Montepiano: Storia di un paese tra fantasia e realtà

Montepiano è un paese dell’Alta Collina Materna, la sua collocazione geografica si trova pressappoco tra Stigliano, Cirigliano, Gorgoglione, Accettura, San Mauro Forte, Craco e Aliano ed è equidistante da tutti questi centri. In passato Montepiano è stato un centro molto importante con una popolazione massima di circa dodicimila abitanti ed oggi, afflitto dai mali comuni di tutti i centri lucani, raggiunge si e no i tremila abitanti, stranieri compresi. Fino a qualche decennio fa in esso vi trovavano sede importanti uffici amministrativi, oggi vi è solo un ambulatorio medico con orari prestabiliti ed aperto per le visite due volte la settimana. Quello che negli anni sessanta era ancora un centro vitale per attività imprenditoriali, artigianato e agricoltura, oggi è l’anticamera della morte, infatti circa l’ottanta per cento della sua popolazione è costituita da anziani pensionati, qualche giovane funzionario pubblico e un buon numero di bighelloni nullafacenti, ma possessori di buone automobili (SUV in particolare). Questo è Montepiano oggi, un paese di cui molti tra i suoi abitanti ne ignorano anche la sua storia. È una lacuna, questa, che occorre necessariamente colmare, perciò iniziamo raccontando la nascita sin dai tempi oscuri dell’Alto Medioevo, spulciando i pochi documenti in nostro possesso.

Le origini di Montepiano vengono sbrigativamente raccontate asserendo che trattasi di un antico centro lucano sorto in epoca normanna. Originariamente sotto la potente diocesi di Tricarico è passato di mano per diverse famiglie nobili eccetera eccetera. Ma alla scarna storia ufficiale vi è la leggenda che vuole sia stato creato da un umile scudiero di nome Fabriciano al servizio di un errante cavaliere normanno Guittone da Montcuiet.

Come tutte le leggende dovrei iniziare questo racconto con “c’era una volta”, invece sono sicuro che la leggenda si fonda su fatti veri e perciò uso un taglio più diretto, quasi giornalistico.

Guittone, il cavaliere normanno, nasce ottavo figlio di un piccolo nobile della bassa Normandia che regna indiscusso su un piccolo villaggio di nome Montcuiet. Come usanza dell’epoca il piccolo regno privato non viene smembrato tra i figli ma ereditato solo dal primogenito e tutti gli altri, maschi ovviamente, devono darsi da fare per crearsi la propria fortuna. Guittone, al compimento dei sedici anni, in compagnia dell’unica concessione paterna, un pressappoco coetaneo apprendista maniscalco di nome Fabriciano, armato di quel poco che possedeva, coraggio incluso, prende la via raminga. Passano pochi giorni e incontra un lontano cugino, sesto figlio ecc. ecc., di nome Ottone da Cotentin, una contrada limitrofa a quella di Montcuiet, che in compagnia di scudiero e cinque fanti si sta avviando a percorrere tutte le strade d’Europa in direzione del tanto agognato paradiso terrestre creato da certi lontani parenti normanni originari della marca d’Auteville ed ora addirittura casa regnante di Altavilla nel sud Italia.

I nostri due avventurieri impiegano quasi due anni per raggiungere il regno normanno impiegando tutto il tempo a guerreggiare al servizio ora di uno ora di un altro temporaneo padrone per procacciarsi i mezzi di sostentamento. Infine raggiungono Melfi, la capitale degli Altavilla. Qui Ottone, ventiseienne, si accasa impalmando un giovane vedova sua quasi coetanea con un figlio e signora di mezzo contado in Mottola, nelle Puglie. Il cugino Guittone, solo  diciottenne, dovrà provvedere diversamente. Al servizio diretto della potente famiglia dei Sarzin trascorre i successivi dieci anni della sua vita a combattere per ogni contado tra Puglie, Campania e Calabria, ivi compresa la Lucania che ancora non ha una definizione territoriale ben definita. Per tre anni successivi combatte come marinaio su una galea regia contro i pirati illirici che infestano le coste adriatiche pugliesi poi, quando oltre al fido Fabriciano ha al suo servizio una piccola armata composta da otto cavalieri e una ventina di fanti, viene mandato, da re Ruggero in persona, in Palestina a dar man forte al cugino re Baldovino di Gerusalemme.

