La Repubblica Napoletana e gli accadimenti a Stigliano del 1799

Nel 1789 la Rivoluzione Francese aveva decapitato la sua monarchia affermando principi di libertà, uguaglianza e fraternità. L’ordinamento repubblicano che la Francia si era dato cominciò ad essere guardato con interesse dalla classe borghese italiana. La Prima Campagna d’Italia da parte delle truppe napoleoniche e i significativi successi conseguiti fomentarono questo interesse. Nel 1797 i francesi  proclamarono la Repubblica Ligure e la Repubblica Cisalpina; nel 1798 la Repubblica Romana. Tutte repubbliche sorelle, filofrancesi e giacobine.

Approfittando dell’assenza di Napoleone, impegnato nella Campagna d’Egitto, il 23 ottobre del 1798, il Regno di Napoli entrò in guerra contro i francesi, appoggiato dalla flotta inglese comandata dall’ammiraglio Nelson. L’esercito napoletano invase il territorio della Repubblica Romana e occupò Roma con l’intenzione di ristabilire l’autorità papale, ma un’immediata e risoluta controffensiva francese costrinse i napoletani ad una rovinosa ritirata. Il 21 dicembre il Re di Napoli e di Sicilia, Ferdinando IV di Borbone, fuggì da Napoli imbarcandosi con tutta la famiglia alla volta di Palermo e portandosi dietro il denaro delle banche e i tesori della corona.

L’incarico di Vicario generale fu dato al conte Francesco Pignatelli. Seguirono giorni di confusione e di anarchia. Il 12 gennaio del 1799 il Vicario concluse una pesante resa col generale francese Championnet. La notizia dell’accordo provocò nel popolo di Napoli e di parte delle province violente manifestazioni antifrancesi. Il Vicario abbandonò Napoli il 17 gennaio. La risposta dei repubblicani, dei giacobini e dei filofrancesi non si fece attendere. Sanguinosi scontri gettarono Napoli nella guerra civile. Il popolo dei “lazzari”, come venne chiamato, grazie anche all’intervento delle truppe napoleoniche, fu costretto ad arrendersi. Il 23 gennaio, con l’approvazione e l’appoggio dei francesi, venne proclamata la Repubblica Napoletana o Repubblica Partenopea retta da un governo provvisorio composto da venti membri.

La neonata Repubblica Napoletana manifestò da subito difficoltà di applicazione : il popolo napoletano e quello delle province non occupate dall’esercito francese non aderirono ai repubblicani in quanto visti eccessivamente lontani dalla conoscenza dei reali bisogni del popolo; inoltre, tra i repubblicani, non esisteva un nutrito ceto borghese al quale le riforme rivoluzionarie potessero giovare. Inoltre la Repubblica appariva come un’entità politica con un’autonomia estremamente limitata, sottoposta al quasi totale controllo dei francesi. Infine la spietata e sanguinaria repressione contro gli oppositori del regime non aiutò a conquistare le simpatie popolari.

Il primo atto del governo repubblicano fu la legge che aboliva i fedecommessi e le primogeniture. Praticamente attraverso questo strumento legale le classi aristocratiche, ma anche borghesi, mantenevano inalterata la potenza economica della famiglia assegnando ad un unico erede (quasi sempre maschio), di linea o designato, di succedere nella proprietà. Durante la Rivoluzione Francese e nel successivo periodo delle Repubbliche sorelle fu abolito poiché ritenuto un ostacolo alla libera circolazione dei beni. Si cercò di approvare la legge sull’eversione della feudalità, ma i precipitosi eventi che seguirono non diedero tempo al Governo di vararla. La bozza di costituzione, dovuta soprattutto a Mario Pagano, per la stessa ragione, rimase solo un progetto.

Intanto, il 7 febbraio, il cardinale Fabrizio Ruffo, dal 1794 al servizio di re Ferdinando IV di Borbone, era sbarcò in Calabria con l’assenso regio, e in poco tempo riunì un’armata popolare (l’Esercito della Santa Fede) con la quale, in poco tempo, si impadronì di quella regione, della Basilicata e della Puglia. In aprile, in seguito alle sconfitte subite dalle truppe francesi in Italia settentrionale ad opera degli Austro-Russi, i francesi furono costretti a ritirarsi prima dalle province e il 7 maggio da Napoli. Rimasti soli i repubblicani tentarono di difendersi dall’armata sanfedista che giungeva da sud, ma il 13 giugno la città venne riconquistata dalle armate del cardinale Ruffo. Nei mesi che seguirono, una giunta nominata da re Ferdinando cominciò a processare i repubblicani. Tra i condannati vi erano alcuni tra i nomi più importanti della classe borghese e intellettuale di Napoli che avevano dato il loro appoggio alla Repubblica; tra questi Pasquale Baffi, Eleonora Pimentel Fonseca, Vincenzio Russo, l’ammiraglio Francesco Caracciolo, Vincenzo Cuoco, i lucani Francesco Mario Pagano e Francesco Lomonaco, e Giuliano Colonna.

