Vignette blasfeme: diritto di satira o fattispecie di reato?

A una decina di giorni dalla strage  al  settimanale  francese “Charlie Hebdo”, ribattezzato dalla stampa mondiale come “l’11 settembre di Parigi” e costato la vita a 12 persone tra giornalisti e poliziotti, prendiamo spunto dal tragico evento  per una riflessione giuridica  sull’antefatto che ha spinto gli aggressori all’azione terroristica: le vignette satiriche su Maometto.
Non prima di esserci schierati per l’assoluta condanna inappellabile  a ogni forma di violenza fisica a danno di  giornalisti per via  della loro matita satirica, compresa questa barbarie perpetuata a colpi di Kalashnikov  dai fratelli Kouachi  in rappresentanza dei  gruppi integralistici islamici di Isis e  Al-Qaida,  che hanno rivendicato l’azione in nome della Jihad.
Il termine Jihad è divenuto tristemente famoso dopo l’attentato alle torri gemelle di New York del 2001, e  sta ad indicare la guerra santa contro gli infedeli ad opera dei musulmani, quanto meno di quelli aderenti al braccio armato e violento dell’Islam.
Non si vuole qui affrontare l’intricatissima materia dell’integralismo islamico, con tutte le sue correnti interne  e con la dissociazione dei moderati, che per fortuna sembrano ancora essere a tutt’oggi la maggioranza.
Si vuole piuttosto capire, sul terreno giuridico e con riferimento al casus belli delle vignette, se davvero è il caso di continuare a professarci, al di là dello sdegno per i caduti, ancora tutti seguaci di questo giornale satirico, con lo slogan planetario “je suis charlie” .
O se invece è il caso che qualcosa vada precisato, a bocce ferme, in materia di vignette blasfeme.
E’ l’intento di questo articolo, che vuole spostare il campo di attenzione  al suolo italico,  alla luce del nostro ordinamento giuridico.
Ci chiediamo: cosa sarebbe successo in Italia, se le vignette di “Charlie Hebdo” li avesse pubblicate un giornale di casa nostra?
La prospettiva è di tipo giuridico e concerne due diritti che vengono inevitabilmente a confliggere.
Trattasi del  diritto di satira, garantito dalla Costituzione all’articolo 21 sulla libera manifestazione del pensiero, anche a mezzo stampa, e il diritto alla tutela del sentimento religioso che è ugualmente assicurato dal nostro Ordinamento  dagli articoli 403, 404 e 405 del codice penale. Oltre che dagli articoli 8 e 19 della stessa Costituzione, che sanciscono il diritto di tutti di poter professare il proprio credo religioso, in assoluta libertà e con il rispetto dovuto, da parte di tutti gli altri.
Sgombriamo il campo da un pregiudizio. Qui non si vuole fare un discorso di parte che si riferisca a una sola confessione religiosa: la propria. Ci si vuole riferire piuttosto al diritto che tutela  tutte le confessioni religiose e in particolare il sentimento religioso degli aderenti a  ciascuna di esse che non deve essere offeso da vignette blasfeme, al di là del fatto che esse riguardino Maometto, il Messia o il Budda.
Tant’è che il codice penale oggi vigente in Italia e risalente all’epoca fascista è stato giustamente modificato, alla luce della Costituzione, con l’eliminazione della distinzione fra la Religione di Stato, che era quella cattolica, e i culti ammessi, che erano tutti gli altri. C’era un’evidente violazione del principio di uguaglianza, a favore della Religione cattolica, ma ora questa discrepanza è stata doverosamente eliminata.
Ergo: cosa accade se qualcuno domani pubblica in Italia una vignetta blasfema su una qualsiasi religione?
Anzitutto  occorre intendersi sui termini. Il dizionario della “Garzanti” definisce blasfemo chi “offende con parole o atti ciò che per altri è divino o sacro”.
