Nicola Coccia, un inviato speciale esplora il mondo di Carlo Levi

Il primo dei 36 densi capitoli s’intitola “Aliano, il centro del mondo” e inizia così: “Non è facile neppure oggi raggiungere Aliano”.

La contraddizione stridente, un autentico paradosso, rivela una verità incontrovertibile: Aliano, uno dei tanti anonimi miseri borghi dell’osso appenninico meridionale sarebbe stato condannato all’irrilevanza o all’insignificanza, se non avesse ricevuto vita dalla letteratura.

Carlo Levi, autore del celeberrimo Cristo si è fermato a Eboli, non solo provvide a consolare “l’arse argille”, ma le strappò all’inesistenza e fece di Aliano una metafora universale di tutti i luoghi che nel mondo attendono da tempo immemorabile un riscatto morale, sociale, economico.
E’ un profondo messaggio che Nicola Coccia coglie con rara sensibilità e comunica con grande efficacia nel suo libro, una miniera inestimabile di informazioni di prima mano, “L’arse argille consolerai”, ETS edizioni, Pisa, 2015, pp. 299). Nell’opera, corredata da testimonianze, foto e documenti inediti e frutto di un lungo, minuzioso e intelligente lavoro di ricerca, l’autore ha il merito di ricostruire pazientemente e sapientemente gli eventi che segnarono uno snodo decisivo della biografia umana, intellettuale, politica ed artistica di Carlo Levi, vale a dire gli anni che vanno dal confino alla Liberazione di Firenze.

L'arse argille consolerai, il libro di Nicola Coccia

Lo fa con il metodo più congeniale a chi ha consumato la sua vita di giornalista, lavorando prima per l’Avanti e il Lavoro di Genova, diretto da Sandro Pertini, poi, per oltre trent’anni, come cronista del quotidiano fiorentino la Nazione: la ricerca puntigliosa delle notizie, ricorrendo alle più varie fonti archivistiche e raccogliendo preziose testimonianze dirette.
La prima delle tre parti in cui è strutturata l’opera di Nicola Coccia, dunque, è uno splendido reportage.
Innanzi tutto, dai luoghi del confino in Lucania. Protagonisti, con Carlo Levi, sono gli abitanti di Grassano e di Aliano, con cui il confinato piemontese visse per circa dieci mesi mesi, non tralasciando i suoi interessi artistici e impegnandosi in una concreta attività sociale a favore delle famiglie dei contadini, oppresse dalla miseria e tormentate dalla malaria. Successivamente, dalla Francia, dove l’intellettuale torinese riparò e visse con Paola Olivetti, proseguendo in esilio la lotta contro il fascismo.
Firenze, il ponte di S. Trinità distruttoNella seconda parte, la più corposa e intensa (ben 25 capitoli!), la scena si trasferisce a Firenze, dove Levi si stabilisce dopo essere rientrato in Italia. Sono gli anni terribili della guerra, dell’occupazione tedesca e infine della Liberazione, vale a dire gli anni in cui la città toscana, un vero “crocevia” della vita dell’artista e intellettuale torinese, è sospesa tra mille incubi e fragili speranze.

Qui la narrazione di Coccia, senza venir meno alla prerogativa di fondo, che la vuole sorretta da una ricca e preziosissima documentazione, assume la forma e il ritmo di un appassionante romanzo.
Un romanzo corale, che coinvolge una schiera innumerevole di persone, importanti intellettuali o figure anonime, uomini o donne, che trasformarono la lotta strenua contro i fascisti e i tedeschi in una rivolta popolare. E che non esclude l’importante cerchia di artisti con cui fin dal suo arrivo Levi instaurò nel suo studio di piazzale Donatello un fecondo sodalizio, perché neppure nei momenti più bui e gravi egli volle rinunciare alla sua attività di pittore.
Nella vasta galleria, evidentemente, spicca la figura di Anna Maria Ichino, donna straordinaria, “una Perlasca in gonnella”, nella cui casa in piazza Pitti 14 “passarono antifascisti e ebrei, studenti e professori, aristocratici e operai, artisti e intellettuali, medici e crocerossine, poeti e scrittori” e s’incrociarono “decine e decine di vite, ma anche storie, a volte straordinarie”.

In quella stessa casa, sollecitato da Manlio Cancogni, sulle cui testimonianze dirette, raccolte a più riprese, Coccia costruisce alcune delle pagine più belle del suo pregevole libro, Carlo Levi compose il memoriale Cristo si è fermato a Eboli. Costretto alla clandestinità, lo scrisse a matita, fra il Natale dell’orribile anno 1943 e il luglio dell’anno successivo, su cartelle che Anna Maria Ichino amorevolmente si premurò di battere a macchina pagina dopo pagina. L’opera, sommersa da un immediato e strepitoso successo, che resiste intatto settant’anni dopo la sua pubblicazione, avrebbe risvegliato l’interesse, sopito lungo tutto il ventennio fascista, sull’annosa questione meridionale, richiamando sul Mezzogiorno d’Italia l’attenzione non solo dei politici, ma di studiosi e scrittori italiani e stranieri.
Dopo la narrazione, asciutta e aliena da ogni enfasi retorica, delle tragiche vicende, che sconvolsero Firenze dalla caduta del fascismo alla fine della guerra tra atti di efferata violenza e gesti di straordinario eroismo, Coccia conclude il suo lavoro con i 4 capitoli che compongono la terza parte.

Nella parte finale, oltre a ricordare “l’amara dolcezza” della permanenza a Firenze di Umberto Saba, il rapporto tormentato fra Linuccia Saba e Anna Maria Ichino, la partenza di Carlo Levi per Roma, in una breve e toccante testimonianza raccolta dall’autore si accenna al “segreto” di Anna, la figlia nata dalla relazione dell’artista con Paola Olivetti.
Ma altra è la nota, a nostro parere, ben più significativa, che merita di essere sottolineata. E’ la felice intuizione di Coccia di proporre nell’epilogo la storia del Cristo si è fermato a Eboli, il libro che, scritto in piazza Pitti mentre l’autore è “chiuso in una stanza, e in un mondo chiuso”, pubblicato all’alba della Liberazione di Firenze, destinato a raggiungere i più remoti angoli del mondo, era stato concepito fra le ignote arse argille lucane.
Così con il ritorno nella “terra oscura, senza peccato e senza redenzione” della Lucania, si chiude magicamente il cerchio disegnato in un’opera preziosa, L’arse argille consolerai, cui, ne siamo certi, toccherà uno spazio importante nella pur vasta bibliografia leviana.

V. Angelo Colangelo

 

 

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