Salviamo il Cedro, nulla avviene per caso

Salviamo il Cedro

di Antonio Giannantonio

Salviamo il Cedro – Pur non essendo avvocato, né dottore in scienze forestali, ho deciso di scrivere questo intervento per difendere il diritto all’esistenza del Cedro di Stigliano, poiché anch’io, come tanti altri e come il dottor Michele Colangelo, amo e venero gli alberi, e dunque sono mosso da uguale spirito di considerazione per la vita e la salute di questi maestosi enti vegetali, che sono parte integrante dell’ambiente che ci ospita.

Salviamo il Cedro
Stigliano (Mt), via Cialdini

Ho letto la relazione del dottor Colangelo, ho seguito online il dibattito pubblico organizzato dall’Amministrazione comunale, ho chiesto un parere ad alcune Associazioni ambientaliste qui a Perugia, ho consultato il mio archivio fotografico e filmico sulla storia del verde pubblico a Stigliano, e infine ho maturato una mia visione sul tema in questione. Perciò, senza accampare nessuna pretesa di scientificità, ma solo facendo deduzioni di ordine logico e politico, pongo, con questo scritto, alcune questioni che forse non hanno avuto la giusta considerazione.

Salviamo il Cedro – Sicuramente il mio parere non avrà nessuna rilevanza per il destino del Cedro, né per i tanti cittadini “indifferenti” che hanno già assimilato con fatalismo il verdetto della sua morte. Nemmeno è mia intenzione fare polemiche inutili, o assegnare colpe a chicchessia. Il mio intento è solo quello di stimolare una discussione che liberi veramente le coscienze da ogni “timore reverenziale”, evitando quel tacito fatalismo che ha sempre accompagnato e accompagna la storia del nostro comune di fronte a stravolgimenti importanti, non solo del verde pubblico ma anche urbanistici (come quelli che hanno interessato l’antica chiesa di Sant’Antonio, la chiesa di San Vincenzo, i palazzi signorili, il castello, le tante cappelle rionali, i fontanili, i vicoli, le piazze, i giardini).

Tutti interventi sbagliati che hanno definitivamente deturpato l’aspetto e la storia del paese. Confesso che lo stimolo maggiore ad intervenire mi è stato dato non solo da parte di tanti cittadini che condividono con me le stesse preoccupazioni, ma dalla lettura di un magnifico libro d’arte: “Cento luoghi di-versi” del poeta Franco Marcoaldi e dello storico dell’Arte Tomaso Montanari, che propone un viaggio nell’Italia, attraverso la riscoperta di 100 opere d’arte e 100 poesie, abbinate in un riuscito connubio di rara bellezza e cultura. Tra i cento luoghi proposti un posto è toccato anche ad Aliano, a Carlo Levi, a Franco Arminio.

Li cito perché la loro arte è strettamente legata ai luoghi e ai sentimenti del Sud, alla bellezza dei paesaggi e al “calmo e quieto” vivere in armonia con i tempi della natura. In particolare, mi ha colpito una poesia di Franco Marcoaldi, inserita nella presentazione dell’opera, che sembra alludere al destino del Cedro di Stigliano: «…..Albero o quadro, bassorilievo/ o colle, torrente o capitello/ medesima la cura e la premura/ che dovremmo avere/ per custodire tutto il bello/ che abbiamo ereditato/ Ecco perché, nel cafarnaio/ in cui siamo finiti/ almeno di una cosa sono certo:/ chi non sa apprezzare un albero/ non può apprezzare un quadro./ Perché comune a entrambi/ è la profonda vastità delle radici……». Ecco, questa aurea sentenza sembra spazzare via ogni erudizione accademica, ignara dei contesti e dello spirito che vivifica i nostri luoghi e i nostri borghi.

Salviamo il Cedro – Ci fa comprendere, cioè, che la piazza, la stradina, la chiesa, l’albero, il teatro o il fontanile, sono qualcosa di più di un semplice manufatto: sono la nostra anima comune, la nostra identità collettiva. Come ha scritto anche Carlo Levi «…se amore guarda, gli occhi vedono. Forse è proprio questo il primo dei caratteri che distinguono i comuni dell’Italia: quello di essere il Paese dove si realizza la contemporaneità dei tempi. Tutto è avvenuto, tutto è nel presente. Ogni albero, ogni roccia, ogni fontana contiene dentro di sé gli déi più antichi. L’aria e la terra ne sono impastate e intrise».

Perciò, se parlo in difesa del Cedro, è perché quel Cedro, a sua insaputa, è divenuto un patrimonio comune. Però ha la colpa di rappresentare il paradigma di un costume locale molto diffuso, che assegna al verde pubblico e all’ambiente in generale un ruolo di superflua comparsa nel contesto urbanistico e culturale, e in alcuni casi addirittura di invadente e fastidioso intralcio. A conferma di tutto ciò, basta richiamare gli scempi che negli ultimi decenni sono stati consumati a danno del verde pubblico cittadino, sia attraverso maldestre, ripetute e rovinose potature, sia attraverso tagli e abbattimenti non giustificati, ovvero eseguiti su richiesta di cittadini che mal sopportavano la vicinanza di quelle chiome ombrose, sia durante l’esecuzione di lavori urbanistici, che hanno comportato il taglio indiscriminato di verde pubblico, sia attraverso l’abbandono e la scarsa manutenzione del verde esistente, oppure attraverso numerosi incendi dolosi o colposi, che puntualmente ogni anno interessano il nostro ambiente circostante.

