Missili atomici americani in Basilicata

Cinque anni fa veniva tolto il segreto sui documenti americani relativi all’installazione nei primi anni ’60 di testate nucleari nelle basi militari dislocate in Puglia e in Basilicata. La gara tecnologica che vide contrapposti russi e americani già dalla fine del secondo conflitto mondiale, e che diede inizio al cosiddetto periodo della Guerra fredda, si concretizzò con la supremazia dei russi che alla fine del 1957 dimostrarono al mondo di potersi dotare  di missili intercontinentali in grado di colpire, anche con testate atomiche, oltreoceano.

 Ciò destò molta preoccupazione negli Stati Uniti e grande apprensione in Europa dove i paesi aderenti alla NATO si aspettavano dagli americani una risposta valida ed efficace contro un eventuale attacco sovietico.
La risposta non si fece attendere: La NATO fu rinforzata militarmente con missili balistici Jupiter di raggio intermedio che soltanto da basi europee avrebbero potuto raggiungere e colpire quelle russe.

 Nel 1958 Italia e Turchia accettarono di ospitare l’installazione di quei missili.
La disponibilità ad ospitare gli Jupiter non era per l’Italia solo una scelta per motivi di sicurezza e di difesa.
Le caratteristiche tecniche di quell’arma ormai obsoleta avevano un valore politico molto più alto di quello militare, perché erano il simbolo di una risposta immediata ad un eventuale attacco dei sovietici, della presenza americana a difesa degli europei, del prestigio che conferivano al paese che le deteneva.
In quel momento, del resto, non esisteva nessuna alternativa che fosse altrettanto valida dal punto di vista tecnico e militare.

veduta da satellite della base di lancio dei missili IRBM Jupiter vicino a IrsinaGli accordi fra Roma e Washington vennero conclusi attraverso uno scambio di note che, a differenza di un  trattato, permise di aggirare le eventuali difficoltà politiche che l’opposizione avrebbe potuto frapporre in parlamento al momento della ratifica; fu  appunto la volontà di evitare questa possibile reazione negativa ad indurre l’allora governo di centro Fanfani a procedere con cautela, suggerendo agli americani di condurre a termine la missione con la massima riservatezza, facendola apparire non come un incremento dell’arsenale atomico già presente in Italia, ma come un’ordinaria attività militare.

Una rampa di lancio dei missili IRBM Jupiter Il 25 settembre del 1958 L’Unità diede la notizia che l’Italia avrebbe ricevuto dagli Stati Uniti due squadroni di missili nucleari.
In seguito a ciò furono indirizzate diverse interrogazioni al ministro della Difesa, Antonio Segni, il quale, fedele al segreto che copriva la vicenda, rispose affermando che l’acquisizione di quei missili rappresentava una fase di aggiornamento dell’arsenale italiano rispetto alle moderne innovazioni tecnologiche, per cui non si trattava di una questione dai risvolti politici.
Da parte della sinistra non solo si sollevarono forti dubbi sulla sicurezza di queste armi ma si sottolineò che l’Italia si sarebbe messa in una posizione di aperta sfida nei confronti del mondo socialista.

Nel marzo del 1959 ci fu una votazione sulla richiesta al governo di presentare alle Camere il testo degli accordi sui missili, ma la proposta della sinistra fu bocciata con 133 voti contrari.
L’Italia aveva il controllo sul lancio dei missili, ma le testate atomiche rimanevano di proprietà americana e mantenute separate dai vettori, per cui non sarebbero state affidate agli italiani in nessun caso.

Il lancio prevedeva il sistema della doppia chiave: una, per l’inizio del conto alla rovescia, in possesso di un ufficiale italiano e l’altra, per effettuare l’ultimo decisivo passaggio, in possesso di un ufficiale americano.

Il sito considerato strategicamente ottimale in cui impiantare le rampe era l’Italia meridionale ed in particolare le zone della Puglia e della Basilicata: infatti fra queste due regioni vennero individuate nove località, nelle quali sarebbero sorte dieci postazioni di lancio ognuna ospitante tre missili.

Mappa delle basi di lancio dei missili JupiterLe località erano: Acquaviva delle Fonti, Gioia del Colle, Altamura (due basi), Gravina di Puglia, Laterza, Mottola, Spinazzola, Irsina e Matera.
I missili, dunque, vennero affidati all’Aeronautica Militare Italiana, i cui ufficiali opportunamente addestrati negli Stati Uniti, furono assegnati ad una delle dieci basi, per ognuna delle quali erano disponibili circa centotrenta uomini.  Venne così costituita la 36a Aerobrigata Interdizione Strategica (AB-IS).
Cinquanta megatoni pari a 50 milioni di tonnellate di tritolo dalla potenza di 3.500 bombe atomiche uguali a quella che nel 1945 distrusse Hiroshima.

