ANNO NUOVO … VITA NUOVA? Si è appena spento il frastuono assordante delle festività che, secondo un rituale stanco, ha messo in soffitta le pene del 2017 e ha spalancato le porte a un 2018 carico di molte e forti aspettative. L’attenzione di tutti in Italia ora è rivolta a due date fatidiche: il prossimo 11 febbraio, giorno del Carnevale, e il 4 marzo, giorno delle elezioni politiche. Dovranno dar vita, beninteso queste ultime, al nuovo Parlamento e, si spera, ad un nuovo Governo del Paese. Per carità, nessuna allusione malevola nell’accostamento di questi due eventi, anche se la tentazione è forte, considerando gli attori che calcano la scena politica: non tutte persone credibili e autorevoli sul piano etico e culturale, che espongano in maniera chiara ed argomentata idee e programmi; piuttosto falsi e poco allettanti imbonitori da fiera di paese, che esaltano spudoratamente la propria mercanzia. Facendo talvolta a gara a chi le spara più grosse. Intanto, il “popolo sovrano” è scettico e frastornato, deluso e arrabbiato. Come non mai. E non manca chi manifesta spesso un’adesione fanatica ed acritica ad una parte o all’altra, mosso solo da mero opportunismo personale. Voglio ricordare, a questo punto, le parole chiare ed inequivocabili di un giornalista estroso ma acuto: “E non ci sono forze, grandi o piccole, capaci di reagire al cattivo costume politico, perchè nessuno sa più dove risiedono il decoro e la serietà dello Stato. Lo Stato non c’è più, lo Stato non ha volto, ha soltanto un berretto; lo Stato non è più un principio, non è più un’idea, non è più una morale, è soltanto una consorteria; e tutti, tutti i cittadini pensano soltanto ai casi propri, pensano a “campare”, approvano, aderiscono, accettano. La dittatura, cacciata dalla porta, rientra dalla finestra; la dittatura che tenne il potere con le armi ora lo tiene con il consenso, un consenso fatto di noia e di abulia. (…) Ormai gli italiani sono estranei alle faccende nazionali e si adattano a quel che si “decide in alto”, come ieri vi si piegavano, e non se ne accorgono neppure, perchè non hanno memoria critica, ma soltanto memoria sentimentale, per così dire”. Il brano intitolato “I vivi e i morti” e tratto dalla raccolta “Fa lo stesso”, fu scritto da Leo Longanesi agli inizi degli anni Cinquanta del secolo scorso. La sua sorprendente attualità, a distanza di oltre 60 anni, la dice lunga sulla tormentata storia della Repubblica italiana e sulle gravi condizioni della nostra democrazia. Che è molto, ma molto malata.
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