Le storie belle del sud

Su gentile concessione della rivista letteraria “QUI LIBRI” (Book Time Edizioni, Milano) pubblichiamo il racconto “IL VANGELO SECONDO LA CAVA” di Giuseppe Colangelo ambientato ancora una volta a Stigliano. Protagonista il lucano Antonio La Cava, insegnante per 42 anni, oggi in pensione, delle scuole elementari di Ferrandina (Matera) che, una volta dimessi i panni di “Maestro”, ha deciso di portare, con il suo Apecar usato trasformato in Bibliomotocarro, libri in lettura o in regalo ai bambini dei vari paesini della Basilicata.
Grazie ancora al nostro Giuseppe Colangelo che non perde occasione per valorizzare nei suoi scritti i conterranei e il nostro amato paese.

IL VANGELO SECONDO LA CAVA
Di: Giuseppe Colangelo
Dalla curva a gomito nascosta dietro l’abitazione d’ Cardon’ giungono fievoli le vivaci note della Marcetta Popolare di Ennio Morricone. Il paese è annichilito dal pomeriggio rovente di questo 13 agosto, che non vuole saperne di dare un calcio alla palla di fuoco per mandarla anzitempo dietro le cime della foresta Colonna. Esausti, al pari dei cani acquattati sotto i veicoli parcheggiati alla chi se ne frega, i battagli del convento di Sant’Antonio faticano a martellare i quarti d’ora. Tutta Stigliano langue in un bagno di sudore. Nell’aria immobile, vischiosa, aggirata la casa, un’Ape car 50 sbuca arrancando al ritmo della musica verso piazza Garibaldi, sotto gli occhi impigriti di alcuni piccioni gruganti all’ombra tagliente dei cornicioni.
«Chissà perché… c’è sempre qualcuno pronto a rompere le palle!» farfuglia Totonno con i baffi perlati di gocce salmastre. «In giornate come queste, pure le serpi cercano riparo. Solo ‘sti cazzoni girano una continuazione in macchina e motorino. Speriamo gli spuntino delle emorroidi grosse come ciliegie.»
«E finiscila Totò! Lasciami riposare…» lo rimbrotta la moglie dalla camera da letto.
«Teresì, tu non sai dire altro… Piuttosto, perché non mi chiedi come mai dopo pranzo ho dovuto buttar giù due bicchieri di Amaro Lucano?»
«Cosa vuoi dire, che non hai gradito la lasagna al forno con polpette e salame piccante che mi avevi comandato? Sbaglio, o forse nel tuo piatto non è rimasto proprio niente?»
La musichetta si fa sempre più nitida. Il tre ruote, superata piazza Zanardelli, prosegue tra due fila di edifici sopraelevati, rimandando un’eco senz’anima: sorda come il ventre di una giara dal collo stretto o secca come il picchiettare degli zoccoli dei muli in piena notte? Questo cerca di stabilire Ciccio, distratto dall’avanzare dello strano motociclo. Seduto proprio di fronte, su una panchina all’ombra di un platano e forte degli studi da geometra, spesso è portato a osservare le opere degli altri nella speranza di riuscire, prima o poi, a costruirne una tutta sua. Appunto è assorto nel confronto tra l’architettura di palazzo Salomone, che domina da oltre un secolo piazza Garibaldi, e l’ammasso delle più recenti costruzioni che si arrampicano sgraziate una sopra l’altra.
il bibliomotocarro di Antonio La CavaIl ciclomotore continua ad avvicinarsi. A questo punto, sistemandosi la giacca buttata sulle spalle, Ciccio volge l’attenzione sul motocarro a casetta, con tanto di tegole e comignolo, dipinta con i toni del cielo. Lentamente, il mezzo accosta lì vicino, s’interrompe la musica e una doppia accelerata spegne il motore. Il silenzio torna a regnare sovrano. Anche il calabrone che di tanto in tanto ronzando aveva disturbato Ciccio, sembra essersi dileguato. Tuttavia, per precauzione, lui rotea sospetto lo sguardo per accertarsi che l’insetto non sia prossimo a lanciarsi come uno Stuka sulla sua narice pronunciata.
