Nóstos

Duecentoquaranta giorni … non otto mesi … proprio duecentoquaranta giorni dopo la mia partenza per Parma al termine delle vacanze estive, ritorno a Stigliano e mi ritrovo in un paese profondamente mutato nella sua apparente ingannevole immobilità. Non ne sono del tutto sorpreso, perché sono stato puntualmente informato degli eventi dagli amici, che per loro ventura sono ancora rimasti.
La luce del cielo continuamente cangiante, in questo sprazzo finale di una strana irridente primavera, esalta i caldi colori della familiare foresta, che quasi si tocca con mano, e della campagna trascolorante, in cui si accendono a intermittenza esplosive macchie di ginestre. Ma accentua anche le recenti orrende mutilazioni, che la natura matrigna e l’insipienza degli uomini hanno prodotto nel fragile corpo di un paese troppo stanco, spossato da vecchi e mai curati malanni.

Stigliano agli inizi del 1900, foto de l'Angolo della memoriaCosì lo sguardo cerca invano il rudere dell’antico Castello, che muto assisté ai miei frenetici e talvolta incoscienti giochi infantili, ed è recalcitrante a posarsi sul baratro pauroso, che di recente si è divorato il Centro Sociale.
Per le strade sono sempre più rari i volti noti di persone, che si fermano a salutare cordiali e rassegnate m’informano sulla triste agonia della comunità, che fu protagonista di una storia spesso importante e comunque sempre dignitosa.
Con il dispetto e la tristezza proprie di chi è stato per molti anni emigrato negli Stati Uniti e ha vissuto gli anni americani con il sogno di un ritorno sereno in un luogo natale accogliente, il mio caro compare Rocco non manca di ricordare addirittura i fasti che avevano meritato a Stigliano l’appellativo di Napulícchiǝ, facendola conoscere per la sua straordinaria vivacità anche lontano dalla regione.
Ora, purtroppo, -egli racconta con orgoglio ferito e con rabbia mal repressa- tanti, giovani e anziani, sono condannati a un assurdo e penoso girovagare fra San Brancato, Policoro e Matera, per provvedere alle più elementari necessità quotidiane o per anche banali motivi di salute.
Sì, ha proprio ragione l’anziano compare ormai disilluso, che visse una gioventù operosa e dinamica, viaggiando freneticamente con il suo rombante OM Tigrotto tra gli sperduti paesi lucani e alla volta di Napoli e Bari, prima di tentare l’avventura americana: il paese sembra essere sprofondato in un irrimediabile stato letargico.
E’ l’effetto, mi spiega un altro Rocco, carissimo amico dalla memoria stupefacente, del pauroso decremento demografico, inimmaginabile solo poco più di cinquant’anni fa. Quando si alteravano addirittura i dati al ribasso, ad evitare che la popolazione risultasse superiore ai 10.000 abitanti, quanti in effetti erano, affinché non si istituisse una terza farmacia a danno delle due già esistenti.
Un paese ora agonizzante, Stigliano, e non bastano a risvegliarlo dal comatoso torpore le voci, che risuonano in alcune case improvvisamente riaperte. Sono le voci esotiche di persone apparse come per incanto da mondi lontani. Sono giunte fin qui, fra gli sperduti borghi dell’Appennino materano, al soldo delle potenti lobby agitate dalla febbre dell’oro nero, che provvederanno ad estrarre con cinica violenza dalle viscere della terra lucana, martoriata da sempre. La lasceranno fra pochi anni, più povera e malandata che mai, dopoché ne avranno svuotato anche l’anima.
Stigliano agli inizi del 1900, foto de l'Angolo della memoriaVerso sera, mi affaccio sul corso colpevolmente intitolato al famigerato generale padano, che fu protagonista di gesta invero poco eroiche durante l’assedio di Gaeta dove si era asserragliato il re Borbone Francesco II, al quale, intanto, ancora s’inneggiava per le strade di Napoli.
Alcune persone, immobili come cariatidi, siedono sugli scomodi sedili in pietra, che affiancano l’ingresso del bar, e discorrono amabilmente. Le saluto fugacemente da lontano e attraverso lentamente il breve tratto di strada che conduce al Monumento ai Caduti nelle due guerre mondiali.
Sulle panchine alcuni anziani ripetono per l’ennesima volta i discorsi di sempre, mentre sparuti gruppi di giovani, che stento a riconoscere o che non riconosco affatto, sono impegnati nel rito irrinunciabile dello struscio quotidiano. Mi sembrano pervasi da una forzata e ostentata allegria.
Avvertono già, mi chiedo, che anche per loro arriverà presto il momento della partenza e dello sradicamento? E saranno impietosamente espulsi dalla terra che li ha visti nascere, ma che non è capace di tenerli legati a sé, offrendo un valido progetto di vita?
Anch’essi, penso malinconicamente, sono destinati fra non molto ad una inellutabile fuga, per cercare chissà dove ciò che il paese ha loro negato. Vivranno, come tanti da oltre un secolo, la paradossale sensazione di essere stranieri a Stigliano e stiglianesi a Torino o a Milano o in Germania o in Australia. Ma sperimenteranno, mi auguro, che non esiste un altrove, e invece conta solo ciò che ciascuno si porta dentro.
Sono rapidamente trascorse meno di due settimane dal mio arrivo e riparto per tornarmene nel «Mezzogiorno padano» con l’anima irretita in un arruffio di sentimenti contrastanti. Ma con una convinzione ben radicata nella mia mente e resa più salda da un pensiero di Joseph Roth, che implacabilmente e non casualmente negli ultimi giorni mi ha martellato la testa: «Noi apparteniamo ai luoghi dove sono sepolti i nostri genitori. Anche se non li abitiamo più». Non è una consolazione da poco.

V. Angelo Colangelo

Loading

Seguici sui social

1,667FansMi piace
92FollowerSegui
1,210IscrittiIscriviti

Leggi anche

Leggi anche ...
Related

Una città da leggere e la vampa dei ricordi

Una città da leggere e la vampa dei ricordi di...

Centro Geriatrico di Matera: inviate le lettere di licenziamento

Centro Geriatrico di Matera: inviate le lettere di licenziamento Vertenza...

Apostoli della carità sulle orme di Francesco

Apostoli della carità sulle orme di Francesco di Angelo Colangelo Nel...

Campanili fra storia, poesia e memoria

Campanili fra storia, poesia e memoria di Angelo Colangelo Con il...