Viaggio nel vecchio mondo contadino con il fanciullo dell’estate

Viaggio nel vecchio mondo contadino con il fanciullo dell’estate

di Angelo Colangelo

Ragguardevole è la schiera di scrittori, poeti, intellettuali e scienziati tricaricesi, che hanno dato lustro non solo al loro paese natale, ma alla Lucania-Basilicata e all’intero Mezzogiorno d’Italia nel secolo passato. Basti solo ricordare Rocco Scotellaro, Rocco Mazzarone, Mario Trufelli, Antonio Martino, Giovanni De Maria, don Angelo Mazzarone, don Benì Perrone, Pancrazio Toscano, Carmela Biscaglia. Senza dimenticare la poetessa ottocentesca Laura Battista e il sociologo Gilberto Antonio Marselli, allievo di Manlio Rossi-Doria, che possono considerarsi tricaricesi, seppure di adozione. Ora la nobile tradizione letteraria del paese arabo-normanno in provincia di Matera prosegue e si arricchisce, perché alla nutrita ed eletta schiera di autori già noti corre l’obbligo di aggiungere il nome di Cesare Monaco.

Viaggio nel vecchio mondo contadino con il fanciullo dell’estate
Cesare Monaco

Medico anestesista, nato a Tricarico nel 1940 ma operativo a Castellana Grotte nell’Istituto “Saverio de Bellis”, sulle orme di Cicerone e di Norberto Bobbio egli ha inteso valorizzare l’aureo dono della vecchiaia, facendo l’esordio nel campo della narrativa con “Il fanciullo dell’estate. Le vacanze estive della masseria”, prefato da Carmela Biscaglia ed edito dalle Edizioni Giannatelli di Matera. Ḕ un gran bel libro di indiscutibile valore, in cui armonicamente convivono la dimensione socio-antropologica e la poetica rappresentazione della campagna e del mondo contadino lucano negli anni ’50 del secolo scorso, che di lì a poco sarebbe stato fagocitato dall’avvento dell’industrializzazione.
Viaggio nel vecchio mondo contadino con il fanciullo dell’estate – Il lungo racconto autobiografico ruota intorno alla saga dei Monaco, antica famiglia, che entrò a far parte della nobiltà tricaricese già nel XVI secolo e poté annoverare nel suo illustre albero genealogico importanti figure di magistrati, generali, medici e canonici.
Occorre subito precisare che Cesare Monaco, rifuggendo da ogni sorta di narcisismo e di autocompiacimento, cui purtroppo sembrano indulgere non pochi protagonisti di recenti pubblicazioni, si propone di utilizzare le proprie memorie personali con il precipuo scopo di far rivivere con forza la plurisecolare cultura contadina lucana, di cui si sentì partecipe fin dall’infanzia, e con essa il piccolo mondo antico del suo paese natale.
Ispirato, così, dalle dolci memorie delle intense stagioni estive trascorse da ragazzo nella masseria di famiglia a Canaldente, che il padre Mario gestisce con competenza e avvedutezza, l’autore realizza un affresco mirabile della vita contadina, comunicandone ed esaltandone le voci e i silenzi, le asperità e le dolcezze, le ansie, le sofferenze e le gioie. Insomma, le mille e contraddittorie sfaccettature del mondo immortalato dal grande poeta latino Virgilio nelle Georgiche. Il mondo in cui “Labor omnia vicit / improbus, et duris urgens in rebus egestas”, ovverossia l’ostinato lavoro e il bisogno che assilla nelle ristrettezze riescono a vincere ogni cosa.
Già nel breve prologo, che apre “Il fanciullo dell’estate”, strutturato in 28 capitoli e chiuso da un denso ed emozionante epilogo, si percepiscono almeno tre qualità essenziali dell’opera che emergono con progressiva evidenza di pagina in pagina.
Innanzi tutto l’autore mostra di possedere una grande capacità descrittiva, supportata da una straordinaria e insaziabile curiosità e da una premurosa attenzione per i dettagli. Notevole è, poi, la perizia nel tratteggiare i ritratti dei personaggi, mettendone in risalto i tratti fisici e psicologici salienti.

Viaggio nel vecchio mondo contadino con il fanciullo dell’estate -

Rara, infine, è la forza evocativa, alimentata da un flusso di ricordi che risulta ininterrotto, perché a Monaco piace, sulle orme di Pascoli, di Jung e di altri, tenere in vita l’eterno fanciullo che è in ciascuno di noi. Riguardo a quest’ultimo aspetto basti solo ricordare, a mo’ di esempio, la suggestiva scena in cui il suo omonimo nonno, medico chirurgo, durante le sue missioni notturne per le vie di Tricarico si portava dietro con la borsa dei ferri chirurgici “la lanterna a petrolio per rischiarare il cammino della strada poco illuminata e, per farsi vedere, il fidato bastone con la punta di ferro, che serviva non tanto a sostenersi, quanto a segnalare il suo passaggio con un energico ticchettio sul selciato e, per finire, il mantello indispensabile a coprirlo …”.
Nella rappresentazione fantasmagorica dei ricordi d’infanzia che assalgono “il fanciullo dell’estate” dominante è ovviamente la vita della masseria. Molte incantevoli pagine sono dedicate alla trebbiatura, che rappresenta un momento topico nel ciclo annuale dei lavori. La masseria diventa allora un microcosmo effervescente in cui sono protagonisti uomini, donne, animali, macchine. Ma soprattutto la trebbia, “il mostro rosso”, il cuore pulsante della campagna assolata: essa calamita la curiosità del piccolo Cesare, che ne rimane affascinato ed è investito da una tempesta di ineffabili emozioni.

Viaggio nel vecchio mondo contadino con il fanciullo dell’estate
Viaggio nel vecchio mondo contadino con il fanciullo dell’estate – I capitoli finali del libro, invece, sono dedicati ad un’altra esperienza di quegli anni indimenticabili, che rappresenta uno snodo decisivo nel percorso esistenziale dell’autore. Si raccontano, infatti, il traumatico distacco dal paese e dalla famiglia e l’approdo al prestigioso Istituto “Bianchi” di Napoli, avvenuti all’età di undici anni. Inizia allora un tormentato periodo lungo ben otto anni, che sarà alleviato dalla presenza di alcuni sacerdoti e docenti, come padre Mosè e padre Antonio Lavaia, al quale Cesare resterà legato per tutta la vita. Ḕ il tempo di quelli che Vincenzo Cilento, altra leggendaria figura cara a Monaco, poeticamente chiama gli “esilî collegiali” e che pongono irrimediabilmente fine all’incanto della fanciullezza.
Termina così la narrazione de “Il fanciullo dell’estate”, resa ancor più avvincente da una scrittura, che ha, fra tanti pregi, anche il grande merito di utilizzare una ricca serie di termini dialettali, molti dei quali sono poi caduti in disuso. Una scrittura fluente, sobria e antiretorica, limpida nella sua classica compostezza.
Si può concludere qui la nostra breve disamina. Ma, prima di terminare, ci sia consentita un’ultima sintetica riflessione, che, contraendo l’ennesimo debito, piace proporre con parole prese in prestito da Padre Cilento: “Il sentimento della bellezza è una virtù catartica. L’educazione di esso […] conduce alla contemplazione del Bello in sé, che è il regno dello Spirito, vestibolo del regno del Bene”. Ci sembrano parole che ben convengano alla meritoria fatica letteraria di Cesare Monaco.

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