“Mah, speriamo ka na ven’ ancor’ a romb’ l’ cuazz’” bofonchia tra sé, mentre il conducente dell’Ape car apre lo sportello tamponandosi con un fazzoletto bianco il sudore dal collo e dalla fronte. “E koss’ da donn’ ven’…”
A distoglierlo dalle sue considerazioni è la vocina del forestiero, affaticato dal lungo serpentone di curve cha ha dovuto superare per giungere a Stigliano.
«Sentite. Ho un’arsura che non ce la faccio più. Nel bosco di Montepiano mi sono dimenticato di fermarmi a bere alla fontana e adesso non so dove andare, visto che tutti i bar sono chiusi…»
«Eh, eh, eh. Caro signore» risponde Ciccio, «siete …»
«Lasciamo perdere il signore. Mi chiamo Antonio… Antonio La Cava.»
«Piacere. Io sono Francesco Paolo, tutti però mi conoscono come Ciccio. Allora, vi stavo chiedendo come mai siete finito in questo paesone di lazzaroni… Da dove venite?»
«E’ da stamattina presto che sono in giro. Con il mio Bibliomotocarro sono passato da Garaguso, Oliveto Lucano e San Mauro Forte. Poi visto il caldo, invece di tornare sulla Basentana per rientrare a casa a Ferrandina, mi sono detto che forse era meglio passare dal bosco per viaggiare all’ombra. Purtroppo però, dal bivio di Cirigliano fino a qui non c’è più un albero neanche a pagarlo e mi sono arrostito nell’abitacolo. Ma non ci sono fontane in paese?»
«Una volta eravamo pieni di fontanili. Ormai hanno chiuso pure quelli. Se proprio non ce la fate più, vi posso offrire l’acqua di casa mia.»
«Grazie, ma non voglio disturbare.»
«Quale disturbo… Lo dice anche il Vangelo di dare da bere agli assetati…»
«Beh, se lo dice il Vangelo allora posso approfittare. Comunque non pensavo che a questa quota il sole potesse sciogliere l’asfalto…»
«Eh, sì. Quassù non ci facciamo mancare proprio niente. Caldo, freddo, neve e chiacchiere quante ne volete. Ma fatemi capire, perché con sto’ caldo vi siete messo a girare per questi paesi dimenticati dal Signore?»
«Per regalare libri ai bambini.»
«Regalare libri ai bambini??? Ma se dalle nostre parti si pensa solo a mangià!»
«Appunto io dispenso cibo per la mente.»
«E bravo. Questa mi piace. Però vi devo dire la verità. Quando ho sentito la musichetta del vostro motocarro, ho pensato al solito ambulante di pentole, scope e cianfrusaglie. Poi, quando vi siete fermato qui davanti ho creduto che foste uno di quei migranti clandestini, sapete di quelli che adesso sbarcano in Italia, che magari da soli si costruiscono un’abitazione mobile come quella di Totò cerca casa…»
«Ah, ah, ah! Questa della casetta alla Totò non me l’aveva detto ancora nessuno.»
«Scusate…Posso vedere com’è fatta dentro?»
«Certo. Accomodatevi pure, anche se oggi l’interno sembra un altoforno dell’Ilva.»
Sistemandosi di nuovo la giacca sulle spalle, Ciccio si avvia con passo lento verso l’Ape, gettando uno sguardo sottecchi per controllare se qualche spione li sta osservando da dietro le imposte appannate dei balconi.
«Guarda, guarda…» farfuglia tra sé, aprendo lo sportello posteriore e lasciandosi investire dalla tremenda onda bollente che gli inumidisce la fronte. «I tre porcellini, Kim, Zanna Bianca, Tarta Rughina cerca casa, Cuore, Peppa Pig … mai sentito, L’ultimo dei Mohicani, Io non ho paura, Geronimo Stilton… somiglia un po’ a Topo Gigio. Cristo si è fermato a Eboli, Se questo è un uomo, La Gabbianella e il gatto, Ha… Ha… Harry Potter…»
«Che ne dite, devo essere pazzo?» chiede ironico Antonio La Cava.