Per nove lunghi anni Guittone combatte una guerriglia davvero strana, fatta di imboscate e fughe tra le dune del deserto arabico per il solo possesso delle poche oasi presenti lungo i percorsi carovanieri. Una guerra sotto il cocente sole a oltre trenta gradi che arrostisce i cavalieri grigliati nella loro lunga cotta. Trascorrono così nove lunghi anni senza gloria né onore fin quando nei pressi della sorgente di Hedda la vita di Guittone subisce un trauma indelebile. La banda di Guittone, che insieme a quella di Jocelin di Haifa supera i cinquanta cavalieri, è da alcuni giorni sulle tracce di una grossa carovana segnalata in partenza da Gaza e diretta ad Aleppo, in Siria. Secondo fidati informatori trasporta ogni ben di Dio in oro e argento ed è scortata da soli trenta armati travestiti da pacifici berberi. La carovana, composta da circa quaranta cammelli, deve passare per le sorgenti di Hedda, sosta obbligata per far rifiatare uomini e bestie.

Gli uomini di Guittone e Jocelin si sono appostati tra le dune a circa un miglio dalla sorgente e aspettano impazienti l’arrivo della carovana che puntualmente arriva nel tardo pomeriggio. I due capi crociati attendono che l’intera carovana sia arrivata e tutti gli uomini intenti a gestire la sosta quando danno il segnale di attacco. Cinquanta cavalieri piombano sulle figure mantellate cogliendoli di sorpresa. Con le spade sguainate fanno orrenda strage, anche Guittone non è da meno. Quando gli si para davanti una figura che voltandogli le spalle corre disperata in cerca di improbabile salvezza egli la raggiunge e issatosi sulle staffe per meglio vibrare il colpo cala un gran fendente sulla figura umana. In un attimo avviene ciò che non si sarebbe mai aspettato. Il fuggitivo arresta improvvisamente la propria corsa spaventato dall’improvvisa apparizione davanti a sé di un secondo cavaliere e di colpo devia la sua corsa verso destra quel tanto di evitare direttamente la spada di Guittone che, invece trancia di netto un piccolo fagotto che quello stringeva tra le braccia. Qualcosa si stacca dal fagotto e rotola sulla sabbia mentre la figura umana rimane immobile a guardare inorridita. Il cavallo di Guittone ha uno scarto e il cavaliere lo costringe a fare un giro su se stesso di trecentosessanta gradi preparandosi a calare un secondo fendente. Allora si avvede dell’oggetto rotondo che rotola sulla sabbia e si arresta trasecolato perché ai suoi occhi appare la testolina di un infante. Il resto del corpo lo stringe tra le braccia la madre terrorizzata. La disgrazia della madre dura un attimo poiché il secondo cavaliere, ormai sopraggiunto e ignaro, a sua volta trafigge il corpo della donna mettendo fine al suo strazio. Con un ghigno feroce il secondo cavaliere si allontana trionfante in cerca di altre prede mentre Guittone rimane immobile a osservale la terrificante scena. Da quel momento egli non sarà mai più lo stesso e la tardiva consapevolezza che la carovana assalita non era altro che una pacifica grossa famiglia di mercanti berberi non fa che acuire il suo tormento.

