Nell’anno della candidatura di Aliano a capitale italiana della cultura opere importanti si aggiudicano il Premio Carlo Levi. La manifestazione della consegna dei premi si terrà il 29 ottobre 2016 nell’Auditorium del piccolo centro lucano.
Nell’anno della candidatura di Aliano, unico fra i comuni lucani, a capitale italiana della cultura per il 2018, il Premio Letterario Nazionale “Carlo Levi” taglia il traguardo della XIX edizione. E lo fa con l’affermazione di opere di indiscusso valore: Appia di Paolo Rumiz per la Narrativa; L’arse argille consolerai di Nicola Coccia e La pittura dell’800 in Puglia di Christine Farese Sperken per la Saggistica Nazionale; il saggio Grassano Melitense di Nicola Montesano nella sezione regionale.
Sono opere degne della nobile tradizione del Premio, che negli anni è stato assegnato a grandi narratori quali Dacia Maraini, Isabella Bossi Fedrigotti, Michele Prisco, Alberto Bevilacqua, Vincenzo Cerami, Giuseppe Pontiggia, Giorgio Montefoschi, Tahar Ben Jelloun, Raffaele Crovi, Carmine Abate, Giuseppe Lupo, Guido Conti. E, per la saggistica, a personalità altrettanto prestigiose come Lorenzo Mondo, Walter Pedullà, Gerardo D’Ambrosio, Gianni Riotta, Pino Aprile, Gianni Oliva, Stefano Rodotà, Giovanni Russo, Ariel Toaff. Ed altri ancora.
In Appia Paolo Rumiz racconta la vita e la morte, la storia e la leggenda, il bello e il brutto, il bene e il male che gravitano intorno all’antica via romana per 612 chilometri da oltre ventitré secoli.
Il libro, estraneo alle romanticherie dei narratori stranieri del Grand Tour, è molto di più di un semplice testo odeporico e di un diario di viaggio, perché realizza un ben riuscito «amalgama di archeologia, inchiesta, paesaggio, etnologia e impressioni personali», offrendo un interessante spaccato del nostro “Bel Paese”.
La narrazione si caratterizza per una scrittura asciutta e densa, atta a «registrare le voci dei luoghi», che, a intermittenza, s’accende con improvvisi barbagli di immagini icastiche, talora intrise di pura liricità.
Emerge, alla fine, come sia stata nel tempo offesa e violentata, «dimenticata in secoli di dilapidazione, incuria e ignoranza» e «presa talvolta a picconate peggio dell’Isis», la «madre di tutte le vie», che il grande Orazio celebrò in una delle sue satire più belle e che nell’Ottocento attirò l’attenzione di scrittori, archeologi, storici e artisti vari.
In sostanza, quello compiuto e descritto dallo scrittore e giornalista triestino si potrebbe considerare un viaggio soteriologico, perchè non solo rappresenta il ritrovamento di un amico perduto, ma diventa lo strumento per una ricognizione e un recupero della nostra mappa morale e spirituale. E invita alla riscoperta razionale e sentimentale delle proprie radici.
La pubblicazione del giornalista fiorentino è il coronamento di un faticoso, paziente e intelligente lavoro di ricerca, durato ben sei anni, durante i quali l’autore non solo ha consultato molte fonti d’archivio, ma ha inseguito e incontrato molti personaggi che conobbero Carlo Levi o addirittura recitarono un ruolo importante nell’universo leviano. Da Giovanni Colaiacovo, immortalato in un celebre dipinto con la sua capra Nennella al farmacista Giovanni Maiorana, da Manlio Cancogni a Vittore Branca, dagli Ichino ad Annetta Olivetti, e molti altri ancora.
L’opera di Coccia, perciò, non solo arricchisce la sterminata bibliografia di Carlo Levi, uno dei grandi protagonisti della storia politica, culturale ed artistica nazionale del Novecento, ma ha il grande merito di illuminare aspetti finora ignorati o poco conosciuti della biografia umana, politica e intellettuale dello scrittore e pittore torinese.
Soprattutto in riferimento a un periodo fondamentale, qual è quello della permanenza a Firenze negli anni drammatici della Resistenza prima e poi della Liberazione, che per la prima volta è stato ricostruito organicamente e raccontato con grande perizia attraverso una scrittura lucida ed incisiva. Sono gli stessi anni in cui, come testimonia con ammirevole puntualità Coccia attraverso le sorprendenti informazioni ricevute direttamente da Manlio Cancogni, Carlo Levi si convinse a fatica a scrivere Cristo si è fermato a Eboli, il libro che lo avrebbe reso famoso nel mondo e a cui Aliano avrebbe finito per legare il suo nome.
Riveduto e ampliato nella edizione del 2015 anche per quanto concerne l’apparato fotografico, esso è distinto in due sezioni, una dedicata al primo Ottocento, l’altra, molto più ricca, al secondo Ottocento.
Qui ampio spazio è dedicato a Giuseppe De Nittis, la cui figura è stata oggetto di studi più approfonditi negli ultimi venti anni, come attesta l’inaugurazione a Barletta nel 2007 di una Pinacoteca a suo nome.
Importanti novità nell’ultima edizione del saggio sono un aggiornato dizionario biografico degli artisti e un ricco apparato bibliografico, che concorrono ad offrire un quadro esaustivo dell’arte pittorica nella Puglia dell’Ottocento, non limitata agli artisti di origine pugliese e della realtà museale della regione.
Oggetto di studio è l’arrivo dei Cavalieri giovanniti a Grassano, che viene letto e interpetrato in un contesto ampio e complesso, ossia come opportunità offerta dal territorio grassanese di rifornire l’Oriente di prodotti cerealicoli. La microstoria del piccolo comune lucano diventa, pertanto, una piccola ma preziosa tessera musiva di una composizione più ampia, di cui è protagonista l’Ordine di San Giovanni Battista di Gerusalemme, che ne decide la fondazione.
Con tale ricerca accurata e originale l’autore contribuisce a recuperare le radici e l’identità di un paese, che, come altre comunità lucane, conobbe l’avvicendarsi nei secoli di molte culture.
V. Angelo Colangelo