Di quest’ultimo, figlio del Principe di Stigliano, una cronaca riporta la sua esecuzione :
“Lunedì 20 agosto 1799. Ad essere decollati senza pompa: don Giuliano Colonna de’ Principi di Stigliano, don Gennaro Serra di Cassano, Principe di Torella Caracciolo… La esecuzione si è fatta nella piazza del Mercato, ove si dice che il concorso del popolo è stato immenso, non ostante che si bruciasse al sole scoverto… La gran piazza era tutta circondata da truppa di linea e di massa due interi regimenti di cavalleria, artiglieria puntata. Castello chiuso, e ponti alzati, e nell’interno del Castello truppa di riserva… si è eseguita la decollazione di Colonna e Serra; il primo di essi era piú rassegnato ed ha posta volontariamente la testa sul tronco; il secondo era un poco piú risoluto”.
Il governo del Regno di Napoli rimarrà ai Borbone fino al 1806, quando le truppe Napoleoniche apriranno una nuova parentesi francese, monarchica, di circa 10 anni, dando vita al cosiddetto periodo Murattiano.

Cosa successe a Stigliano

Durante l’effimera Repubblica Partenopea a Stigliano un’insurrezione armata popolare si concluse con il sopravvento della corrente repubblicana radicale, la quale ottenne il riconoscimento dell’uso civico di pascolo su tutti i terreni ritenuti usurpati. Gran Maestro della Vendita Carbonara Lucana risultò essere Ottavio Rasole di Stigliano. I rei di stato stiglianesi furono 151. La maggior parte di loro erano popolani, ma i loro capi erano di origini borghesi. Furono imputati della piantagione dell’albero della “rivolta”, dell’elezione della Municipalità e dell’uccisione del proprietario terriero Don Nicola Rosole e di quattro suoi foresi. Principale fomentatore della rivolta fu l’avvocato Nicola Correale, istigatore, anche, dell’omicidio di Nicola Rosole.

Quest’ultimo, come risulta da un documento dell’epoca, nel tentativo di fuggire ai suoi sicari attraverso i tetti della sua abitazione, ubicata nell’antica piazza Castello, fu raggiunto da alcune schioppettate al volto e al torace e cadde morto all’istante. Sempre da quel documento si sa che Pietro Cacciatore, detto Balligione, per sanare un’offesa subita dalla sorella per mano di uno dei servi del Rosole, squartò il colpevole con un’ascia “come un porco qual’era” e non pago “gli tagliò i testicoli… e sparse le cervella in pasto ai corvi…”.

Chi erano i Giacobini e chi erano i Sanfedisti

I Giacobini erano un gruppo politico borghese creato durante la rivoluzione francese nel maggio 1789. Derivarono il nome dai monaci domenicani detti appunto jacobins per via del fatto che si insediarono nel refettorio di un ex convento di quell’ordine. Costituirono una fitta rete di società affiliate in tutta la Francia, divenendo centro di riferimento nazionale della politica rivoluzionaria.

I Sanfedisti erano i componenti di un movimento popolare antirepubblicano che nel 1799 coinvolse le masse contadine e gli esponenti principali del brigantaggio contro la Repubblica Partenopea; il movimento si organizzò attorno al cardinale Fabrizio Ruffo col nome di Esercito della Santa Fede in Nostro Signore Gesù Cristo. Si trattava di bande armate, formate in maggioranza da contadini e sostenute dalla Chiesa, che nel 1799 diedero vita in molte regioni d’Italia, e soprattutto in Calabria sotto il comando del cardinale Ruffo, a rivolte anti-francesi in difesa della santa fede minacciata dalle idee rivoluzionarie. Le insurrezioni portarono alla fine dell’esperienza della Repubblica Napoletana e al ritorno dei Borbone.

Dichiarazione dei diritti e doveri dell’uomo, del cittadino, del popolo e dei suoi rappresentanti (dal progetto della costituzione della Repubblica Napoletana di Mario Francesco Pagano di Brienza

1. Tutti gli uomini sono eguali, e in conseguenza tutti gli uomini hanno diritti eguali. Quindi la Legge, nelle pene e nei premi, senza altra distinzione che delle qualità morali, gli deve egualmente considerare.
Dritti dell’Uomo

2. Ogni uomo ha dritto di conservare, e migliorare il suo essere, e perciò tutte le sue facoltà fisiche, e morali.

3. Ogni uomo ha dritto di esercitare tutte le sue facoltà fisiche, e morali, come più gli attalenta colla sola limitazione, che non impedisca agli altri di far lo stesso, e che non disorganizzi il corpo politico, cui appartiene. Quindi la libertà, che si è per appunto l’anzidetta facoltà di adoperare tutte le sue forze, come gli piace coll’enunciata limitazione, è il secondo dritto dell’uomo. Questa distrutta, è distrutto l’uomo morale, poiché le facoltà, che non si possono esercitare, divengono nulle.

