Triennale di Milano: “L’inerenza e l’altrove” di Luca Vernizzi

“Penso che il patron di Vernizzi sia stato Matisse; seppure rivisitato su certi esempi del Pop inglese (vedi, soprattutto, Peter Blake)…” Giovanni Testori

Si inaugurerà giovedì 22 settembre alle ore 18:30 presso La Triennale di Milano un’ampia mostra di Luca Vernizzi dal titolo “L’inerenza e l’altrove”. La rassegna è composta da dodici opere di grandi dimensioni e dai relativi studi preparatori, ed è accompagnata dai testi in catalogo di Sandro Mancini, Elena Pontiggia ed Elisabetta Sgarbi.

“Luca Vernizzi, attivo fin dal 1968, è un artista capace di costruire atmosfere e di emozionare attraverso la padronanza di spazi, dimensioni, forme e colori. Un artista che non ha imprigionato il proprio sguardo in una torre d’avorio, ma ha mantenuto un dialogo continuo nei confronti della società e del suo tempo”. Così introduce la mostra in catalogo Claudio De Albertis, Presidente della Triennale di Milano.

L'inerenza e l'altrove di L'inerenza e l'altrove

Ad aprire la mostra l’opera da cui l’esposizione prende il titolo: “L’inerenza e l’altrove”, una tela monumentale (278×350), che è anche installazione: una sedia collocata a “guardare” metaforicamente il paesaggio della tela e che sembra riassumere il senso delle segrete corrispondenze dell’io e del mondo.

Le dodici opere che compongono il percorso espositivo alternano le tecniche della tempera e del collage e gli studi preparatori arricchiscono la rassegna. Il tema della mostra ruota intorno al rapporto tra l’io e il mondo, in cui “rientrano non solo le percezioni sensoriali, ma anche quelle immaginative, la realtà e l’irrealtà, l’esterno e l’interno, reciprocamente avviluppati” come narra il Prof. Sandro Mancini nel suo saggio in catalogo (ed. Skira) “Il segreto di una finestra illuminata”.

Ed è grazie alla lettura attenta e minuziosa di Sandro Mancini che si compie un percorso significativo fra le opere esposte.
Nella seconda opera – il primo pannello del trittico “Destini”– assistiamo allo schiudersi della scatola raffigurante il destino, dinanzi allo sguardo veggente e trasognato del vecchio, immerso nel suo rimemorare, e a quello concentrato ed energetico del giovane adulto, proiettato verso l’attuazione dei possibili che premono in lui. Mentre il secondo è colto nel suo sforzo di scrutare gli eventi che verranno incontro a lui dal destino, il primo tiene serbata in sé la sua interiorità: si volge, forse, a una dimensione trascendente il tempo, a una possibile, irrappresentabile, vita intemporale oltre la morte, che chiama e attira a sé. Questo enigmatico rinviare si rilancia nel secondo, e ancor più metafisico, pannello, “Solstizio d’estate”.

Quindi nell’ultimo pannello del trittico, “Comparse”, due motivi si contrappongono: sullo sfondo, le finestre illuminate delle case di una città rinascimentale, non però chiusa nell’ordine geometrico di un’asettica città ideale, ma viva e pulsante di creative energie umane; in primo piano, invece, un gruppo di persone, ciascuna coi suoi contorni bene definiti, osserva una misteriosa figura, umana o forse no, che pare emergere da una dimensione segreta e chiama a inoltrarsi verso un cammino sconosciuto.

La quinta opera, “Il sonno”, apre il secondo percorso ideale della mostra. In questo pannello l’inerire e il trascendere si condensano nella pregnanza dell’inconscio, con il ribollire delle pulsioni e i fantasmi del desiderio, impossibile a essere colmato: nella nostalgia angosciosa per un amore della trascorsa gioventù si schiude uno squarcio di inatteso azzurro, a evocare i paradisi perduti di Proust, custoditi nell’indistruttibile forziere della memoria.

L’altrove può decentrare l’immediatezza del ‘qui e ora’ anche nella dimensione delle labili ombre, in cui si stempera la vividezza del vissuto. A ciò potrebbe alludere il secondo pannello del trittico dedicato alle Assenze: mentre l’osservatore si sforza di aderire alla realtà percepita, il cielo e la luna alle spalle evocano una trascendente potenza di sfuggimento dalla gabbia situazionale che lo imprigiona, e restituiscono al suo sguardo la sua inconsistente umbratilità, in un gioco di spinte e controspinte che palesano l’instabile, doloroso dimorare su questa terra e sotto questo cielo. Lo stesso tema ritorna nell’ultimo dei pannelli del trittico, la settima opera esposta (“Assenze–così come prima, dopo”). Qui la condizione umana è tratteggiata nei gesti della vita quotidiana, in tutta la sua corposa fatticità, delimitata da una genesi oscura, il momento del ‘prima’, e da un’altrettanto misteriosa, ma solo possibile, ricapitolazione trasfigurante, il momento del ‘dopo’.

