Per capriccio del caso, complice l’ineffabile Quentin Tarantino, è un western a riportare Ennio Morricone, compositore di musica per il cinema fra più bravi e prolifici al mondo, sul palco degli Oscar. Tardivo e meritato premio assegnato a un grande maestro la cui longevità creativa non mostra alcun segno di stanchezza.

Di: Giuseppe Colangelo

Nella sala cinematografica si spengono gradualmente le luci fino ad avvolgere il pubblico in un manto di oscurità. Sul grande schermo compare l’immagine fissa del lugubre profilo rosso sangue di una catena montuosa su cui si staglia in lontananza la silhouette di una diligenza. Ma non si tratta di un riferimento a Ombre rosse (1939) di John Ford o a Quell’ultimo treno per Yuma (1957) di Delmer Daves. In quei film trionfano il caldo e la polvere, qui invece a farla da padrone sono il gelo e la neve e il silenzio è rotto dalle note dell’Overture composta da Ennio Morricone per la versione in 70mm di Hatefull Eight (2016) di Quentin Tarantino.

Ennio Morricone e Quentin Tarantino

3 minuti di pura musica quale testimonianza del grande omaggio tributato dal versatile regista americano al leggendario compositore prediletto da Sergio Leone, Pasolini, Bertolucci, Argento, Malick, Tornatore, Joffé e da una miriade di altri registi. Un riconoscimento di stima e ammirazione che Tarantino avrebbe desiderato manifestare da molti anni, se non fosse per la ritrosia dimostrata dal maestro italiano ad accettare di collaborare con lui. La passione e la tenacia dell’autore di Pulp Fiction(1994) e Django Unchained (2012) però, dopo le immancabili numerose citazioni di brani morriconiani incastonati in ogni sua opera, alla fine ha la meglio. Al punto che per quest’ultimo lungometraggio non solo riesce a strappargli la partitura per l’Overture ma ottiene finalmente il fatidico sì affinché scriva anche la colonna sonora. Un compito fin ora mai affidato da Tarantino a nessun altro compositore.
Ma l’Overture di Hatefull Eight, forse l’ennesima citazione del regista “… più influente della sua generazione” come lo definisce Peter Bogdanovich, rimanda inevitabilmente al memorabile incipit di C’era una volta il West (1968) di Sergio Leone. 15 lunghi minuti durante i quali, in un capolavoro di montaggio e di combinazione tra immagini, suoni naturali e meccanici, il regista e Morricone concepiscono un soundtrack da antologia utilizzando i rumori di fondo come commento musicale: una stazioncina ferroviaria isolata.

Tre pistoleri con lunghi spolverini attendono annoiati l’arrivo del treno. Le pale della pompa eolica cigolano stridenti mosse dal vento. Dalla cisterna, a intervalli regolari, gocce d’acqua cadono picchiettando sul cappello di uno degli uomini. Una mosca ronza fastidiosa intorno al viso di un altro uomo che infine la imprigiona nella canna del suo revolver. In lontananza si sente il fischio di una locomotiva. Il treno arriva sferragliando ma nessuno scende. Il convoglio riparte sbuffando. All’improvviso si ode una melodia. Dall’altra parte dei binari compare un uomo che suona l’armonica.
Con Hatefull Eight Morricone torna a comporre una colonna sonora originale per un western dopo oltre 40 anni. L’ultima sua fatica legata a questo genere cinematografico risale a Un genio, due compari, un pollo (1975) di Damiano Damiani, con Terence Hill e lo zampino di Sergio Leone, il quale gira soltanto la prima scena e preferisce non essere menzionato nei crediti del film. Tuttavia, dopo aver scritto le musiche per oltre 500 tra film e serie televisive e ricevuto una cospicua pioggia di premi in Europa e il tardivo Oscar onorario nel 2007, il felice incontro con Tarantino coincide con l’attuale sarabanda mediatica che improvvisamente pone Ennio Morricone al centro dell’attenzione mondiale. La potente macchina dello Star System Hollywoodiano scuote i vertici dei Golden Globe e degli Oscar perorando la candidatura di un grande maestro in parte trascurato, nonostante il suo lavoro accompagni una sessantina di pellicole premiate con i maggiori riconoscimenti, da La Bibbia (1966) di John Huston a La battaglia di Algeri (1966) di Gillo Pontecorvo, da Uccellacci e uccellini (1966) Pier Paolo Pasolini a Metti una sera a cena (1968) di Giuseppe Patroni Griffi, passando per Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1969) di Elio Petri, Novecento (1970) di Bernardo Bertolucci e Gli intoccabili (1987) di Brian De Palma, fino a Nuovo cinema Paradiso (1988) di Giuseppe Tornatore e Mission (1986) di Rolanf Joffé solo per citarne alcuni.

Ennio Morricone e Sergio Leone

Ennio Morricone, ritenuto a ragione fra i più prolifici e bravi compositori di musica per il cinema dell’intera storia della settima arte, comincia a imporsi nell’universo della macchina dei sogni a partire dai primi anni Sessanta del Novecento. La proficua collaborazione stipulata con i grandi registi dell’epoca e, in particolare con Sergio Leone, contribuisce a farlo conoscere e ad apprezzare nel mondo intero. Film quali Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965), Il buono, il brutto, il cattivo (1966), C’era una volta il West (1968), Giù la testa (1971) e C’era una volta in America (1984), non solo legano indissolubilmente Leone e Morricone come artisti, ma con il planetario successo fatto registrare segnano anche uno degli ultimi momenti aurei del cinema italiano. L’audacia stilistica delle storie portate sullo schermo dal grande regista e la dimensione mitica a cui le eleva la musica di Ennio Morricone valicano qualsiasi confine e danno sfogo a una marea di imitazioni, incastonandosi ben presto come pietre preziose nella memoria collettiva di intere generazioni.
Quentin Tarantino, nel ritirare il recente Golden Globe assegnato per la colonna sonora del suo film a Morricone, non ha mancato di sottolineare, stupendo tutta Hollywood e non solo, come il grande musicista italiano, al di là della carriera legata al cinema, sia tuttavia da considerare un compositore tout court: «… È una cosa fantastica: capite che Ennio Morricone è il mio compositore preferito? E non intendo un compositore cinematografico, intendo uno come Mozart, come Beethoven, come Schubert.» Molti continueranno a storcere il naso di fronte a una tale dichiarazione, la riterranno frutto di una sconfinata infatuazione, e potrebbero avere anche ragione, ma non si può negare quanto le note del vastissimo pentagramma del maestro romano contemplino un importante repertorio di musica da camera e contemporanea. E per un grande compositore della sua statura, Accademico Effettivo dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia che fino a ora ha venduto oltre 70 milioni di dischi, un Oscar per la miglior colonna sonora in più o in meno, peraltro come già sottolineato consegnatogli fuori tempo massimo, crediamo faccia poca differenza.

© Qui Libri

Seguici sui social

1,667FansMi piace
92FollowerSegui
1,210IscrittiIscriviti

Leggi anche

Leggi anche ...
Related

Una città da leggere e la vampa dei ricordi

Una città da leggere e la vampa dei ricordi di...

Centro Geriatrico di Matera: inviate le lettere di licenziamento

Centro Geriatrico di Matera: inviate le lettere di licenziamento Vertenza...

Apostoli della carità sulle orme di Francesco

Apostoli della carità sulle orme di Francesco di Angelo Colangelo Nel...

Campanili fra storia, poesia e memoria

Campanili fra storia, poesia e memoria di Angelo Colangelo Con il...