4. La Libertà di opinare è un dritto dell’uomo. La principale delle sue facoltà è la ragionatrice. Quindi ha il dritto di svilupparla in tutte le possibili forme; e però di nutrire tutte le opinioni, che gli sembrano vere.

5. La libertà delle volizioni è la conseguenza del libero dritto di opinare. La sola limitazione della volontà sono le regole del vero, che prescrive la ragione.

6. I1 sesto dritto dell’uomo è la facoltà di adoperare l’azione del suo corpo secondo i suoi bisogni, purché non impedisca agli altri di far lo stesso.

7. Quindi deriva il dritto di estrinsecare colle parole, cogli scritti, ed in qualunque maniera le sue opinioni, e volizioni, purché non si turbino i dritti degli altri, e quelli del corpo sociale.

8. Nasce benanche dal sesto dritto quello della proprietà. L’uomo, che impiega le sue facoltà nella terra, la rende propria. Perciocchè il prodotto delle facoltà è così proprio di ciascuno, come le facoltà medesime.

9. La resistenza a colui, che impedisce il libero esercizio delle proprie facoltà è un dritto dell’uomo. Senza di questa è precario ogni altro dritto.
L’anzidetta resistenza è un dritto dell’uomo nello stato fuorsociale. Nello stato sociale la individuale resistenza è permessa soltanto contro le Autorità perpetue, ed ereditarie, tiranniche sempre.
Dritti del Cittadino
10. Ogni Cittadino ha il dritto di essere garantito dalla pubblica forza in tutti i suoi dritti naturali, e civili.

11. Ogni Cittadino dev’essere premiato, o punito, a proporzione de’ meriti, e de’ delitti, senza distinzione alcuna di persone.

12. Ogni Cittadino ha il dritto di eleggere, e di essere eletto pubblico Funzionario, purché abbia le qualità morali richieste dalla Legge.
Dritti del popolo

13. Il fondamentale dritto del Popolo è quello di stabilirsi una libera Costituzione, cioè di prescriversi le regole, colle quali vuol vivere in corpo politico.

14. Quindi deriva il dritto di potersi cangiare, quando lo stimi a proposito, la forma del Governo, purché si dia una libera Costituzione: poiché niuno ha il dritto di fare ciò che gli nuoce. La Sovranità è un dritto inalienabile del Popolo, e perciò o da per sé, o per mezzo de’ suoi Rappresentanti può farsi delle Leggi conformi alla Costituzione, che si ha stabilita, e può farle eseguire, da che senza l’esecuzione le Leggi rimangono nulle.

15. Il Popolo ha il dritto di far la guerra. Questo dritto scaturisce da quello della resistenza, ch’è il baloardo di tutti i dritti.

16. Ha il dritto d’imporre le contribuzioni necessarie alle pubbliche spese. Gli uomini, unendosi in società, siccome hanno ceduto l’esercizio delle loro forze fisiche per la conservazione della medesima, così hanno ipotecata quella parte de’ loro beni, che sia necessaria al mantenimento dell’ordine, che la fa sussistere.
Doveri dell’Uomo
I doveri dell’uomo sono obbligazioni, o sia necessità morali, che nascono dalla forza morale di un principio di ragione. Questo è il medesimo, che quello, donde abbiamo derivati i dritti, vale a dire la somiglianza, e l’uguaglianza degli uomini.

17. Il fondamentale dovere dell’uomo è di rispettare i dritti degli altri. L’uguaglianza importa, che tanto valgono i nostri, quanto i dritti degli altri.

18. Ogni uomo deve soccorrere gli altri uomini, e sforzarsi di conservare e migliorare l’essere de’ suoi simili; perciocchè per la somiglianza di natura ciascun uomo dev’essere affetto verso gli altri, come verso se stesso.

19. Quindi è sacro dovere dell’uomo di alimentare i bisognosi.

20. È obbligato ogni uomo d’illuminare, e d’istruire gli altri.
Doveri del Cittadino
Il principio de’ doveri civili si è, che la società vien composta dall’aggregato delle volontà individuali. Quindi la volontà generale, o sia la legge deve dirigere le volontà individuali.

21. Ogni Cittadino deve ubbidire alle leggi emanate dalla volontà generale, o da’ legittimi Rappresentanti del popolo.

22. Ogni Cittadino deve ubbidire alle autorità costituite dal popolo.

23. Ogni Cittadino deve conferire colle opere, e colle contribuzioni al mantenimento dell’ordine sociale. E perciò ogni Cittadino dev’essere militare.

24. Ogni Cittadino deve denunziare alle autorità costituite i tentativi degli scellerati contro la pubblica sicurezza, e proporre le accuse de’ delitti commessi innanzi ai Magistrati competenti.
Doveri de’ pubblici Funzionarj

25. I pubblici Funzionarj debbono garantire ogni Cittadino contro l’interna, ed esterna violenza.

26. Ogni pubblico Funzionario deve consecrare sé, i suoi talenti, la sua fortuna, e la sua vita per la conservazione e per lo vantaggio della Repubblica.

Salvatore Agneta

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