Sono passati alcuni mesi e Guittone, terminata la sua ferma decennale, in compagnia del solo Fabriciano ritorna in Italia. Le sue intenzioni sono quelle di recarsi presso il fortunato cugino da Cotentin e vivere la restante vita in umiltà ma ancora una volta il destino ha scelto per lui un’altra strada. Poche settimane prima del suo arrivo in quel di Mottola il caro cugino è morto di una misteriosa malattia lasciando di nuova vedova la non più giovane moglie. Ella vorrebbe che il cavaliere normanno si fermasse nel suo paese e divenisse suo sposo perché una donna sola con un figlio adolescente si trova sempre alla mercè di famelici opportunisti. Guittone declina l’invito, pur tra le rimostranze del fido Fabriciano. Egli oggi è alle soglie dei quarant’anni e si avvia sulla strada della vecchiaia, ha un solo scopo ormai nella vita ed è quello di ritrovare se stesso, concesso che per strada si sia smarrito. Fabriciano, di sei anni maggiore, sconsolato lo segue docile e fedele e quando chiede lumi al suo signore si sente rispondere:

“Caro mio, abbiamo in tutto il mondo, abbiamo affrontato pirati,  infedeli, briganti e solo ora mi chiedo il perché di tanto sangue sparso inutilmente, spesso innocente e ancora più spesso in nome di quale vero Dio”

“Zitto, mio signore, volete finire sul rogo come eretico?”

“Ciò che voglio, mio Fabriciano, è sapere la verità. La verità sulla nostra esistenza, sulla nostra infelicità, sul nostro lungo e arcano cammino. Questo e solo questo è ciò che ormai desidero. Perciò prepara i cavalli, carica le provviste che dobbiamo partire”

“Per dove mio signore?”

“Non lo so neanch’io, ma so che da qualche parte la troverò”

Passano i giorni finché stanco e smarrito, si ferma a riflettere.

“per queste misere strade ho incontrato solo gente incolta e spesso incivile. Non è da costoro che posso aspettarmi delle risposte” allora alza lo sguardo intorno finché lo stesso non va a posarsi su un un lontano monte che si staglia alto nel cielo. I villici lo informano che su quel monte risiede un vecchio eremita che pare abbia il dono della saggezza poiché ha le risposte a tutti i quesiti che gli vengono posti. Allora si dirige  decisamente in quella direzione. Avvicinandosi ha modo di osservare meglio il posto. Si distinguono, adesso, due monti, uno più grande dell’altro che hanno insieme un’unica origine. Ad una certa altezza il massiccio montuoso si divide in due tronconi dando origine a due montagne. La prima non è molto alta e termina con un dolce pendio su una rotonda vetta ricoperta di foreste, la seconda invece supera di parecchio in altezza l’altra e si inerpica fin oltre i mille metri con balze scoscese, speroni rocciosi e cavernosi fin sulla grulla cima dove, in una caverna deve trovarsi il vecchio eremita di cui parla la gente. Faticosamente si inerpica da solo con il suo destriero su per le falde. Fabriciano ha deciso di non seguirlo, giù al passo ha notato che sull’altra montagna vi sono delle capanne e quindi vi sarà qualcuno che vi dimora. Confida al suo padrone che lo aspetterà lì, anche per l’intera vita, afferma.

Stanco e affamato, Guittone raggiunge l’umile dimora del saggio, scende da cavallo e cautamente si appresta a varcarne la soglia. Con stupore si accorge del tepore che vi alberga, e con esso una strana sensazione di pace. Si guarda intorno e, quando gli occhi si abituano alla penombra, si avvede che in quella miserrima dimora non v’è altro che uno sgangherato tavolo e alcune sedie ancora più pericolanti. In un angolo un camino emana un po’ di calore misto a zaffate di fumo acre e, poco distante da esso, rannicchiato su un consunto cuscino un vegliardo rinsecchito e dalla barba lunghissima. Al suo fianco l’unico mobile degno di nota: una strana cassetta a forma quadrata quasi schiacciata a terra e, ancora più stranamente, in solide condizioni. In un silenzio più religioso che gravoso, la ferma e pacata voce del vecchio lo fa sobbalzare. Gli era infatti sembrato che anche il vecchio facesse parte di quel misero arredamento.

“entra, cavaliere, ti stavo aspettando” gli si rivolge.

“tu aspettavi me?” risponde stupito.

“si, cavaliere, da tanto attendo il tuo arrivo, ma non disperavo perché sapevo che saresti arrivato, prima o poi”.

