Mast Francesc valent valent…

Alla sera, quando la televisione non era stata ancora inventata, le famiglie si raccoglievano davanti al focolare e ascoltavano le storielle raccontate dagli anziani. Quando i briganti la facevano da padrone nelle terre di Basilicata, viveva a Stigliano un calzolaio di nome Francesco. Un uomo minuto e malaticcio dalla condizione economica modestissima, ma dalla maestria nel costruire e riparare scarpe riconosciuta in tutto il circondario. Sembra quasi un paradosso ma effettivamente la sua bravura era la causa della sua povertà, tenendo egli più al buon nome che al danaro. Si diceva infatti che le calzature da lui prodotte e quelle che riparava duravano molti più anni di quelle degli altri calzolai. L’estate mastro Francesco lavorava fuori della sua piccola bottega, poco più che un tugurio, situata vicino alla chiesetta dell’Annunziata. La gran calura e i nuguli di mosche che gli svolazzavano intorno, attratte dall’odore delle pelli conciate, impedivano al povero calzolaio di lavorare come Cristo comanda. E non era raro vedergli perdere la pazienza e buttare tutto all’aria imprecando la malasorte. Un giorno, mentre guardava distrattamente un pezzo di cuoio, piatto, largo quanto una pala, fu folgorato da un’idea: impiegare quel pezzo di cuoio come schiacciamosche. Prese dunque il cuoio e lo inchiodò ben bene ad un bastone di legno. Attese che le mosche si fermassero su di un muro e.. pam! assestò un gran colpo: non ci crederete, ma sul muro rimasero stecchite almeno duecento tra mosche e mosconi. E ancora… pam! altre duecento, e pam! duecentocinquanta. Ma il colpo da record, insuperato, fu di trecentotrenta. Mastro Francesco aveva finalmente risolto il suo fastidioso problema. Passarono alcuni giorni e, tra una strage e l’altra, al calzolaio venne in mente un’altra idea: perché non mettere a frutto quel suo nuovo talento, ormai affinato in una vera e propria arte, per arrotondare i suoi miseri guadagni? Pensò bene dunque di proporsi al pubblico e il primo passo fu quello di farsi scrivere su di una targhetta di legno: “Mast Francesc valent valent ch na bott 330”. I suoi compaesani ne furono incuriositi e non capendo il senso di quella frase chiedevano lumi al calzolaio, il quale spiegava loro quello che c’era da spiegare. Ora non si sa se ricevette delle commesse o meno, si sa che la tabella rimase esposta sulla botteguccia per lunghissimo tempo. In quei giorni in paese si vociferava che bande di briganti erano state viste nelle campagne vicine, e grande era il timore di un loro arrivo in paese. Timore giustificato perché una notte di quell’afosa estate una ventina di manigoldi fece il suo ingresso a Stigliano. Arrivati nella piazza antistante la chiesa dell’Annunziata, allora ingresso quasi obbligato al paese, non poterono fare a meno di osservare, al chiaro di luna, la targhetta di mastro Francesco, il quale se la dormiva beato ed ignaro sul lettuccio di frasche nella sua bottega. I briganti avendo letto quell’oscuro e misterioso messaggio furono presi dalla curiosità. Bisognava chiedere a qualcuno qual’era il suo significato. Accadde allora che da un’abitazione vicina ne uscì un contadino che si preparava a raggiungere il suo campicello fuori dal paese. I briganti si acquattarono dietro un muro e attesero che il contadino passasse loro davanti. Ad un certo punto il poveretto si sentì afferrare le spalle e le braccia e quando si rese conto con chi aveva a che fare cominciò a tremare dalla paura. I briganti dopo averlo minacciato gli chiesero della targhetta e il contadino, la cui lingua si era fatta di legno, riuscì appena a biascicare: “Mast… mast Francesc… ch… ch… ch na bott n’acceid 330”. Chi era mai quell’uomo di stazza e di coraggio, si chiesero i briganti, che così audacemente e spudoratamente sbandierava la propria forza? Sicuramente uno che non temeva nulla, uno che nel corso della sua vita doveva aver affrontato e vinto innumerevoli avversari. Meglio non rischiare, pensarono i briganti. E così, mogi mogi e a passo veloce, se ne uscirono dal paese. Grazie alla targa di mastro Francesco e alla paura del contadino, Stigliano, quella volta, si salvò dal saccheggio.

Salvatore Agneta

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