Prima della notte, libro di Mimmo Cecere

Nel libro “Prima della notte” Mimmo Cecere opera una meticolosa e significativa esplorazione dell’universo agro-pastorale in un lembo della Lucania-Basilicata, dando vita alla rappresentazione puntuale di un mondo apparentemente semplice, ma in realtà complesso nella sua strutturazione e nelle sue dinamiche operative, gestionali e relazionali. E che rischia di essere del tutto spazzato via anche dalla memoria, se è vero che già qualche anno fa Pio Rasulo, nella sua lirica “Ero nato tra le macchie”, poeticamente registrava: “Son morti tutti: / pecore e pastori. / Tacciono le fiumare / nelle valli, / sul letto di zoccoli e petraie, …”.
Il mondo dei pastori è, dunque, un microcosmo, che l’autore, stiglianese trapiantato a Segrate da cinquant’anni, radiografa, portandone alla luce gesti e azioni, sentimenti ed emozioni, competenze e valori, costumi e tradizioni, religiosità e magia. Vale a dire, una serie di elementi reali e simbolici, attraverso cui si manifesta la dura fatica di vivere una vita monotona, che varia appena con il mutare ineludibile delle stagioni. E che è avvinta ad una eterna solitudine, in una monocorde circolarità.
In altre parole, si configura un’Arcadia – Antiarcadia, vale a dire una realtà umana più vicina a Virgilio che a Teocrito, perché sui sogni rasserenanti e sulle suggestioni idilliche del paesaggio bucolico del poeta greco di Siracusa prevalgono le dure fatiche quotidiane e le ansie tumultuose della vita cantate nei versi immortali del Mantovano.
L’opera di Cecere è articolata in nove dense sezioni, ciascuna delle quali propone in esergo versi significativi di Rocco Scotellaro, che ben si armonizzano con il contesto. Grazie anche ad una scrittura chiara ed incisiva, emergono i diversi aspetti di una realtà, che è stata fino ad anni recenti parte integrante e importante della storia sociale, economica e culturale lucana. Soprattutto nelle aree interne, qual è il territorio di Stigliano, che, per ragioni facilmente intuibili, è assunto come punto di riferimento anche per ciò che riguarda l’aspetto linguistico e la terminologia settoriale.
Un importante supporto ai testi descrittivi è offerto dalle belle tavole illustrative realizzate dallo stesso autore. Preziose non solo per la fattura tecnica, sì anche per la cifra artistica, esse alla fine si rivelano funzionali alla narrazione e contribuiscono a creare un vivido affresco del mestiere dei pastori. Un mestiere, che spesso arbitrariamente è stato considerato “un piacevole passatempo”, mentre “è un mestiere duro che li espone quotidianamente alle forze della natura e impedisce loro di coltivare le più elementari relazioni sociali”.
In definitiva, il libro di Cecere, frutto di un’attenta e scrupolosa ricerca sul campo e di una fervida ma non fuorviante immaginazione, si risolve in una felice contaminazione di romanzo, memoriale e saggio ed ha il merito non irrilevante di aver recuperato e di trasmettere la memoria di una realtà complessa e significativa nelle sue diverse sfaccettature. E’ un mondo, quello dei pastori, che a tanti può apparire anche insignificante nell’era del postmoderno. Ormai in via di estinzione, esso, invece, ci offre una ulteriore conferma che il nostro presente, oppressivo, estraniante e dagli orizzonti sempre più incerti, non può comunque prescindere dalla conoscenza del passato e che sempre “il futuro ha un cuore antico”.

Angelo Colangelo

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