Quei megatoni costituivano la potenza dei trenta missili statunitensi Jupiter, pronti ad essere lanciati verso l’Urss e i Paesi del blocco sovietico dai dieci siti, nel raggio di 45 chilometri dall’aeroporto militare di Gioia del Colle.

Nel territorio di Acquaviva delle Fonti, nel gennaio del 1962, precipitò un MIG bulgaro: fu la prova che i sovietici sorvegliavano l’attività della 36a Aerobrigata.
Il personale americano fu subito sul luogo dell’impatto per prelevare materiali e prove.
Si ipotizzò negli ambienti militari italiani che il pilota del MIG stesse scattando delle fotografie alle basi missilistiche, oppure che stesse effettuando delle prove per capire fino a che quota sarebbe stato intercettato dai radar, i quali in effetti ricevettero due segnali della sua presenza finché l’aereo volava ad alta quota  ma che poi lo persero di vista quando si abbassò a pelo d’acqua.

Dopo l’incidente due caccia dell’Aeronautica Italiana tennero le basi sempre sotto stretta sorveglianza.L’impatto con le popolazioni pugliesi e lucane fu per i militari delle basi del tutto privo di particolari problemi.

Stemma della 36ª aerobrigata i.s.Il personale della 36a fu accolto bene dalle popolazioni.
Le armi nucleari non rappresentarono per nessuno di loro un pericolo maggiore  delle armi convenzionali, il personale dell’Aerobrigata si riteneva preparato all’eventualità di un conflitto e non mostrava particolare preoccupazione al pensiero di costituire un potenziale bersaglio.
Il fatto che ad essere custodite fossero armi atomiche e non convenzionali non era noto a tutti, e comunque anche chi sosteneva di esserne stato sempre a conoscenza affermava di non aver mai mostrato particolare apprensione per i pericoli che la situazione avrebbe potuto determinare.
C’era poi chi accusava di negligenza le autorità  civili e militari, le quali avrebbero dovuto mettere la popolazione al corrente di ciò che avveniva anche per permettere eventuali evacuazioni in caso di pericolo.

Si conosceva la verità sul fatto che i missili fossero armati con testate atomiche, ma non furono prese iniziative tese ad ostacolare l’attività delle basi perché la popolazione si aspettava di ricavare vantaggi economici dalla presenza dei militari.
Pesanti critiche al modo in cui gli italiani conservavano i missili furono mosse, in un rapporto riservato del 18 settembre 1961, da Alan G. James, funzionario dell’Ufficio per gli Affari europei del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. Oltre a constatare che l’aver condiviso con gli italiani le procedure di lancio costituiva una violazione dell’Atomic Energy Act, rilevò che gli ordigni erano mantenuti «non in sicurezza».

Missile IRBM Jupiter, fase di posizionamento sulla rampa di lancio

Infatti:

* le postazioni di lancio erano sistemate in luoghi deserti e poco sorvegliati.
In un caso, i missili erano addirittura visibili dalla strada e dalla ferrovia;
* le testate dovevano essere stoccate in un edificio di cemento armato a circa 90 metri dalla pista di atterraggio.
L’eccessiva vicinanza alla pista ne aumentava la vulnerabilità;
* le testate erano tenute montate sui missili, invece di essere stoccate al sicuro nei depositi.
Gli stessi missili erano tenuti in posizione di lancio, su piazzole all’aperto;
* i missili erano vulnerabili al sabotaggio: potevano essere colpiti con un normale fucile.
Inoltre, la mancanza di adeguate difese aeree nella zona, rendeva i missili troppo vulnerabili dall’alto, anche da azioni solitarie condotte da piccoli aerei.
Un altro problema era dovuto al fatto che il governo italiano aveva deciso, per motivi politici, di tenere la popolazione all’oscuro della presenza dei missili.
Invece la popolazione era lo stesso al corrente di tali armi, perché queste erano visibili.
Occorre considerare che critiche molto simili furono mosse anche alla Turchia, l’altro paese in cui erano stati schierati gli Jupiter.

Le basi rimasero attive dal gennaio 1960 all’aprile 1963, quando quei missili vennero sostituiti con sistemi d’arma più moderni montati su sommergibili, più difficile da colpire e sotto il controllo esclusivo degli Stati Uniti.

di Salvatore Agneta  (tratto da un articolo di Deborah Sorrenti)

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