Il riposo di figaro

di Mimmo Cecere.

«Ah, che bel vivere, che bel piacere per un barbiere di qualità! Figaro qua, Figaro là, Figaro su, Figaro giù… Pronto prontissimo son come il fulmine, sono il factotum della città».
Questa breve citazione – tratta dal 1° atto del “Barbiere di Siviglia” di G. Rossini – ha lo scopo d’introdurre i protagonisti di questo articolo.

L’uscita di scena dopo 55 anni

Il 24 dicembre 2023 chiuderà i battenti lo storico negozio di Parrucchiere di Luigi Pasciucco, situato nella piazza principale di Gallarate. Al suo posto sorgerà una sala da the, adiacente alla pasticceria e gelateria artigianale “Godo”, inaugurata il 2 dicembre scorso nell’ex locale della storica “Cappelleria Cristina”. Dopo 55 anni di onorato servizio, Luigi ha deciso di terminare l’attività che con passione e dedizione ha svolto per 11 lustri nel cuore della città celtico-gallica.
Il maestro di Luigi
Dal 1965 al 1968, Luigi svolse l’apprendistato a Stigliano, nel Salone di Giuseppe Mandile, noto a tutti col diminutivo di Peppinillo. Da ragazzo, Peppino desiderava studiare ma la famiglia non possedeva le risorse economiche necessarie per mantenere il figlio agli studi. Qualcuno propose di mandarlo in seminario, ma il ragazzo scartò subito questa ipotesi e decise di apprendere un mestiere. In questo caso quello di barbiere. Peppino iniziò l’apprendistato a 13 anni nel Salone di Pasquale Aliano, dove oggi c’è la tabaccheria Sarubbi, e terminò dopo tre anni e mezzo. Nel 1957/58 – decise di mettersi in proprio aprendo un locale in un vicoletto di rione Sanniti, in prossimità di Piazza Garibaldi. Un anno dopo, a seguito del trasferimento a Matera del barbiere Giovanni Toscano, Peppinillo traslocò nel Salone di palazzo Campobasso nel centralissimo Corso Umberto, di fronte allo storico Bar Moderno. Per più di un decennio collaborò con Peppinillo anche il fratello di Toscano, Giosuele, noto a tutti come il Mutoridd.
La clientela di Peppinillo era di tutte le estrazioni sociali. Frequentavano il suo Salone i notabili locali (possidenti agrari, avvocati, medici e farmacisti) ma anche maestri, professori, infermieri, artigiani, impiegati, contadini e pastori.

Interno del Salone di Peppinillo

Quest’ultimi – stando sempre a contatto col bestiame e con la terra – si portavano dietro un sudore stantio che si accentuava durante il viaggio in paese con l’asino e quando entravano nel salone sprigionavano un forte olezzo. Nel locale, c’era sempre qualcuno che sapeva intrattenere i clienti con un racconto, una barzelletta, un episodio accaduto, un fatto curioso, un pettegolezzo… Il Salone del barbiere è sempre stato nel sud una sorta di piccolo spazio sociale in cui trascorrere qualche ora senza bisogno di doversi tagliare i capelli. D’estate per stare al fresco e leggere una vecchia rivista, d’inverno per stare al caldo e scambiare due chiacchiere. Ogni tanto qualche cliente metteva il naso nel locale e vedendo tanta gente chiedeva al barbiere “quando posso passare per un taglio di capelli”? “Ripassa tra un’oretta”, replicava con garbo Peppinillo. Tra una barba e l’altra, i clienti parlavano di calcio, di donne, di motori, di vicende locali, di politica e raramente di religione. Peppinillo ascoltava e interagiva con i clienti. Talvolta si bloccava ma, al cliente dava la sensazione di tagliare i capelli perché continuava a far schioccare le forbici, tagliando l’aria per non interrompere il ritmo dello strumento. Peppinillo – come un confessore laico – ascoltava tutto ciò che i suoi clienti gli confidavano, limitandosi a diffondere solo le notizie che non erano personali o compromettenti.
Appena si entrava nel Salone, le narici captavano un mix di profumi. Fisso era l’effluvio del sapone da barba Cella, acquistato a kili, che aleggiava nella sala; acuto ed evanescente il dopobarba Floid, comprato in bidoncini e travasato nel vaporizzatore metallico a pompetta, che il barbiere spruzzava sulle guance del cliente dopo la rasatura; delicato e sbuffante il profumo di cipria che il barbiere spruzzava con una pompetta sul collo, dopo la rasatura e prima di spolverare con la pennellessa i pelini rimasti attaccati; inebrianti le fialette versate sul capo dopo lo shampoo per rinforzare i capelli; sdolcinato il profumo dei calendarietti con le donnine seminude che il barbiere regalava ai clienti più affezionati in vista delle feste natalizie. Nel 1966, in pieno tumulto ormonale, anch’io attesi due mesi e mezzo prima di tagliarmi i capelli, nonostante i continui rimbrotti di mio padre, che ha più riprese mi diceva «sbrigati ad andare a tagliare il pagghiaro che c’hai in testa», perché non volevo perdere il calendarietto profumato con le donnine seminude, che Peppinillo si faceva inviare ogni anno da Milazzo o dalla ditta Caudano di Torino.

