Il 3 agosto è stato presentato nella biblioteca “Rocco Montano” di Stigliano e poi nella pinacoteca “Carlo Levi” di Aliano l’ultimo romanzo di Giuseppe Lupo, Viaggiatori di nuvole.
Dopo i saluti dell’assessore stiglianese alla Cultura Franco Mandile, di Antonio Colaiacovo, Presidente del Parco Letterario “Carlo Levi” e di don Pietro Dilenge, Presidente del Circolo Culturale “Nicola Panevino” di Aliano, sono intervenuti lo stesso autore e V. Angelo Colangelo.
Del relatore si propone qui di seguito una recensione del bel romanzo dello scrittore di Atella, che negli ultimi anni ha avuto importanti riconoscimenti per la sua attività narrativa.
Quest’ultimo lavoro in ogni caso conferma la pienezza della maturità artistica raggiunta dallo scrittore lucano per la raffinata tecnica stilistica, le felici opzioni linguistiche e per l’abile congegno dell’architettura narrativa.
Data la complessità dell’opera, policentrica, polifonica e strutturata in tre parti, è velleitario proporne una sintesi esauriente della trama e perciò se ne indicano solo le linee generali.
La prima parte vede protagonista Zosimo Aleppo, un giovane veneziano, di famiglia ebrea, lavorante nella stamperia di Erasmo Van Graan. Incaricato da quest’ultimo di mettersi alla ricerca di un giovane chiamato Pettirosso per entrare in possesso delle sue pergamene contenenti un importante libro di invenzioni o un catalogo di sogni, Zosimo nel 1499 parte da Venezia e intraprende un lungo e avventuroso viaggio che lo porta prima a Milano, poi a Mantova, infine in Francia.
S’imbatte in una schiera impressionante di personaggi (soldati mercenari, cavalieri, artisti, servitori, tavernieri, mercanti, ladri, saltimbanchi), fingendosi lui stesso, di volta in volta dipintore di stanze, mercante di libri, soldato mercenario, frate.
Un significato particolare, se non decisivo, assume nel contesto narrativo l’incontro con Nuevomundo, una ragazza misteriosa e affascinante, che per qualche verso e in maniera sfumata evoca la figura dell’indimenticabile Angelica dell’Orlando Furioso.
Nella seconda sezione la scena si sposta ad Atella, che nel 1496 è occupata dai francesi e assediata dagli aragonesi. La guerra, successiva alla partenza di Carlo VIII, vede protagonisti tra gli altri Ferrandino e il suo alleato Francesco Gonzaga, cognato e nemico dunque di Gilbert di Montpensier, marito di Chiara Gonzaga. Ma il vero protagonista è Ismaele Machelecco che, mentre attende a scrivere le memorie del viceré francese, in prima persona racconta anche la storia del padre Mosè e della sua famiglia, giunta in Italia dalla lontana Trebisonda.
Nella terza parte si torna avanti di qualche anno, al 1500. Zosimo Aleppo con una lettera inviata da Tolone all’illustre copista Vinicius de Pamphili di Mantova, cui raccomanda di prendersi cura di Nuevomundo, annuncia che si appresta a imbarcarsi per Napoli per continuare la ricerca del chierico Pettirosso.
Di quest’ultimo è riuscito appena a sapere, infatti, che è nativo di Atella, che si chiama in realtà Ismaele e che è figlio di un orafo giudeo, il quale gli ha consegnato le pergamene ricevute a sua volta da un frate. Questi frammenti di notizie alimentano ancora di più in lui il desiderio di entrare in possesso del suo «libro di fantasie da mandare subito alle stampe».
Anche in quest’ultima parte realtà e immaginazione finiscono per fondersi, creando un’atmosfera di suggestivo incantamento, che non senza ragione richiama alla mente il poema dell’Ariosto.
La contiguità artistica dell’autore del romanzo Viaggiatori di nuvole all’autore dell’Orlando Furioso è segnata, in effetti, da diverse note rilevanti. Esse possono essere individuate nella capacità inventiva, ma anche nel brio, nella grazia e nella frizzante malizia di un racconto assiduamente animato da avventure e passioni, amori e odii, sogni e disinganni mirabilmente rappresentati da una miriade di personaggi affascinanti.
Salvo che nell’opera dell’autore più recente irrompe la storia, sicché i protagonisti non si muovono più esclusivamente in una scena di favola, ma sembrano agire su un’arena in cui realtà e fantasia felicemente si contaminano.
Essi, perciò, incarnano con verosimiglianza le plurime sfaccettature della condizione dell’umana esistenza con un tono che spesso ondeggia tra lo scanzonato e lo scettico e sempre è incline all’imprevedibilità e all’estro. Ne è una prova il modo con cui è trattato il tema dominante del viaggio, che non è da intendersi solo in senso fisico e letterale, ma anche spirituale e simbolico.
Proprio l’epilogo è al riguardo assai eloquente. L’inseguimento tenace di Ismaele da parte di Zosimo, infatti, diventa la metafora del viaggio quale ricerca spasmodica della verità che, nel momento stesso in cui sembra concludersi con una conquista significativa, si rivela sfuggente o inappagante.
Ognuno da tale tensione intellettuale riceve un senso di legittimo orgoglio, ma anche di insoddisfazione, proprio perché è costretto a prendere coscienza che la verità assoluta e definitiva è inattingibile. E’, insomma, il sentimento della «melanconia», intesa come inquietudine del sapere e poeticamente teorizzata dal Ficino sulle autorevoli orme di Sant’Agostino e di Francesco Petrarca, che rappresenta forse la lezione più alta che noi moderni abbiamo ereditato dalla civiltà umanistica.
E, a nostro parere, in essa risiede anche il messaggio che Lupo ha inteso consegnare, suggellandolo con l’epilogo inaspettato del suo bel romanzo, dove, con grande sorpresa e forse anche con rammarico del lettore, non si verifica un incontro risolutivo di Zosimo con Ismaele.
Vito Angelo Colangelo