In questi giorni il giornale satirico di Parigi, pressoché sconosciuto prima d’ora  con appena 60000 copie di tiratura, è stato venduto dopo la strage in 60 Paesi del mondo in 5 milioni di copie, ospitato dalla testata Liberation, con una raccolta delle vignette storiche del passato  in omaggio ai caduti.
Avendone acquistato una copia ed essendomi soffermato su molte vignette,  sono arrivato alla conclusione che in Italia non poche  di esse avrebbero integrato  il reato di cui all’articolo 403 del codice penale, che è rubricato sotto il titolo di “offesa a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone”.
Per essere meglio compreso circa il contenuto offensivo, sapendo di  rivolgermi a lettori più vicini alla cultura cattolica che a quella islamica, indicherò tre esempi di vignette che prendevano di mira il cristianesimo, ma il discorso vale ugualmente per le vignette su Maometto.
In una era raffigurato Papa Benedetto XVI che all’indomani della sua rinuncia al papato amoreggiava in versione gay con una guardia svizzera al grido: “Finalmente libero!”
Capisco che in molti può suscitare ilarità, questa irridente vignetta, specie a chi si professa ateo o sia di altre religioni. Ma per un cattolico praticante non solo è offensiva per il suo credo nei riguardi del successore di Pietro, ma lo è ancor più verso la persona stessa rappresentata, la quale da ministro di culto si vede raffigurato in veste omosessuale. Capisco che questa cosa  per un ateo o un non cattolico  può non risultare offensiva ma per un Papa certamente lo è, visto che per il suo credo l’omosessualità, se praticata, corrisponde a un peccato. Ne consegue che nella vignetta il Papa è raffigurato in un’azione peccaminosa, e  ciò rappresenta senz’altro un’offesa che va ad integrare il reato di vilipendio di cui sopra .
In un’altra vignetta Gesù sulla croce grida le seguenti parole a un gruppo di Cardinali che si dirigono verso il Conclave: “ Schiodatemi! Voglio votare anch’io!”. E i Cardinali lo ignorano passando sotto la croce indifferenti al richiamo.
Anche in questo caso il diritto di satira  sconfina nell’offesa al sentimento religioso di chi professa, da cattolico, l’assoluta convergenza fra Cristo e i suoi pastori che in Conclave sono ispirati, secondo questo credo, dall’azione divina dello Spirito Santo per l’elezione di colui che è il vicario di Cristo in terra. Appare pertanto  offensivo indicare i Cardinali alle prese con un complotto per eleggere qualcuno  di testa loro facendo intendere, con l’indifferenza verso Cristo, che non si allineano alla volontà divina.
Per completezza d’informazione si sottolinea che il reato in questione, di “offesa a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone”, prima della riforma prevedeva la pena della reclusione fino a 2 anni per l’offesa al semplice fedele e da 1 a 3 anni per l’offesa al ministro di culto, rivolgendosi alla sola Religione cattolica definita Religione di Stato.
Con la Legge di riforma n.85 del 2006 questa fattispecie di reato si rivolge ora alle offese di tutte le confessioni religiose con alleggerimento sanzionatorio alla sola pena pecuniaria da 1000 a 5000 euro, e con l’aggravante da 2000 a 6000 euro se si tratta di offesa a un ministro di culto.
Le vignette contro la Religione islamica risultano altrettanto offensive del sentimento religioso, tanto che Papa Francesco, intervistato sull’argomento durante un viaggio in aereo verso le Filippine ha così risposto: «Si alla libertà di parola, ma non si può insultare la fede» .
E’ per questo che in tutta coscienza mi sento di chiudere  convertendo lo  slogan iniziale, che ha giustamente campeggiato ovunque sul pianeta  in questi giorni  in onore delle vittime, in uno nuovo che  si riferisce invece  al contenuto delle vignette: “ Je ne suis pas Charlie!”.

Giovanni Fortuna

16.01.2015

 

 

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