«Non credo. No, non credo proprio» risponde Ciccio asciugandosi il sudore con il dorso della mano sinistra. «E poi di pazzi in giro ne basta uno e avanza, che sarei io.»
«Ah, ah, ah! Ma siete proprio un bella sagoma. Io arrivo disperato dalla sete, vi chiedo da bere e invece mi ritrovo più assetato e zuppo di prima a chiacchierare sotto ‘sto sole saraceno.»
«E che ci volete fare, siamo gente del Sud. Una parola tira l’altra e così passa la giornata…»
Dopo una brusca frenata, dei ragazzi a bordo di una Panda con i vetri aperti e lo stereo a tutto volume salutano Ciccio con ampi gesti delle mani.
«Ma dove andate k’ sto’ cuaud’?» dice lui.
«Stiamo partendo.»
«Ma che partite a fa’, se poi dovete tornare…»
«Sì, siete proprio una sagoma» ripete La Cava divertito. «Mi sa che qualche volta vi dovrò portare con me. Sono certo che potreste attirare molta gente intorno al bibliomotocarro.»
«Ma a proposito, avete già mangiato?» ribatte Ciccio cambiando discorso.
«Di solito, quando faccio questi viaggetti, mangio una volta tornato a casa. Durante il tragitto mi arrangio con due fichi secchi e qualche mandorla.»
«Beh, visto che ancora non siete morto di sete, perché non mi raccontate come funziona il vostro lavoro?»
«È molto semplice. Stamattina, per esempio, sono salito a Oliveto Lucano annunciandomi con la solita marcetta musicale. In piazza sono arrivati alcuni ragazzini, delle donne e un paio di vecchietti. Dopo qualche occhiata svogliata, però, si sono allontanati scomparendo tra i vicoli… Tranne un bambino.»
«Scommetto che quando hanno capito che si trattava di libri sono scappati dal terrore …»
«Più o meno… Ma quel ragazzino è rimasto incantato dal mio armamentario, dai libri colorati, al punto da non volerne sapere di spostarsi dal muso del mio tre ruote. Non voleva farmi ripartire. Allora gli ho detto di raggiungere gli amici per giocare con loro. Ma niente. Come se non mi sentisse. Poi all’improvviso mi ha fatto una domanda: “Verrai ancora a Oliveto?”»
«Ci tornerete ancora?» lo incalza Ciccio.
Antonio La Cava volge lo sguardo verso un punto indefinito come se stesse cercando qualcuno, quasi volesse risentire quella voce, quella domanda. Poi fissa i rami dei platani immobili nella piazza deserta, emette un profondo sospiro, abbassa la testa verso il selciato e risponde con fermezza:
«Non ci sono dubbi. Durante l’estenuante tragitto che mi ha condotto fin qui ho pensato molto a quel bimbo. E mi sono detto che è un dovere tornare da lui per premiare la sua curiosità. Questa è la mia missione. Girare per i paesi lucani e portare in prestito o in dono, anche a un solo bambino, la gioia di leggere un libro.»
«Mi sembrate una specie di Babbo Natale della carta stampata…»
«Vedo che l’immaginazione non vi manca.»
«Allora non mi ritenete un bislacco…» domanda compiaciuto Ciccio.
«Niente affatto, appunto mi piacerebbe portarvi qualche volta con me…»
Lo stridente risalire di una serranda trancia bruscamente la conversazione. Antonio La Cava strabuzza gli occhi incredulo, quasi fosse in preda a un miraggio. Ma non è un miraggio. L’American Bar è finalmente aperto. Allora, deciso più che mai, rivolgendosi a Ciccio esclama: «Era ora. Adesso ci possiamo scolare una bella Peroni ghiacciata!»
«Ma non dovevamo andare a bere l’acqua a casa mia?»
«E vabbè, vuol dire che stavolta faremo a meno di seguire le parole del Vangelo.»

© Qui Libri – Book Time 2015

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