LAMPI DI STAMPA: REPUBBLICA INTERVISTA DOMENICO CIRUZZI

Riproponiamo a seguire l’interessante ritratto pubblicato da “La Repubblica” sulla vita e la brillante carriera professionale dell’eclettico Domenico Ciruzzi. Avvocato di talento, protagonista fin dagli esordi in dibattimenti da serie A, nonché regista di teatro e di cortometraggi, ambiti in cui l’estroso agire forense si mescola armoniosamente con la fervente immaginazione artistica.

I volti di Napoli: il tribunale palcoscenico di un avvocato “creativo”, Domenico Ciruzzi Penalista, noto per le sue lotte sul diritto di difesa per chiunque, ma anche appassionato di cultura e autore di messinscene teatrali: il processo, dice, somiglia pure a uno show

di GIANNI VALENTINO

27 marzo 2016

Domenico CiruzziIl rigore e l’estro. Domenico Ciruzzi è un avvocato napoletano. Però è nato a Lecce da una famiglia di origini lucane. Il Sud è nelle sue vene, fluisce assieme a una ambizione esplicita: l’esercizio del senso critico gemellato alla cultura. Sessant’anni, sotto i suoi occhi un terrazzino per scrutare l’irripetibile geometria da abbraccio di piazza del Plebiscito e la consapevolezza che l’innocenza e la colpa sono due profili fragili del mondo. E di Napoli. Si racconta a Santa Lucia, tra le sottili sagome ricevute in dono da Oreste Zevola e il nero luminoso della toga da penalista, adagiata all’attaccapanni.

http://napoli.repubblica.it/cronaca/2016/03/27/foto/i_volti_di_napoli_domenico_ciruzzi-136405265/1/

Ciruzzi, da bambino giocava al piccolo avvocato?
“Proprio da bimbo, no. Ma quando da adolescente studiavo alla Nunziatella e avevamo l’albo degli allievi gli amici lo avevano intuito già. L’idea maturò a 17 anni. Sentivo una passione totale per la cultura umanistica: mio nonno era un notaio, mio padre professore di latino e greco nei licei. Mamma traduceva latino e greco a occhi chiusi. Poi m’iscrissi a Legge, sebbene vivessi in un limbo: il teatro”.

Cioè voleva recitare?
“Mi venne un dubbio sulla coesistenza tra il diritto e la cultura, la giustizia e l’arte. A 23 anni incontrai il mio maestro, l’avvocato Vincenzo Siniscalchi, che mi fece capire come un penalista può essere contemporaneamente un intellettuale. Nella tradizione forense partenopea queste doti erano un dna storico. Smarrito lentamente, nel dopoguerra. Si privilegiava il tecnicismo e invece io credo nel senso critico. Per tenerlo vivo, devi evitare di restare prigioniero della burocrazia. L’analisi tra l’autorità e la libertà del singolo è indispensabile: lo dice l’articolo 3 della Costituzione, pari diritti delle persone. Mai perdere uno sguardo sull’organizzazione sociale, dimenticando di essere indulgente, comprensivo, contro i luoghi comuni. È un impareggiabile esercizio di intelligenza che questo mestiere mi offre quotidianamente “.

Nonostante i suoi incarichi, al teatro non ha rinunciato.
“Impossibile rinunciare. Tra il 1975 e il 1981 con Silvio Orlando e Riccardo Zinna creammo il “Teatro dei resti”, al Vomero. Nel tempo ho tenuto vivo questo fuoco frequentando le sale da spettatore scrupoloso, scrivendo messinscene come “Pregiudizi convergenti”, ispirata da donne contigue al male ma non organiche ai clan. L’ispirazione, posso dirlo, è nata in tribunale osservando madri-eroine abbandonate a se stesse, ma tenaci nel proteggere i figli. Ho scritto pure cortometraggi e collaborato con “Avanzi” della Dandini su Rai-Tre. Adesso trovo il teatro ufficiale assai bolso, in attesa di rinnovamenti, specie nelle interpretazioni degli attori. Preferisco il cinema, che sa raccontare fatti e storie con maggiore fantasia. Penso ad esempio “Underground” di Emir Kusturica”.

Il tribunale rassomiglia a un palcoscenico però e, simbolicamente, il processo è una rappresentazione teatrale: la distribuzione dei ruoli, un copione scritto ma che può cambiare, i finali imprevedibili.. .
“In aula il ricorso alla creatività è indispensabile. Devi saper cambiare registro all’istante.
Sono necessarie competenza tecnica e capacità di cogliere lo sviluppo del dibattimento.
Spesso recupero le esperienze avute con il Teatro dell’Elfo, tra improvvisazione e ricerca. Tanti giudici, pubblici ministeri e avvocati sono in disaccordo con me. Ma io credo che quando indossi la toga serve un’alchimia tra regole e sapere. Certe volte si avvertono più emozioni durante un processo che non in una sala cinematografica o teatrale. Certo, non voglio evocare il Living Theatre di Malina e Beck, ma chi frequenta le aule sa bene cosa intendo”.

Lei è vicepresidente dell’Unione delle camere penali italiane e sono note le sue costanti lotte sul concetto di difesa.
“Guai pensare il contrario. Chiunque va difeso, nell’interesse della collettività. Il giusto processo è un diritto assoluto per ogni persona. Lo dico dopo aver affrontato processi di camorra, terrorismo, affari di colletti bianchi, politici”.

Come si trova il giusto equilibrio tra professione e vita privata?
“Non è agevole ma credo di esserci riuscito. Mio figlio Alfredo ha 18 anni, studia Giurisprudenza. Da quasi due anni, ma dopo una relazione che dura da 25, ho sposato l’attrice Antonella Stefanucci”.

La Nunziatella: cosa le ha lasciato?
“Ricordo che non volevo andarci. Avevo 14 anni, si faceva un concorso per entrare. E non ai fini della carriera militare, come ora. Ai miei tempi si viveva come fosse un vero college. Io ero polemico, ribelle. Studiavo bene e un giorno mi “vendetti” a mio padre, che voleva proteggermi limitando amicizie che allora sfioravano la lotta militante e armata. Mi promise un motorino, se avessi preso bei voti. Riuscii persino a fare un salto di classe: tutti otto in pagella. Dal secondo liceo feci direttamente l’esame di maturità “.

Napoli che genere di città è, secondo lei?
“Dolente. Ma migliore di quanto si racconta.
Non nego situazioni delicate, pericolose, tristi. Eppure la cronaca giudiziaria dice troppo superficialmente le sofferenze di poveri o proletari. Vedendoli ogni giorno, impari che sono indifesi. Includo pure la piccola borghesia. La borghesia ricca e viziata, quella la disprezzo. Barricata in circoli e ville a badare ai propri privilegi. Qui un sindaco deve essere anzitutto una persona onestissima e colta. Deve ispirare fiducia nei cittadini, sfidando anche i poteri precostituiti”.

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