Pepite lucane: un bel saggio su Francesco Marino di Teana

Non sarà mai troppo grande il rimpianto di Rocco Brancati, noto giornalista di RAI 3 e docente presso l’Università di Basilicata. La sua prematura scomparsa, avvenuta due anni fa, ha privato la comunità lucana non solo di una persona amabile per le straordinarie qualità umane, ma di un intellettuale che in oltre trent’anni di alacre attività ha segnato la storia della cultura regionale.
Con rara competenza e fervido entusiasmo egli ha avuto, più di ogni altro, il grande merito di scoprire e far conoscere, prima agli stessi lucani e poi fuori dai confini regionali, numerose ed eccelse personalità che nel campo della letteratura, dell’arte, delle scienze hanno dato lustro alla Lucania-Basilicata. Con il fiuto del giornalista di razza e col supporto di una solida e raffinata cultura, inoltre, ha anche cercato e trovato autentiche “pepite”, che poi ci ha generosamente ragalato, riuscendo a scoprire e a valorizzare personaggi oscuri ma non meno meritevoli di considerazione.
Delle virtù rabdomantiche di Brancati ci offre l’ennesima eloquente prova il bel saggio di Maria Silvestri, “Francesco Marino di Teana”, da lui stesso prefato e pubblicato dalla Osanna di Venosa.

L’autrice è una lucana di Teana, piccolissimo comune di poco più di 500 anime adagiato su una collina nel Parco del Pollino ai confini con la Calabria, che ha lasciato presto per trasferirsi in Toscana, dove tuttora risiede. Insomma, è una delle tante vittime dell’interminabile diaspora che in oltre un secolo e mezzo di storia unitaria ha disseminato in Italia e nel mondo tante piccole “Lucanie”.

Laureata in Architettura all’Università di Firenze, la Silvestri registrò una svolta decisiva nella sua vita in seguito all’incontro, avvenuto a Parigi nel dicembre 1998, con il suo illustre concittadino Francesco Marino (Teana, 1920 – Périgny, 2012), di cui ricostruisce la prima parte della biografia umana ed artistica, come evidenzia il sottotitolo del saggio monografico a lui dedicato: “1920-1957 da Teana alla Galleria Denise René”. Dopo una breve introduzione e un capitolo in cui si tratteggia un rapido profilo storico di Teana, nei tre successivi capitoli si ripercorre attraverso le avvincenti vicende biografiche lo straordinario itinerario artistico del protagonista.
Tappa fondamentale nella vita di Francesco Marino di Teana è evidentemente la sua partenza, all’età di sedici anni, alla volta dell’Argentina, dove il padre Carmine era andato a cercare fortuna più di dieci anni prima. Il giovane Francesco lascia la numerosa famiglia e il paese e nella sua sacca da viaggio porta con i pochi indispensabili oggetti materiali il ricordo di un’infanzia difficile, che lo ha visto impegnato fin da piccolo nel lavoro dei campi e qualche anno dopo come apprendista muratore. Non rinuncia, inoltre, a portare via con sé un forte desiderio di realizzare i suoi sogni, affinando le inclinazioni naturali che aveva manifestato già nelle prime classi di scuola elementare e durante l’apprendistato con mastro Paolo Capuano. Custodisce, perciò, gelosamente nel suo animo “un paesaggio straordinario e la ricchezza di una cultura, che nonostante le avversità, affonda le radici in un passato glorioso”.

Francesco Marino di Teana
Il saggio della Silvestri, scrupolosamente documentato con puntuali note a pie’ di pagina e un dovizioso materiale iconografico, risulta avvincente come un romanzo. Al racconto degli anni dell’infanzia e della prima adolescenza segue, non senza una trepida partecipazione dell’autrice, la narrazione degli eventi che vedono protagonista il giovane emigrante teanese durante il lungo viaggio oltreoceano e, dopo il suo arrivo in America, negli anni della formazione, molto tormentati anche per l’avversione del padre alle sue scelte esistenziali.
Concluso l’iter formativo, nel 1943 Marino torna in Europa, prima in Spagna e poi nel 1953 a Parigi, tornata ad essere nel periodo della ricostruzione postbellica capitale europea dell’arte. Qui, dedicatosi esclusivamente alla scultura, nascono negli anni Cinquanta le prime importanti opere, di cui in appendice si propone un significativo catalogo. Esse esaltano il rapporto dell’uomo con la natura nella convinzione ferma che dal loro dialogo all’arte è concesso di ri-creare la natura, idealizzandola. E’ in tale contesto di idee che si sprigiona la fervida immaginazione del Marino, «impregnata dell’architettura medioevale», in cui dominano le linee delle cattedrali gotiche, e prorompono intuizioni feconde dello «humus lucano, del ricordo vivissimo delle sue origini, della sua infanzia di pastore».
Maria Silvestri non manca poi di seguire gli incontri parigini dello scultore teanese, che risulteranno decisivi sul piano umano ed artistico, primi fra tutti con Huguette Séjournet che diventerà sua moglie, e con Denise René, direttrice di una Galleria d’arte moderna. La rievocazione di quegli incontri contribuisce ad illuminare il percorso compiuto dal Marino nella febbrile ricerca di un suo stile personale, che alla fine sarà raggiunto con l’individuazione di due elementi essenziali, che ne caratterizzeranno l’arte e la alimenteranno con un vitale nutrimento filosofico: il ruolo plastico dello spazio e il rapporto intercorrente fra la scultura e il contesto urbano.
L’interessante saggio della Silvestri, in conclusione, conferma che forse non era del tutto azzardata l’idea dell’abate Melchiorre Cesarotti, il letterato padovano del Settecento, il quale sosteneva l’opportunità che la critica fosse invocata come decima musa, considerato il notevole contributo che essa offre alla comprensione, alla divulgazione e alla valorizzazione di uno scrittore, di un poeta o, come nel nostro caso, di un artista.

Angelo Colangelo

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