Il problema del male ad un incontro su Dante: ricorsi “Vichiani” a Stigliano dopo la “Leggenda del Drago”.

Il filosofo napoletano Giambattista Vico formulò una concezione della storia che prevedeva ritorni ciclici al passato nella vita dell’uomo. Ed è quello che è accaduto a me in quest’estate di ferie al paese natio. Alcuni anni fa fui catturato da una rappresentazione teatrale, sempre nell’agosto di Stigliano (Matera), che affrontava il problema del male: “La leggenda del drago”.
All’indomani scrissi di getto una lettura teologica che fu raccolta in questo stesso sito: https://www.stigliano.net/la-lotta-contro-il-drago-metafora-della-vita/. Quell’articolo risultò per me apripista di una nuova stagione di vita che mi ha condotto, dopo un percorso da pubblicista, al giornalismo della carta stampata. Ponendo sempre al centro dell’attenzione il problema del male, fino alla direzione di una Rivista nazionale cattolica, da gennaio di quest’anno.
Ieri sera, in un incontro culturale d’estate su Dante, al mio paese, si è materializzata per me la teoria ‘vichiana’ dei corsi e ricorsi storici.
In una conferenza a quattro mani sulla ‘Commedia’ dantesca, organizzata dall’associazione culturale stiglianese ‘Centro Studi Rocco Montano’, è infatti riaffiorato il problema del male.
I due relatori si sono cimentati in una rilettura di Dante non in modo scolastico e per pochi addetti ai lavori, ma come ‘eredità per gli uomini e le donne del III millennio’.
Lo scrittore Filippo La Porta ha sintetizzato alcuni punti salienti del suo libro intitolato “Dante ed una etica per il nuovo millennio” (editore Bompiani, 2018).
A seguire il professor Markus Krienke, docente alla Facoltà di Teologia di Lugano, ha effettuato una lettura dantesca dall’ottica visuale di due diversi autori, con una relazione dal titolo: “Il Dante di Romano Guardini e Rocco Montano”.
Ciò che mi ha spinto a voler partecipare all’evento, è stato il richiamo della locandina ai due autori sopra citati.
Romano Guardini, per il fatto che è il pensatore preferito di Papa Benedetto XVI : un insigne teologo e filosofo italiano vissuto in Germania.
E Rocco Montano, per il fatto che è stato un critico letterario di fama internazionale, nato al mio paese e profondo conoscitore di Dante: avevo studiato alle superiori, per la letteratura italiana, proprio su un libro da lui scritto, dal titolo ‘Comprendere Dante’.
Ma non avevo previsto che la conferenza di ieri mi avrebbe suscitato maggiore interesse sull’altro fronte, quello del libro di La Porta, come poi è accaduto.
L’autore ha centrato il suo intervento sul problema del male, operando una rivisitazione dei 7 vizi capitali presenti nella Commedia di Dante, alla luce del seguente presupposto: che il male è la conseguenza, nell’uomo, di una immaginazione cattiva e distorta della realtà.
E così la superbia vuole far sparire l’altro gonfiando a dismisura sé stesso. Sulla base dell’immaginazione irreale di essere superiore a tutti e bastando a sé stesso, il superbo nega il dato reale dell’uguaglianza con i suoi simili, vittima di un’immaginazione cattiva.
Così come l’avarizia nasce dall’immaginazione irreale di poter accumulare ciò che poi non potremo possedere, perché nudi nasciamo e nudi ritorneremo, secondo il richiamo biblico di Giobbe.
E così l’invidia nasce dalla immaginazione irreale di vedere gli altri più felici di noi… non a caso Dante applicherà agli invidiosi la pena della cecità, secondo la logica del contrappasso, per impedire loro finalmente di guardare alla vita degli altri.
E poi l’ira, che viene anch’essa da una ‘nebbia’ che acceca e non fa vedere la realtà per ciò che è; e l’accidia, che è una mancanza di slancio verso il bene.
Infine la gola e la lussuria, che sono entrambe frutto di un’immaginazione cattiva ed irreale nella misura in cui assolutizzano un solo piacere negando la varietà di tutti gli altri, che pure esistono. Ma i golosi e i lussuriosi sono ossessionati soltanto da uno di essi.
Questo discorrere sul problema del male appassiona ed infiamma i ricercatori di verità nella misura in cui si ponga, in ultima analisi, la prospettiva della sua soluzione: come può l’uomo liberarsi dal male che lo attanaglia?
Lo scrittore La Porta richiama, alla fine del suo intervento, la prospettiva cristiana di Dante: “noi siamo vermi destinati a diventare magnifiche farfalle”.
Anche il secondo relatore, il professor Krienke, nella ricostruzione del pensiero dantesco dalla prospettiva di Guardini e Montano giunge alla medesima conclusione: “Per entrambi, Guardini e Montano, la ‘Commedia’ di Dante è espressione e riassunto della visione cristiana del mondo e dell’esistenza umana in essa”.
Prendendo spunto dall’incontro su Dante ci si può chiedere: come si pone l’uomo di oggi dinanzi al male ineludibile della vita terrena?
Si può rispondere: l’uomo contemporaneo, imbevuto di concezioni materialiste, è intimamente disperato riguardo il suo destino finale.
Dante sembra suggerirgli la rilettura di questi suoi versi: “O superbi cristian, miseri lassi, che, della vista della mente infermi, fidanza avete ne’ retrosi passi, non v’accorgete voi che noi siam verminati a formar l’angelica farfalla, che vola alla giustizia sanza schermi?” (“Purgatorio”, X, 121-126)
Noi che siamo più in basso, rispetto al genio del Sommo Poeta, ci limitiamo a pensare che il male è una costante dell’esistenza terrena, più forte dell’uomo e perciò destinata a prevalere, a meno che l’uomo stesso non si aggrappi ad un’altra Forza, che è la Grazia di Dio, che richiede la fede per essere messa in campo, a sparigliare le carte del male per la vittoria dell’uomo.
Vittoria non solo finale, che è quella sulla morte per la Vita che non finisce, ma anche parziale e intermedia, delle tante battaglie terrene che precedono quella conclusiva, per un anticipo di centuplo quaggiù, sempre in ragione della Grazia interveniente.
Che è azione divina nell’uomo in virtù della fede.
Giovanni Fortuna ( giornalista pubblicista )

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