Perciò il tema che pongo è essenzialmente di ordine culturale e riguarda tutti indistintamente, cittadini e amministratori. Ben venga, allora, il Piano di ristrutturazione del verde pubblico che l’attuale amministrazione comunale vorrebbe portare a compimento, ma proprio per sottolineare la valenza di questo progetto, immagino che la prima priorità debba essere quella della difesa, della manutenzione e della qualificazione del verde esistente, con particolare riguardo alle essenze che abbiano un certo valore paesaggistico e urbanistico.

Salviamo il Cedro – Infatti, come per la salute delle persone, anche per quella dei vegetali vale il principio della prevenzione e della cura. Non la legge della paura e del taglione. Insomma, non si ammazza in via preventiva una persona solo perché ha una malattia che potrebbe portarla alla morte. Sarebbe una contraddittoria violazione. O un delitto. Allora è bene farla tutta la storia del Cedro e del suo destino infausto. Poiché da diversi anni (ne sono testimone diretto) sono stati proprio alcuni cittadini del “vicinato” a desiderarne e a invocarne l’abbattimento, con richieste rivolte agli amministratori protempore. Da tempo, cioè, si è subdolamente diffuso e alimentato un preciso senso di paura e di false valutazioni in merito alla “pericolosità” del Cedro, creando le premesse per togliere di mezzo quell’ingombrante presenza. Mancava solo la certificazione della scienza, per rendere esecutiva la sentenza. E guarda caso, la sentenza è arrivata. Per pura coincidenza. Ma le coincidenze sono indizi, che messi insieme diventano una prova. Se è vero, perciò, come diceva Machiavelli, che “i fini giustificano i mezzi” è altrettanto vero che i “mezzi prefigurano i fini”.

E il fine prefigurato da anni per il Cedro era già scritto nell’immaginazione di chi ne ha invocato e richiesto l’abbattimento. Ovviamente molti si scandalizzeranno, adesso, perché oso mettere in connessione alcune coincidenze. Ma a mia parziale difesa posso però documentare (con foto e video) la malafede di chi, anche negli anni passati, ha già adottato questa strategia per venire incontro alle tante “richieste” di chi riteneva inutile e dannosa la presenza del verde pubblico vicino casa propria.

Salviamo il Cedro – Non voglio fare qui l’elenco dei tanti interventi di “manutenzione” del verde, che altro non erano se non tagli e disboscamento, lo farò, mi impegno a farlo, in un prossimo intervento, pubblicando un video, ora in fase di montaggio, in cui sono testimoniati visivamente tutti gli interventi che hanno cambiato l’aspetto e l’origine di tanti luoghi finiti nell’album del dimenticatoio. E forse solo allora si potrà comprendere, di fronte alle distruzioni che si sono fatte, l’insipienza e la leggerezza con cui vengono affrontati i temi dell’ambiente e della bellezza degli spazi pubblici, con particolare riguardo agli arredi urbani, ai giardini, ai monumenti. Un albero, come una rondine, non fa primavera, dirà qualcuno. Cosa volete che sia l’abbattimento di un cedro? Certo. Conosco questa obiezione. Conosco quest’ansia e quest’anelito modernista. È sempre lo stesso dai tempi dell’Unità d’Italia.

È proprio in base a questa obiezione che si sono permessi, per esempio, abusi edilizi e sopraelevazioni, demolizioni e distruzioni fuori da ogni decoro e da ogni logica urbanistica. Si è rincorso il “consenso” o la “clientela”. Così è stato stravolto e cambiato l’assetto urbano senza nessuna armonia o attinenza con la storia e la tipicità locale, ma solo in base alle albagie degli amministratori di turno. Lentamente, cioè, un passo alla volta, senza che i residenti se ne accorgessero, è stato ridisegnato il volto e la struttura fisica del paese, tanto da non riconoscerlo più, per tanti aspetti, come se fosse stato reincarnato in una nuova identità, che non sa né di antico né di moderno.

E purtroppo questa logica continua, senza che s’inverta quella tendenza all’autodisgregazione del passato, delle tradizioni, del folclore, della bellezza e delle radici culturali comuni, rappresentati da un albero come da un quadro, da una rocca come da un portale, da una viuzza in pietra come da un fontanile. Per tutte queste ragioni io mi schiero a difesa della vita, se pur acciaccata, del maestoso Cedro di Stigliano. Come atto simbolico di una visione “artistica e poetica” sia della cultura che della vita. E auspico che anche le Associazioni e i cittadini assumano un impegno in tal senso.

Alla scienza e alla tecnica certamente non mancano le capacità e i mezzi per curare questo anziano compagno di esperienze, nonostante i suoi piccoli mali, che alla luce del “referto” non mi sembrano certamente tanto infausti e mortali. Che si evitino, allora, interventi “preventivi”. Basta solo volerlo. Basta solo avere il coraggio di invertire l’antico e penoso paradigma dell’abbattimento a tutti i costi.

Antonio Giannantonio

20 Aprile 2021

(PS: a corredo dell’articolo sono allegate alcune foto che testimoniano le “manutenzioni” del verde fatte nel recente passato, anno 2013).

Salviamo il Cedro

 

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