stiglianesi, che per molti decenni fu custode della vita cenobitica dei Frati Minori Osservanti, diventa oggi l’icona della volontà di sopravvivenza di una comunità che pare in via di disfacimento. E il suo bel Crocifisso ligneo, realizzato forse da Giovanni Francesco Pintorno, figlio di un ebanista siciliano, che divenne poi Fra’ Umile da Petralia nel 1623, è invocato perché compia un secondo grandioso miracolo. Dopo essere stata liberata dalla terribile peste del 1656, Stigliano implora infatti di essere salvata dalla lebbra rovinosa delle frane e dell’emigrazione, che ne minacciano la scomparsa definitiva.

Per un pò di tempo, la Piazza rispetta in religioso silenzio le mie confuse e divaganti considerazioni. Poi decide di porre fine alla mia scorribanda di ricordi e pensieri, chiedendomi se ho davvero voglia di ascoltarla. Capisco che è ansiosa di raccontarmi di sé. O almeno è desiderosa di ricordare l’occasione storica che diede origine al suo nome, di cui è visibilmente fiera. Mi metto in ascolto con grande curiosità.

«Ti sembrerò esagerata, ma per me è come se davvero il tempo si fosse fermato a 116 anni fa. Voglio dire che quell’inizio di autunno resterà una giornata unica e indimenticabile. Mai vista una cosa del genere, né prima né dopo quel 21 settembre. Mai ero stata così stracolma di gente, in trepidante attesa. Accolsi, confusa ed emozionata, giovani e anziani, donne e bambini, pastori e contadini, artigiani e commercianti, chierici e galantuomini. C’era tutto il paese a incontrare e acclamare, entusiasta, il Santo Laico Pellegrino. L’uomo che avrebbe dovuto liberare Stigliano e gli altri paesi della Basilicata dalla malaria, dall’isolamento, dalla emigrazione. Ero stupefatta. Nei giorni precedenti mi avevano esageratamente imbellettata, agghindandomi con festoni variopinti. Io, sempre dimessa e disadorna, quella mattina del 21 settembre mi ritrovai inaspettatamente pavesata a festa per una serata di gran gala in onore di un ospite d’eccezione. Mi guardai intorno e vidi le mura coperte di scritte inneggianti al Sottosegretario Roberto Talamo, al deputato Pietro Lacava, al Consigliere Provinciale Nicola Salomone. La facciata del Comune era addirittura illuminata con policromi palloncini e su di essa campeggiava la scritta “Viva Zanardelli”.

G. Zanardelli, da Corleto a Stigliano
G. Zanardelli, da Corleto a Stigliano

Da Corleto Perticara, dopo sei ore di viaggio estenuante, arrivò finalmente il corteo presidenziale. L’entusiasmo della marea umana, che a stento riuscivo a contenere, arrivò alle stelle. Decine di ragazze, vestite col costume tradizionale stiglianese, non riuscivano a nascondere la loro emozione, mentre tutto intorno crescevano le grida inneggianti al “Grande Protettore della Basilicata”, mescolate al suono della banda. Ma nell’assordante frastuono le note della marcia reale, eseguita con commovente applicazione dai musicisti, erano coperte dallo scoppio ininterrotto dei mortaretti.

Vidi passare una prima volta le carrozze dirette al Palazzo Formica. Dopo qualche ora rividi il corteo presidenziale, mentre a piedi raggiungeva la Casa Municipale per l’incontro ufficiale con le autorità. Anch’io riuscii a trattenere a stento la commozione, quando riconobbi l’austera figura del Presidente, che, imbarazzato, ripetutamente si affacciò al balcone del Sindaco, per rispondere ai saluti della folla plaudente.

Lo vidi per l’ultima volta mentre rientrava al Palazzo dei baroni Formica, vicino al Castello, dove sarebbe stato ospitato fino all’indomani. Feci fatica ad addormentarmi. Mi tenevano sveglia i capannelli delle persone, che commentavano la memorabile giornata. Alcuni avevano avuto il privilegio di presenziare ai brindisi ufficiali. Ricordavano a memoria e ripetevano di continuo le parole con cui il Sindaco Biagio De Chiara aveva accolto l’illustre ospite: “Voi non dimenticherete certamente la nostra miseria, i nostri sentieri alpestri, le nostre campagne brulle e deserte, le nostre montagne che franano, i nostri fiumi che straripano e ingoiano vittime e saprete provvedere come sapranno ispirarvi il vostro senso di statista, il vostro cuore di italiano e di patriota”. Se le ripeterono non so quante volte, quelle parole, alternandole ai messaggi delle altre autorità. Finalmente, a notte inoltrata, rimasi sola e riuscii a prendere sonno. Contenta e orgogliosa che il giorno dopo il Presidente, prima di partire per Craco, avrebbe incontrato le maestranze e gli operai del pastificio “Galante”, un vero gioiello della imprenditoria stiglianese».

Stigliano, Piazza G. Zanardelli
Stigliano, Piazza G. Zanardelli

La Piazza pone fine alla sua narrazione. E’ tardi, ma resto immobile. Molti pensieri mi ronzano fastidiosi nella mente. Penso alla triste realtà che l’anziano Presidente dové toccare con mano nel suo lungo e disagevole viaggio per le contrade lucane. La desolazione dei luoghi, la sofferenza incisa nei volti dei ragazzi, la miseria scolpita nei corpi delle donne deturpati dai gozzi e deformati dalle pesanti fatiche cui erano costrette a sottoporsi fin dai primi anni di vita.

Rammento con ammirazione che Zanardelli, tornato a Roma, non mancò di tener fede agli impegni assunti. Fu presto presentato alla Camera dei Deputati un disegno di legge per i “Provvedimenti a favore della provincia di Basilicata”. Contemplava misure importanti per il miglioramento agricolo, i rimboschimenti, la sistemazione idraulica, il consolidamento delle frane, la costruzione di strade, le agevolazioni tributarie. Il progetto diventò legge nel marzo 1904. Ebbe quella “legge speciale” effetti limitati per molte ragioni. L’uomo che l’aveva fortemente voluta non ebbe neppure il tempo di vederla approvata. Un male feroce se l’era portato via, pochi mesi prima, il giorno dopo Natale.

Dopo lo storico viaggio dell’illustre giurista e statista bresciano venne la guerra. Poi il fascismo, poi ancora la guerra. Più distruttiva, se possibile, della precedente. Iniziò, Dio sa come, la ricostruzione. Videro la luce riforme a lungo sospirate. Non produssero gli effetti sperati. Né la cosiddetta Riforma Agraria, né i piani di industrializzazione per il Sud. Arrivarono infine tra noi, e siamo ai nostri giorni, i predatori dell’oro nero. Un’altra valanga di sogni infranti per la Basilicata-Lucania. Che continua ad essere, oggi più di ieri, una terra amara. Circuita, subornata, tradita, violentata. Un piemontese, che le volle bene, la ritenne “una terra senza peccato e senza redenzione”. Noi, che l’amiamo, constatiamo con infinita pena che è anche e da troppo tempo una terra di fughe senza ritorni.

Mi alzo finalmente e mi allontano con la mente in subbuglio. Spero che la Piazza, addormentata, non abbia percepito i miei tristi infausti pensieri. Mi auguro che almeno lei conservi la forza di attendere un’alba di speranza.

Angelo Colangelo

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