VOGLIA DI RINASCITA

In estate, quando ritorno a Stigliano e incontro amici, parenti e conoscenti, la domanda di rito è: “Quannə sə vənéutə”; A sta nə pécchə? “Quannə tə nə vai”? A questo preambolo seguono subito delle frasi sconsolate: “Ci hanno tolto tutto”; “Stiamo diventando una masseria”; “Siamo rimasti quattro gatti”…

Due virus, da tempo, tormentano gli stiglianesi. Si chiamano RIMPIANTO e RASSEGNAZIONE.

– Rimpianto per i bei tempi passati (Anni Sessanta) quando il paese per Dimensioni (11.000 abitanti), Servizi (Pretura, Carcere, Uff. del Registro, Uff. del catasto, Agenzia delle Entrate, Comunità Montana, Reparti ospedalieri, Cinema…), Industria e Artigianato (pastificio, molini, botteghe di falegnami, sarti, calzolai, ciabattini, fabbri, maniscalchi, calderai, campanari, muratori, mattonari…), Agricoltura e Pastorizia (migliaia di ettari coltivati a grano, numerosi allevamenti di ovi-caprini) risultava essere una fiorente realtà di montagna, capoluogo di comprensorio e, per questo, soprannominata “Napulicchio”.

Rassegnazione, perché non sembra aver fine la decadenza demografica, economica e culturale di una comunità che, in questi ultimi decenni, non ha saputo ripensare al suo futuro, magari turistico (del resto quale altra vocazione si può dare ad un paese di montagna?); né ha saputo selezionare una leadersheep politica autorevole e in grado di pilotare il cambiamento.

Le frane, inoltre (risposta della terra alla cattiva gestione del suolo da parte dell’uomo) hanno ulteriormente compromesso l’abitato. Le amministrazioni che in questi ultimi decenni si sono succedute, non hanno mai mostrato un approccio analitico della realtà che si andava delineando. Ad uno sguardo esterno, sono parse immobili, prive d’idee e orientate alla mera gestione del quotidiano. Il paese, da lunghissimo tempo, è privo di una guida autorevole e carismatica. Eppure, in tanti hanno provato, almeno per una volta, a gestire la cosa pubblica. In quarant’anni, la comunità non ha saputo esprimere personalità di spicco da cui farsi rappresentare nelle sedi provinciali e regionali, anche per eccesso della frammentazione politica.

Stigliano, la frana a ridosso di via Cilento

Negli ultimi decenni, il paese invece di cambiare ha continuato a galleggiare in balia delle correnti; invece di avviare un progetto organico di trasformazione virtuosa dell’abitato, ha continuato a collezionare solo “perle nere”. Ecco una piccola lista, come i mesi dell’anno:

  1. scarsa attenzione al Centro Storico (il rione chiazza, uno dei quartieri più interessanti del paese);

  2. parziale riqualificazione del Chiano (V. Cialdini, C.so Umberto e le rispettive piazze. In particolare P.zza Garibaldi: un vero sconcio progettuale);

  3. eccesso di sopraelevazioni delle abitazioni (concessioni edilizie eseguite senza rispetto del PRG, tra gli anni ’70 e ’80. I piani delle case sono raddoppiati e talvolta triplicati);

  4. emersione della pietra a vista (una buona iniziativa, anche se tardiva, partita intorno al 2000 e vanificata da un’azione a “macchia di leopardo”, a causa della vastità dell’abitato. A mio avviso, gl’interventi dovevano essere concentrati soltanto su un’area campione. Ad esempio il luogo dello struscio cittadino (Via Cialdini, un tratto di Corso Vittorio Emanuele, Corso Umberto e Via Zanardelli). Avremmo avuto in questo modo il salotto del paese ben curato con la pietra a vista delle abitazioni, che avrebbe mitigato la disarmonia volumetrica delle costruzioni, diventando un modello per altri interventi di recupero.

  5. viabilità disastrata, per scarsa manutenzione, incuria e carenza di abitanti nei vicinati. Idem quella extra-cittadina, afflitta da numerose frane e da mancanza di manutenzione ordinaria;

  6. metodo antiquato di pulizia delle strade, fermo ai primi anni ’50. E possibile che nel 2017 gli stradini debbano ancora usare la carriola e il badile per raccogliere la spazzatura dalle strade?

  7. piano colore stravagante. Entrato in vigore più di 15 anni fa, presenta un ventaglio talmente ampio di cromie da vanificarne l’efficacia;

  8. smembramento di alcuni palazzi storici con relativa perdita delle cappelle annesse;

  9. carenza di infrastrutture sportive funzionali e diversificate (un tendone divelto dal vento rende, da tempo, inagibile l’unica struttura esistente. La cronaca urbana, inoltre, ci riporta alla mente l’aborto della piscina comunale: un edificio di pubblica utilità, quasi completato e mai entrato in funzione. Nessun bagnante ha mai potuto immergere un piede nelle sue acque);

  10. sperpero di denaro pubblico per il mausoleo all’Incuria (l’agriturismo senza fogna, acqua, gas e corrente, edificato sul versante est del Monte Serra);

  11. la lenta costruzione del Polivalente (il nuovo polo scolastico mai terminato, in località Salice. “Fa valentə” a Stigliano significa “fare presto”. Si può chiamare Poli-Valente una struttura che da vent’anni non è stata ancora completata e quando lo sarà la demografia scolastica avrà raggiunto i minimi storici?). La piramide di Cheope in Egitto richiese meno tempo per essere completata.

