Sulla riforma costituzionale

Anch’io voterò no al prossimo referendum costituzionale.
Ma non condivido i toni e le espressioni della lettera del comitato per il no.
Trovo che vi siano molte invettive, affermazioni apodittiche e non dimostrate, ma nessuna ragione concreta perché il no a questa riforma debba prevalere sul si.
Quei toni e quelle espressioni possono fare più danni dei tifosi del si.
Dopo molte letture ed approfondimenti, potrei elencare, argomentandole, una quantità di ragioni, a partire dalla falsa abolizione del Senato o dei nuovi Stati che questa riforma prospetta (ex regioni a statuto speciale), che mi spingono a votare no alla proposta sulla quale saremo chiamati ad esprimerci il prossimo 4 dicembre.
Ma vi sono alcune considerazioni che, a mio parere, andrebbero fatte preliminarmente alla valutazione della bontà delle proposte indicate nella riforma.
La prima: se la Corte ha dichiarato parzialmente incostituzionale la legge elettorale con la quale è stato eletto questo Parlamento, se ne deve dedurre che il medesimo è anticostituzionale, almeno parzialmente.
La domanda allora è: può un Parlamento che è, almeno parzialmente, anticostituzionale proporre una riforma della Costituzione che interviene su ben 47 articoli della stessa?

Ogni proposta di riforma, in particolare se riguarda la Costituzione (che riguarda il patto su cui si fonda il nostro essere cittadini), dovrebbe trovare il più ampio consenso nella società.
Invece questa proposta ha spaccato il paese più di quanto non lo fosse già, non solo nel merito, ma, forse soprattutto, sul chi l’ha proposta (che così ha voluto, almeno all’inizio).
Il pericolo, come già accaduto in passato, è che ogni nuova maggioranza di governo si sentirà autorizzata a fare una nuova riforma a proprio uso e consumo.

Una buona Costituzione dovrebbe limitarsi ad indicare i principi ispiratori delle leggi che poi la attueranno concretamente e non elencare, a volte in modo pedissequo e puntuale, chi e cosa si può o non si può fare; quando poi si presenterà la necessità di dover modificare qualcosa, bisognerà sempre intervenire con una nuova riforma costituzionale?
Ed infine: è possibile proporre una riforma con lo scopo di risparmiare soldi (molto pochi) quando lo si poteva fare (anche più ampiamente) intervenendo sugli statuti di Camera e Senato, con una legge ordinaria o al massimo di rilievo costituzionale?
In effetti questa riforma è confusa e pasticciata, scritta male e poco comprensibile, a volte anche da chi ha una solida cultura istituzionale.
E non è sufficiente affermare che chi voterà no è contro il cambiamento ed a favore della conservazione e dell’immobilità.
Tutti, o sicuramente la maggior parte degli italiani, vorrebbero un’Italia migliore, che corre, anzi un’Italia che cambia verso; solo che molti vorrebbero capire prima: verso dove?

SAVERIO PANARIELLO

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