Antonio Martino e il tempo dell’attesa

Ho conosciuto Antonio Martino solo tre anni fa, e in maniera un po’ irrituale, quando Gilberto Marselli mi invitò a seguire il blog “Rabatana bagatelle e cammei” e a intervenire con qualche mia riflessione.
In un primo momento pensai, erroneamente, che mi avesse rivolto l’invito per sostenere e incoraggiare l’iniziativa socio-culturale di un giovane tricaricese, che gli stava particolarmente a cuore. Cosa che non mi poteva meravigliare, considerato il suo forte legame con Tricarico originato dalla fraterna amicizia con i due grandi Rocco, Scotellaro e Mazzarone.

Grande fu la mia sorpresa, quando, leggendo sul blog alcuni scritti di Antonio Martino, scoprii immediatamente di essermi imbattuto sì in un individuo “giovane” per curiosità e vivacità intellettuale, ma quasi coetaneo di Gilberto e amico, lui stesso, di Rocco Scotellaro, di cui era di qualche anno più piccolo e della cui memoria si era fatto quasi sacerdote laico.

da sinistra, Antonio Martino e Rocco MazzaroneNon mi fu difficile comprendere che Antonio Martino era persona dotata, oltre che di una vasta e profonda cultura, di una rara sensibilità umana. Creò, infatti, subito le condizioni perché io non avvertissi alcuna soggezione e potessi serenamente interloquire con lui.

Non feci neppure fatica a riconoscerlo come un sacro custode della memoria storica di Tricarico, dove si era trasferito all’età di 11 anni dalla natia Palazzo san Gervaso e dopo due anni di permanenza ad Accettura.
Il paese arabo-normanno della provincia di Matera diventò presto per Antonio luogo dell’anima, perché le vicende della vita lo portarono via lontano sin da adolescente e lo “obbligarono”, per motivi di studio prima e poi di lavoro, a vivere a Potenza, a Napoli, a Modena, a Ferrara. Non stupisce, perciò, che egli non abbia esitato a scrivere che Tricarico è “l’amato paese della mia giovane età, dove tornerò per sempre, quando il tempo dell’attesa sarà compiuto”.

Detto della irritualità con cui è nato il mio sodalizio con Antonio Martino, che per me è stato molto arricchente, ma velato dal forte rammarico di essere iniziato, ahimè, con molto ritardo, è ora di entrare in argomento e di dire qualcosa sulla sua ultima fatica letteraria.

Qualche giorno fa, Antonio, confermando la sua generosa attenzione nei miei riguardi, mi ha inviato in dono, preziosa strenna natalizia, il suo libro, appena pubblicato da RCE Multimedia di Napoli. S’intitola “Sparse Nugae – Nel tempo dell’attesa”.
Il titolo riprende, con tutta evidenza, il nome con cui furono indicati i primi sessanta componimenti dei 115 (o 116?) carmina che compongono la raccolta del poeta latino Catullo. Lo spiega nella prefazione lo stesso autore, ricordando che “nuga” significa ciancia, cosa di poco conto o, riprendendo il termine usato per indicare il suo blog, “bagatella”. Ciò che importa, egli aggiunge, è che le sue nugae “ricordano qualche dettaglio della vecchia Tricarico, amici che non ci sono più, l’amato paese della mia giovane età …”.

A me preme, a questo punto, solo puntualizzare che l’opera di Martino non contiene solo cose di poco o nessun conto, ma anche pagine rilevanti, che rivelano, proprio come in Catullo i cosiddetti “carmina docta”, grande spessore culturale, raffinatezza stilistica e sensibilità critica.

Ne fanno fede, in particolare, due testi che assumono, a mio avviso, un valore esemplare. Nel primo si legge una analisi lucida e penetrante della celeberrima ode oraziana dedicata a Leuconoe: quella, per intenderci, del tanto celebre quanto malinteso “Carpe diem”. Il secondo, “Chitarella”, dà conto di una storia intrigante recuperata ad opera di coltissime persone napoletane. L’autore coglie anche lo spunto per evocare quell’atmosfera di religiosa meditazione, che regnava nella casa di Benedetto Croce e che, ricordo en passant, è stata stupendamente rappresentata in una bella poesia di padre Vincenzo Cilento, il barnabita stiglianese che fu amico del filosofo e assiduo frequentatore di palazzo Filomarino.

Il libro di Martino è un corposo e denso volume di oltre trecento pagine che apre davanti agli occhi del lettore una prateria lussureggiante di fatti, eventi, aneddoti, che hanno come epicentro Tricarico, ma che si allargano verso più ampi orizzonti, grazie alla capacità dell’autore di contestualizzarli nella storia regionale e nazionale. E così, come in un film avvincente, scorrono davanti agli occhi del lettore le immagini dei tre tragici disastri ferroviari che si verificarono in Lucania-Basilicata tra il 1888 e il 1944. Ma anche della visita del Duce, di storie legate al Ventennio fascista, delle epiche giornate della nascita della Repubblica dopo la conclusione del secondo tragico conflitto mondiale.

Sterminata è, pertanto, anche la galleria di personaggi noti, meno noti o ignoti ai più, i cui profili sono tracciati con una scrittura limpida e accattivante. Non solo Rocco Scotellaro, Raffaello Delle Nocche, Pasquale Gagliardi La Gala, Antonio Albanese, Abdon Alinovi, Renato Bitossi, Mario Trufelli, ma anche Vituccio u strazzàrë, Fruntóne il trainiere, U Brutt, Lallaridd e molti altri ancora.

Alcuni racconti, che vedono protagonisti proprio umili personaggi della vita tricaricese, rappresentati con grande brio narrativo, richiamano alla mente per giocosità ed arguzia, un grande novelliere del Trecento, Franco Sacchetti, autore della celebre raccolta “Trecentonovelle”.

Anche questi personaggi “minori”, insieme con i personaggi più importanti della vita politica, sociale e culturale, contribuiscono a dar vita ad un affresco stupendo non solo di Tricarico, ma della Lucania-Basilicata nel secolo appena trascorso. Insomma, “Sparse nugae – Nel tempo dell’attesa” è un’opera molto significativa non solo per i tricaricesi, di cui dovrebbe essere un irrinunciabile vademecum, ma anche per tutti i lucani. Essa, infatti, aiuta a consolidare la memoria collettiva, che purtroppo negli ultimi tempi è diventata sempre più fragile e rischia in futuro di essere condannata all’insignificanza.

Non rimane che chiudere questa nota con un mio auspicio personale. Che il tempo dell’attesa di Antonio Martino sia il più lungo possibile, affinché i suoi amici e lettori possano continuare a godere i saporiti frutti della sua prodigiosa memoria, della sua scintillante cultura, della sua sincera e non ostentata umiltà.

Angelo Colangelo

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