Il cuore del Sud nel Telero di Carlo Levi

E’ ancora fresco d’inchiostro, preziosa strenna natalizia, Il Telero di Carlo Levi – da Torino un viaggio nella Questione Meridionale (Edizioni Il Rinnovamento, Torino, 2015, pp. 201, E. 72), un volume pregevole anche per la sua elegante veste tipografica e per la lussureggiante documentazione iconografica, in cui risaltano, con la riproduzione complessiva del dipinto, ben 24 tavole, che ne mostrano suggestivi dettagli.
E’ una interessante opera collettanea, che raccoglie molteplici e importanti contributi critici, in parte inediti, oltre ai testi introduttivi di Mauro Laus, Presidente del Consiglio Regionale del Piemonte, di Marcello Pittella, Presidente della Regione Basilicata, e di Prospero Cerabona, Presidente della Fondazione Giorgio Amendola e dell’Associazione Lucana in Piemonte Carlo Levi, artefici della pubblicazione. Quasi un’appendice il saggio di Caterina Sabino sul «pregiudizio anti italiano nell’esperienza dell’emigrazione transoceanica», che non pare del tutto omogeneo al disegno generale dell’opera.
Significativa senz’altro è la testimonianza di Mario Carbone, il fotografo che seguì Carlo Levi al Sud nel 1960 ed effettuò seicento scatti (!) nel lavoro di preparazione alla maestosa opera pittorica, progettata dall’artista torinese per rappresentare la Lucania Basilicata alla mostra per regioni organizzata a Torino da Mario Soldati in occasione delle celebrazioni del centenario dell’Unità d’Italia.
Telero di Carlo LeviNon meno prezioso è il contributo di Domenico Notarangelo, che propone la sua rilettura del «mondo antico dei santi padri contadini», ispirata dalle pagine del Cristo leviano e affidata a una serie di eloquenti fotogrammi, che fissano con sereno realismo «l’immobilità del tempo e delle cose, la fatica e la stanchezza, e la bellezza di aver vissuto nello scorrere stanco e fatale della disperata esistenza». Ma che intendono anche documentare, attraverso i volti dei bambini soprattutto, i segni del cambiamento, del riscatto, dell’alba di tempi nuovi.
Ad una intelligente (proprio nel senso etimologico di «intus legere», ossia di leggere in profondità) lettura critica del Telero concorrono, poi, una testimonianza dello stesso Levi, un breve contributo del Polo Museale Regionale della Basilicata e il testo di Loris Dadam, che sapientemente contestualizza il complesso dipinto Lucania’ 61 (si pensi che ben 160 personaggi affollano una superficie di 60 mq. di pittura!) nelle diverse fasi dell’evoluzione pittorica di Carlo Levi, dal periodo casoratiano a quello parigino e del confino, fino ai più recenti anni Settanta.
Riguardo al Telero, poi, il contributo critico di Dadam invita a focalizzare i valori formali, che risultano alla fine decisivi per una corretta e piena comprensione di un’opera d’arte: «l’equilibrio e le dinamiche delle forme, dei colori, della luce». E’ la premessa ineludibile ad una visione e ad una comprensione più specificamente estetiche, che vadano oltre gli elementi «politici, ideologici ed autobiografici», acutamente individuati da Giovanni Caserta, che vede nel Telero una magistrale trasposizione pittorica di «tutto il mondo, le miserie e le speranze di giustizia e libertà che erano nel Cristo si è fermato a Eboli».
Ad uno dei sei testi dello stesso Caserta è affidata peraltro la ricostruzione dell’origine e degli effetti del sodalizio fra Levi e Scotellaro, l’ispiratore e autentico protagonista del Telero. Benché sia durato pochi anni per la prematura morte di Rocco, fu un sodalizio importante ed intenso, perché «Scotellaro proiettava in lui tutti i suoi sogni di libertà, riscatto, progresso e successo; Levi vedeva in quel giovane realizzarsi i suoi pensieri o sogni o speranze per il riscatto di un popolo che si liberava da solo, secondo il suo concetto di “autonomia contadina”».
Gli altri saggi del critico letterario materano, alcuni ben noti ai lettori di “cose” leviane, altri inediti, propongono non solo una ricognizione degli elementi politici e civili rintracciabili nel Telero e perciò una sua lettura intertestuale, ma più in generale tratteggiano la Weltanschauung, la visione del mondo, che sorregge e complette l’opera artistica di una personalità proteiforme come quella di Carlo Levi.
A tale proposito Caserta rileva come tutta l’opera leviana possieda una sua intima coerenza sia sul versante letterario che su quello pittorico, «sicché è apparso evidente come i suoi quadri parlino e narrino storie, allo stesso modo che i libri dipingono e rappresentano».
E, a nostro parere, il filo rosso, che percorre ed unisce tutta l’attività di Levi saggista, narratore e pittore, è un senso così profondo dell’umano, che egli sembra incarnare il pensiero dell’antico poeta latino Terenzio: «Homo sum, humani nihil a me alienum puto». Ne sono prova eloquente le parole che lo stesso artista scrive per spiegare il Telero e che sono indicative della sua indole e della sua cultura: «… davanti a noi è la Lucania con il suo contenuto di umanità, di dolore antico, di lavoro paziente, di coraggio di esistere».
E’ il sentimento di fondo che anima «il torinese del Sud» e si traduce poi in quel sentimento autentico di solidarietà e di condivisione verso gli individui e i popoli, che ne ispira l’arte e ne alimenta l’impegno politico. Ciò, insomma, spiega il motivo per cui, come annota ancora Caserta, «Carlo Levi si sentì fratellastro dei lucani e dei vietnamiti, degli emigrati meridionali e dei birmani». Ed è la ragione per cui non mancò di battersi per tutta la vita, perché la giustizia e la libertà trionfassero. Sempre e ovunque, in Lucania e in tutte le Lucanie sparse nel mondo.

V. Angelo Colangelo

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