Materani in trincera

A Giovanni Caserta, che tanti apprezzano da tempo per i numerosi e importanti lavori di storia e di critica della letteratura italiana e lucana, va riconosciuto il merito di un’ulteriore attività, che forse finora non è stata considerata con la giusta attenzione. Vale a dire scoprire e far conoscere opere ed autori minori, che, però, sono utili a ricostruire significativamente la storia, non solo letteraria, della nostra Lucania-Basilicata.
Un critico rabdomante, oserei dire, la cui biforcuta bacchetta magica è senz’altro costituita da una rara curiositas, sorretta da una indiscutibile competenza nell’ambito della critica storica e letteraria e da un altrettanto indiscutibile legame di amore per la sua terra. Che talvolta, magari, si manifesta con prese di posizione anche provocatorie, ma è sempre alimentato da un felice impasto di grande passione e di lucida razionalità.
Sarebbe lungo l’elenco dei lavori pubblicati da Giovanni Caserta, utili a provare la validità della mia affermazione. Valga per tutti, e solo a mò di esempio, la semplice citazione delle opere dedicate ad Onofrio Tataranni, teologo della Rivoluzione napoletana del 1799, al pedagogista accetturese Matteo Miraglia, ai poeti Domiziano Viola e Nicola Scarano.

Materani in trinceraIl bel libro “1915 – 1918 Materani in trincera” (Villani editore, Potenza, 2017) ne è, dunque, solo l’ultima ed eloquente conferma. Pubblicato, come spiega nel prologo Franco Villani, anche per accogliere un invito del Ministero dei Beni Artistici e Culturali a “ricordare, non certo a celebrare” il centenario della Grande Guerra, il saggio attesta, innanzi tutto, l’alto tributo che la Basilicata fu costretta a pagare per la I guerra mondiale, con ben 7498 morti e 2191 invalidi, secondo la stima di Francesco Saverio Nitti; a Matera 265 furono i caduti e i dispersi, 80 i mutilati e gli invalidi, i cui nomi sono puntualmente riportati nella preziosa appendice del volume.

Merito dell’autore è di aver sapientemente ricostruito il contesto storico e sociale materano prima e dopo il conflitto, proiettandolo sullo sfondo degli eventi nazionali. Risaltano, pertanto, le feroci polemiche che anche a Matera si accesero fra interventisti e neutralisti prima dell’entrata in guerra il 24 maggio 1915 e i forti contrasti sociali, che seguirono alla conclusione del primo e del secondo conflitto mondiale.
Al centro della scena è la figura di Padre Marcello, all’anagrafe Francesco Paolo, Morelli (Matera, 1886-1972), frate francescano e poi sacerdote e parroco per molti anni della chiesa di San Giovanni Battista, che fu a lungo impegnato in una intensa e proficua, seppure talvolta contraddittoria, azione di elevazione sociale, culturale e religiosa della comunità materana, che Caserta indaga e narra “sine ira et studio”, facendone emergere le luci e le ombre.
L’attenzione del critico materano si rivolge soprattutto alla drammatica esperienza di Padre Marcello come cappellano militare nell’ospedaletto da campo n. 152, che si riverserà poi nella raccolta poetica Patria, riproposta integralmente nel saggio.
Qui non credo sia il caso di soffermarsi più di tanto sulla accuratezza delle note e sulla sapienza del commento, che accompagnano i 37 componimenti della silloge, in prevalenza sonetti, ma anche canzoni, saffiche e un bel poemetto in versi liberi di 16 lasse, dedicato alla dolorosa disfatta di Caporetto. Mette conto, piuttosto, di richiamare la chiave di lettura che si offre al lettore per una corretta intelligenza e comprensione della complessa figura di padre Marcello e della sua produzione poetica ispirata dalla tragedia della guerra.
Riguardo a quest’ultimo aspetto, la posizione dell’abate materano riflette il dissidio che attraversò l’Istituzione stessa della Chiesa e le coscienze di tutti i cattolici, che vissero il contraddittorio sentimento di rifiuto della guerra, definita “inutile strage” da papa Benedetto XV, e di accettazione della stessa come una guerra giusta, in quanto guerra nazionale di liberazione.
“Anche il giovane Padre Marcello, – spiega Caserta – già francescano, per dottrina e per fede, come il papa, si dichiarava per la pace e contro la guerra in assoluto; ma anche per lui la guerra italiana era legittima difesa della patria, e perciò giusta. Fu la stessa soluzione cui pervennero altri cappellani militari, quali, fra i più noti, Padre Giovanni Semeria, Padre Agostino Gemelli e Padre Giovanni Minozzi”.
A me piace aggiungere, un po’ divagando, l’insigne barnabita Padre Giuseppe Francesco De Ruggiero (Stigliano, 1889 – Perugia, 1978), teologo, dotto umanista e autore di una copiosa produzione poetica in lingua italiana e latina. Della sua tormentata esperienza di pluridecorato tenente cappellano rimane la preziosa testimonianza di un memoriale, di lettere, di oltre 150 componimenti poetici confluiti nel 1932 nell’ampia raccolta di “Canti alla Vergine”, e di ben 350 lastre di fotografie da lui scattate ed ora conservate nel Museo della Grande Guerra, sorto a Stigliano nel 2015 su nobile iniziativa dell’Associazione “L’Angolo della Memoria”.Materani in trinceraTornando a Padre Morelli, si può concludere che, al di là di comprensibili limiti e contraddizioni, che ne segnarono la vita di uomo e di sacerdote, merita di essere considerato con grande rispetto. “Era -sottolinea opportunamente Giovanni Caserta- pur sempre l’uomo che aveva chiesto di vivere la sua vita fra i soldati feriti e moribondi, cui distribuì parole di speranza e di conforto, stendendo la mano consolatrice sulla fronte e ricevendo un sorriso, che era anche un grazie. Nell’ospedaletto da campo n. 152, quel frate, fattosi sacerdote, conobbe il dolore assurdo di una guerra non meno assurda, quali, del resto, sono tutte le guerre”.

Angelo Colangelo

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