Il periodo dell’apprendistato di Luigi

Maestro discepolo

Come tutti i ragazzini che iniziavano ad andare a bottega, Luigi si limitava a fare quei lavoretti non professionali ma indispensabili nel Salone: insaponare le guance dei clienti, scopare e raccogliere con la paletta i capelli appena tagliati, spolverare il piano di lavoro, lustrare gli specchi, spazzolare i clienti e le poltrone, ripiegare le salviette, affilare i rasoi sulla cinghia di cuoio (la stroppa), sciacquare i pennelli, andare a prendere l’acqua calda al forno con una speciale brocca per quei pochi che chiedevano lo shampoo, sistemare la legna nella stufa d’inverno. L’apprendimento del mestiere si basava sulla capacità di osservazione. “Il mestiere si ruba” era il mantra di allora. Solo dopo un anno fece la prima barba al nonno che si prestò a fare da cavia; mentre il primo taglio di capelli lo fece in casa dello zio Nicola che abitava vicino casa sua.

Escludendo qualche mancia, l’apprendistato era pressoché gratuito; poi, quando Luigi iniziò a fare le prime barbe e capelli, incominciò a ricevere piccoli compensi. Il padre di Luigi, ringraziava il mastro per aver preso il figlio in bottega, omaggiandolo ogni tanto con i prodotti della campagna (uova, fichi o il galletto a Natale). Il Salone, non più grande di 16 metri quadrati, disponeva di due poltrone per il taglio della barba e dei capelli.

Le prime barbe di Luigi

L’emigrazione al nord
Il 22 agosto del 1968 Luigi, dopo tre anni di apprendistato, emigrò a Cardano al Campo, rimanendo ospite per tre mesi in casa della sorella Anna. Il primo settembre prese servizio nell’attuale negozio di parrucchiere gestito da Palmiro Alpari di Arnate. Nel negozio, molto più grande di quello di Stigliano, erano in quattro a lavorare più un garzone. Vi erano cinque poltrone nella sala e una nel retro dove operava una signorina che faceva manicure e pedicure. Il suo compenso iniziale era di 12.000 £ a settimana. Una cifra impensabile nel suo paese, anche se trenta servivano per pagare il costo della pensione. Per sette anni, Luigi perfezionò la sua tecnica frequentando, per due sere alla settimana, una scuola di parrucchiere dove ottenne il Diploma di Maestro d’Arte Insegnante.

Il diploma di maestro-insegnante

Dopo cinque anni dedicati anche all’insegnamento, decise di dedicarsi solo all’attività professionale. Nel 1976, su proposta del titolare del negozio, divenne socio al 50%, rilevando la sua quota.

Nel salone

Con l’andata in pensione del collega nel 1981, coinvolse Peppinillo a prendere il posto del vecchio socio, senza però ricevere l’assenso di quest’ultimo, ché aveva tanti clienti a Stigliano. Per vent’anni condivise il negozio con un nuovo socio e dal 2001 rimase unico titolare del negozio, coadiuvato da una signora di Somma Lombardo che, tre giorni alla settimana, svolgeva attività di manicure e pedicure per i clienti più facoltosi. Infatti, gran parte della clientela del locale era costituita dall’élite del territorio (imprenditori tessili e meccanici, professionisti vari, artigiani e commercianti). Molti clienti hanno per decenni frequentato il negozio e talune famiglie da quattro generazioni. All’inizio dell’attività un taglio di capelli costava 150 £, a fine carriera il costo aveva raggiunto i 15 euro.
Il negozio di Luigi è stato per decenni un punto di riferimento per numerosi clienti, che ora sono tristi ed amareggiati per aver perso il loro barbiere di fiducia. Uno di questi è il sig. Gianni che da Cassago Magnago veniva ogni settimana a sistemarsi i capelli e tre pomeriggi ritornava nel negozio per leggere il Corriere, la Gazzetta dello Sport o scambiare una chiacchiera con il barbiere-amico-confessore. Afflitti sono “il professore” e i tifosi dell’Inter che non potranno più disporre di una sede confortevole dove condividere i loro commenti calcistici.

L’uscita di scena dopo 55 anni

A partire dal 1° gennaio 2024 molti clienti diverranno orfani del loro amato parrucchiere. Per anni gli hanno affidato la testa, fidandosi ciecamente che sulle loro guance e lungo la gola scorresse leggera e sicura la lama del rasoio Puma della Solingen. Per taluni, la chiusura del negozio è un trauma più grave della perdita di una persona cara.

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