Nel terzo ciclo di pannelli, dal titolo riassuntivo “L’antico albicocco morto d’estate”, il primo ricorda come l’albicocco, che nell’infanzia del pittore fioriva e ombreggiava i giochi dei bimbi, adesso è rinsecchito sotto un perentorio sole estivo, continua
a fruttificare nella memoria del pittore, dimorando in essa, sottratta al rovinoso fluire del tempo. La nuvola che interrompe l’omogenea calura di quell’opprimente cielo estivo schiude un varco a un altrove ultratemporale, di cui l’indistruttibilità esistenziale della memoria è sigillo e viatico. Nell’undicesima opera, “Neve”, ciò si ripresenta nel contrasto tra l’intatta bianchezza del senza-tempo e senza-luogo, e la nerezza screziata e corrosa di quanto è destinato a tramontare.

Infine, nell’ultima opera, “Finestra nella nebbia”, il segreto fin qui cercato prende la forma di una finestra illuminata, che squarcia il buio fitto della notte. Forse al di là di quella finestra non c’è niente, forse c’è qualcosa. Ma anche nel primo caso, quel niente cui ineriremmo e in cui sfocerebbe il rinviare all’altrove sarebbe pur sempre indicato dall’enigmatico lumeggiare attraverso la finestra, e dunque si paleserebbe in filigrana come un Nulla pregno di luminose promesse, custodente ulteriori, celate simmetrie. A esse la pittura di Luca, fin dal suo esordio artistico, dà forma e vita.

CITAZIONI

– “…Per me, e non è da oggi che lo dico, Luca Vernizzi è non uno, ma già uno dei maggiori pittori del nostro tempo…” Emilio Radius

– “Personaggi e oggetti che si ribellano o accettano supinamente uno spazio enorme, prepotente.” Paolo Monelli

– “Quando Luca Vernizzi vi passa vicino, prende le sembianze di uno spadaccino di Luigi XIV. I suoi stessi personaggi, dipinti su tele di enormi dimensioni, risentono un po’ di un’era cortigiana, anche se catapultati in piena epoca moderna.” Sebastiano Grasso

– “…mi ritrattava così unito alla tela che veniva da immaginare che il suo sangue scorresse nel dipinto e ritornasse in lui…” Mario Tobino

– “…filtra varie esperienze, da Max Ernst alla Pop, ai realisti spagnoli, con una sillabazione pudica e netta ai confini del silenzio.” Alberico Sala

– “…favorito da una felicità cromatica innata, ma sopra tutto da una mano veloce ed infallibile, che gli consente di evocare e rivelare il segreto di un tempo perduto con eccezionale rapidità. Questo aspetto, così caratteristico di tutta la sua produzione pittorica, è esaltato ed evidenziato con grande efficacia nell’opera grafica, in quei disegni sicuri e potenti nei quali il gesto si fa segno e quest’ultimo si trasforma miracolosamente in forma.” Alberto Agazzani

CENNI BIOGRAFICI

La prima mostra di Luca Vernizzi, alla Galleria Pagani nel 1968, è stata preceduta dall’attività svolta per alcuni anni come critico d’arte al Corriere della Sera con Leonardo Borgese. Successivamente, oltre all’impegno di docente all’Accademia di Brera, si dedica prevalentemente a quello artistico, continuando a coltivare l’attività letteraria con pubblicazioni di ricerca estetica e di proposte liriche. Rassegne di sue opere gli vengono allestite in sedi di interesse pubblico e culturale, oltre che in sedi private, in Italia e nel mondo. Si vuole ricordare la mostra all’Arengario di Milano, oggi Museo del ‘900, patrocinata dal Comune (1979), a Pechino, negli Archivi della Città Proibita, con il patrocinio del Ministero della Cultura della Repubblica Popolare (1996), al Centro Culturale
Borges di Buenos Aires, con promozione dell’Ambasciata (2004), l’installazione di un monumento in onore di Papa Giovanni Paolo II, al Santuario del Divino Amore a Roma(2011).

 

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