I miei ricordi di Padre Giuseppe Montesano, barnabita e stiglianese

I miei ricordi di Padre Giuseppe Montesano, barnabita e stiglianese

Padre Montesano nacque a Stigliano il 5 ottobre 1935 da Rocco e Isabella Tucci. Il padre, a sua volta nato proprio all’alba del nuovo secolo il 1 gennaio 1901, morì nel 1941, lasciandolo orfano all’’età di sei anni. Scomparso il padre prematuramente, toccò alla madre prendersi cura di lui e della piccolissima sorella Rosa negli anni difficili della guerra. La buona, mite e pia “zia Sabbedda”, di cui ricordo le quotidiane amabili conversazioni con mia madre, non mancò di trasmettere ai figli sani principi etici e importanti valori religiosi.
Assecondò, perciò, il figlio, che mostrò i primi segni della sua vocazione al sacerdozio già quando serviva messa al padre Michele Sarubbi, il quale, come molti suoi confratelli barnabiti stiglianesi, trascorreva le vacanze estive nel paese natale. Lo faceva in quella chiesetta dei Sacri Cuori, che, a vederla oggi in uno stato di deplorevole abbandono, rende più acuta la nostalgia del tempo in cui pulsava di vita, soprattutto in estate grazie alla presenza attiva e amorevole del barnabita che veniva da lontano.
Il piccolo Giuseppe, come accadeva a tanti ragazzi dei nostri piccoli paesi nella prima metà del secolo scorso, rimase in famiglia fino all’età di 11 anni. Terminate le scuole elementari, grazie all’interessamento di Padre Giuseppe De Ruggiero fu accolto nel seminario minore della comunità barnabitica di Arpino, dove frequentò con lusinghieri risultati tutte le cinque classi ginnasiali.
Dopo aver emesso la prima professione a San Felice a Cancello, si trasferì allora nel rinomato Istituto “Alla Querce” di Firenze, dove ebbe peraltro come insegnante di matematica e fisica Michelino Ciruzzi, pur egli stiglianese, che in quell’Istituto fu docente severo ma apprezzato per oltre quarant’anni.
Conseguita nel 1955 la maturità classica, trascorse alcuni anni a Roma per dedicarsi agli studi teologici presso la Pontificia Università Urbaniana. Nel 1959, due anni dopo aver espresso la professione solenne, all’età di ventitré anni fu ordinato sacerdote nella chiesa romana di Sant’Antonio Maria Zaccaria.
Da quel momento iniziò il suo intenso e fecondo ministero sacerdotale, che lo vide operare in varie sedi in cui i barnabiti da circa tre secoli svolgevano la loro mirabile opera. Con vari incarichi fu impegnato nel Collegio Davanzati di Trani, nella Scuola Apostolica di Arpino, negli Istituti Denza e Bianchi di Napoli, nel Collegio del Santuario della Madonna del Buon Cammino di Altamura e, infine, all’Istituto San Luigi di Bologna. L’intensa attività dei primi anni di sacerdozio non gli impedì di laurearsi nel 1969 in lettere classiche presso l’Università Federico II di Napoli e di diventare un valente studioso di epigrafia latina.
Ammirevole per l’Instancabile operosità, Padre Montesano insegnò a generazioni di giovani studenti e per molti fu una guida spirituale saggia e sapiente. Il suo viso, sempre aperto a un franco e rassicurante sorriso, invitava ad affrontare la vita con senso di responsabilità, accettandone con serena fiducia le immancabili avversità. Egli era convinto, come il suo amato Manzoni, che Dio «non turba mai la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande».
Padre Montesano nutrì un forte senso di appartenenza alla comunità barnabitica e al paese natale, che ne ispirava i comportamenti, generava empatia, alimentava sentimenti di condivisione. Ne ebbi percezione fin da quando io ero ancora uno scricciolo di scuola elementare e lui ormai era prossimo al sacerdozio. Con delicatezza mi convinse a fare il chierichetto e a servire messa in una lingua per me oscura, il latino, nella amata Cappella della “nostra Villa”.