  12. Il decoro urbano e il senso civico degli abitanti (due temi sui quali occorrerà molto lavorare).

Stigliano, l’albergo sul Monte Serra

Da anni il paese è smarrito e senza memoria. E non sembra esserci consapevolezza del suo declino; forse perché il benessere economico delle famiglie (tante con doppio stipendio ) impedisce di avere una corretta percezione della realtà. Negli ultimi decenni, la comunità non è stata in grado di realizzare né migliorie urbane, né infrastrutture di pubblica utilità e neppure format culturali o d’evasione replicabili con successo di anno in anno. Altri comuni lucani, invece, sebbene più piccoli, hanno saputo fare meglio. Potrei fare un lungo elenco ma non in questa circostanza.

Gli stiglianesi non sono mai stati esemplari nella tutela e conservazione dei propri beni (Dobbiamo ringraziare don Pino, se in questi anni molte opere, grazie a lui, sono state restaurate); né amano confrontarsi con altre realtà più virtuose. Non appaiono dispiaciuti del loro isolamento e della scarsa visibilità all’esterno. Che importa se il paese non è inserito in nessun parco Nazionale, Regionale o Letterario? O non fa parte di alcun circuito culturale che lo leghi ad altre realtà? Nella comunità c’è una tendenza all’autoreferenzialità. Aliano, ad esempio, con il “premio C. Levi” si apre a personalità di spicco della cultura nazionale e internazionale, mentre Cirigliano, con il “Torre d’Argento”, coinvolge personalità di successo della Regione Basilicata. Stigliano, invece, con il “Bentornato” si rivolge esclusivamente ai locali che per qualche ragione si sono distinti fuori del paese.

Persino la “piantina globale della città”, promossa qualche anno fa dalla Pro-loco, non vuole informare i turisti che vengono da fuori ma è rivolta agli stessi abitanti del paese. Sul retro di copertina, infatti, c’è scritto: «scopri la tua città». Quel “tua” è un esplicito invito rivolto agli abitanti del paese e non agli ospiti che vengono da fuori.

Stigliano, la piscina comunale

Questa scarsa interazione con le altre realtà, può forse dipendere da un inconscio appagamento offerto dalla linea dell’orizzonte? Dalla cima del Monte Serra (prima montagna dell’entroterra) l’occhio può spaziare, a 360° e scrutare le murge pugliesi, il golfo di Taranto, il massiccio del Pollino, i monti Raparo, Sirino, Alpi, Viggiano, Caperrino, Lata e Montagna. Il mondo visto dall’alto provoca un’inconscia vertigine, inducendo lo sguardo a ripiegare su se stesso. Infatti, quasi tutte le manifestazioni che si svolgono in paese sono fatte da locali e sono dirette ai locali. Per questo, le iniziative non trovano quasi mai risonanza all’esterno. Ogni anno consulto le proposte inserite nell’opuscolo dell’APT regionale senza mai trovare menzione di iniziative locali ad esclusione di due righe sul carnevale. La stessa assenza si riscontra su altre pubblicazioni dell’APT, su quelle realizzate dal GAL e, in estate, sui quotidiani regionali. Eppure, negli anni, non sono mancate interessanti iniziative: la Festa della Mietitura che per due giorni animava il vecchio quartiere della Chiazza; il Festival dei Baskers, proposto per 4 o 5 anni; la Leggenda del Drago (ambizioso spettacolo autoprodotto); l’evento canoro del 2014 (lunga maratona di cantanti stiglianesi; il cui unico limite era la sua episodicità)…

Il declino del paese oltre che rientrare nel quadro generale di spopolamento “dell’osso appenninico” è figlio dei numerosi errori commessi in passato dai politici e dagli interessi dei privati: veri e propri atti di egoismo sociale. Quando si muovono delle critiche, il rischio è che qualcuno possa offendersi. Non è mia intenzione denigrare una comunità alla quale sento di appartenere profondamente ma semplicemente offrire degli spunti di riflessione. Stigliano è una località montana popolata in larga parte da anziani. Il continuo esodo giovanile, la bassa natalità, la riduzione dei servizi, le frane…, rendono sempre più precaria la permanenza in montagna. Senza una vera presa di coscienza dello stato delle cose, da parte della comunità, non può esserci guarigione. Nel conclave del 12 marzo 2013 il cardinale Bergoglio, futuro papa Francesco, fece questa affermazione che colpì molti cardinali: «La Chiesa è malata e deve prendersi cura di se stessa». Una frase che sembra calzare a pennello per Stigliano.

Attualmente, il paese è capofila del progetto Barca. Un progetto teso a “contrastare la caduta demografica e rilanciare lo sviluppo e i servizi di queste aree attraverso fondi ordinari della Legge di Stabilità e i fondi comunitari”. Si tratta di una straordinaria opportunità per ripartire (che le future royalty petrolifere potranno ulteriormente implementare) purché si sappia realizzare una pianificazione organica, trasparente e condivisa che agisca nel breve, medio e lungo tempo, applicando un metodo progettuale che abbandoni la logica degli interventi a spot. La nuova amministrazione che da qualche mese governa il paese ha vinto la competizione elettore con uno slogan innovativo: “CambiaMente”. Ai nuovi amministratori suggerisco di promuovere un forum di idee, a cui tutti possano contribuire, ricordando che, a mio avviso, la rinascita del paese non può prescindere dalla memoria collettiva e dai valori custoditi dalla cultura di montagna.

Mimmo Cecere

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