I miei ricordi di Padre Giuseppe Montesano
P. Montesano a una processione a Stigliano, foto di R. De Rosa

Risale ad anni più recenti, quando io ero già anziano e in pensione, lui quasi ottuagenario ma ancora iperattivo, un altro episodio, curioso e significativo. Ricevetti un giorno una telefonata inattesa, mentre mi accingevo a opporre resistenza alla noia incombente in un afoso pomeriggio domenicale. Era Padre Montesano, che mi annunciava di essere in macchina e di essere diretto a Parma insieme con l’inseparabile don Mimì Chirico. Avrebbe avuto molto piacere, aggiunse, di incontrarmi.
Non esitai naturalmente a raggiungerli. Mi spiegò allora che aveva deciso all’improvviso quel breve viaggio per riparare all’imperdonabile errore di non aver mai visitato la Deposizione dell’Antelami, pur vivendo ormai da alcuni anni a Bologna. Visitammo il Duomo e il Battistero, girammo per il centro storico della città ducale, cercammo invano un suo cugino che non vedeva da molto tempo. Dopo una sosta rigeneratrice in un bar, dove conversammo amabilmente di arte, di letteratura e, ça va sans dire, di storie stiglianesi, a sera ci lasciammo soddisfatti del piacevole incontro.
Ma la prova più sorprendente del duplice sentimento d’amore di Padre Montesano per i barnabiti e per il paese natale, io l’avevo avuta personalmente già alcuni anni prima del nostro incontro parmense. Fu quando gli comunicai che era stata programmata una presentazione all’Università di Basilicata del mio lavoro su Padre Vincenzo Cilento, che egli aveva molto incoraggiato. Ne fu contento e mi disse che sarebbe stato ben felice di esserci e avrebbe cercato di organizzarsi. In realtà, ero molto scettico sulla sua presenza, considerati i suoi gravosi impegni scolastici e la lunghezza del viaggio.
Ma nel giorno stabilito, il 22 ottobre 2004, con mia grande sorpresa lui era già a Potenza, quando io arrivai da Stigliano con alcuni colleghi ed alunni. Mi attendeva e intanto conversava con la professoressa Marisa Tortorelli Ghidini, allieva del Cilento, e col professore Arturo Martorelli, membro dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Salutandoci, mi disse che era oberato di impegni, ma non aveva resistito e proprio all’ultimo momento aveva deciso di salire in macchina e di partire dalla lontana Bologna. Con grande semplicità me ne spiegò la ragione: era orgoglioso sia come barnabita che come stiglianese e, perciò, aveva voluto condividere l’emozione dell’evento.
Ho visto Padre Montesano e mi sono intrattenuto con lui più volte anche in occasione della sua ultima permanenza a Stigliano. Casualmente eravamo arrivati al paese lo stesso giorno. Grazie alla generosità di Ambrogio Malvasi, un caro amico scomparso di recente, trascorremmo insieme una magnifica serata e dopo cena conversammo nella “nostra Villa” fino a tardi.
Fra l’altro ci confidò il grave dispiacere provato per la chiusura del “Bianchi” di Napoli, seguita a quella, pur essa dolorosa ma necessaria, del Collegio “Alla Querce”, di cui si era occupato in prima persona.

P. Montesano, Comunicazione chiusura del Bianchi

La scomparsa di quei due storici Istituti rappresentava la fine di un’epoca gloriosa non solo per la comunità dei Padri Barnabiti, ma anche per le città di Firenze e di Napoli.
Tornato a Bologna alla fine di agosto, le non buone condizioni di salute di Padre Giuseppe peggiorarono in breve tempo e iniziò allora un lungo e doloroso Calvario. Me ne teneva informato il caro don Mimì Chirico, il quale con tristezza mi ripeteva che purtroppo il “Grande Capo”, come con affetto amavamo chiamarlo, stava male e negli ultimi tempi aveva bisogno di un’assistenza continua.

P. Montesaano, ricordino

Da poco meno di un mese Padre Montesano abita un lembo di cielo, dove, disse poetando il suo illustre confratello e concittadino, «pregan, le mani congiunte, / le anime dolci dei santi». Di lassù ora sorride a tutti coloro, e furono tanti, che ebbero il privilegio di conoscerlo e molto lo amarono durante il suo pellegrinaggio terreno.

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