“sai quindi, chi sono, da dove provengo….”

“e cosa cerchi” completa il vecchio interrompendolo.

“tu puoi esaudire la mia sete di conoscenza?”

“non io, poiché sarai tu stesso a scoprire la risposta.”

“stento a crederci, vecchio, tu mi prendi in giro”

“non sono mai stato più serio”.

“da molto che stai qui?”

“da moltissimo, ma non sono impazzito, se questo ti preoccupa”

“e non ricordi più da quanto?

“da quando anch’io sono entrato qui assillato dalla stessa domanda che oggi ti angoscia”

“ed hai trovato la risposta?” chiede ora ansioso Guittone, il cui intimo fuoco riprende ad ardere intensamente.

“sì, l’ho trovata”

“e perché sei qui rimasto? Perché non sei andato via?”

“perché attendevo che tu venissi per darmi il cambio, così come io ho dato il cambio al mio predecessore”

“non capisco, vecchio, spiegati meglio”

“siediti intanto e, sulla tua destra dovrebbe esserci del cibo, servitene”. Il cavaliere allora scruta meglio il suo ospite e, muovendo una mano da destra a sinistra, nutre un terribile sospetto che presto gli viene confermato.

“perché non sollevi lo sguardo su di me?

“perché sono cieco e, comunque, guardarti non mi direbbe granché. Non è il tuo volto né il tuo corpo che mi si rivolge”

“allora cosa ti aspetti da me?”

“nulla che già non sappia. Ti cederò il mio posto e andrò via col tuo destriero e tu resterai qui ad attendere in pace con te stesso l’arrivo di un altro cavaliere alla ricerca della verità”. Questa volta il vecchio ha parlato finalmente con chiarezza esponendo esplicitamente i pensieri che agitano la sua mente e lui, senza  alterarsi, pare accettare un destino già scritto.

“allora svelami la verità” gli chiede apertamente.

“è qui dentro” gli mostra il vecchio, indicandogli la cassetta che si rivela essere uno strano cofanetto. Guittone, allora, allunga ansioso le braccia ma un gesto perentorio del vecchio lo blocca.

“no, fermati! Lo aprirai solo quando io sarò andato via”.

“perché?” gli domanda ora sospettoso.

“perché qui dentro ci sono delle riposte personali. Non è giusto né corretto che vengano svelate davanti ad estranei. Quando sarai solo lo aprirai e avrai la tua risposta”.

“sono pronto, vecchio”.

“aiutami a sollevarmi, allora. Prima devo darti un ultimo consiglio”

“Quale?”

“Non avere alcuna fretta ad aprirlo, fallo quando sarai sicuro di volerlo effettivamente. Le risposte che qui vi si celano non fuggiranno da nessuna parte”. Così dicendo il vecchio allunga un braccio che Guittone subitaneamente afferra e, con sua grande sorpresa, scopre con quale e quanta agilità egli balza in piedi e la fermezza con cui si dirige verso l’uscita. Egli adesso si libera dell’inutile armatura ed si accovaccia sul cuscino recante ancora l’eterea presenza del suo predecessore. Sistematosi sul giaciglio rivolge l’attenzione al cofanetto quadrato, simile nell’aspetto ad una scacchiera senza caselle. Al tatto il legno è caldo, liscio e lucido come fosse appena uscito dalla falegnameria. Inconsciamente egli si accorge che  ogni ansia sembra svanire del tutto, leggermente chino allunga una mano verso il cofanetto ma un attimo prima di sollevarne il coperchio si ferma ricordando le ultime parole del vecchio saggio. “fallo quando sarai sicuro di volerlo effettivamente” così ha detto ed quanto basta a farlo desistere. Ha fatto tanta strada ed ora che si trova sul punto di avere le sue risposte qualcosa lo ferma. Si guarda di nuovo intorno e usi accorge che gran parte della sua angoscia sembra sia svanita con il vecchio. Si ferma a riflettere e, infine, si convince che il cofanetto può aspettare.

Da allora sono passati oltre cinque lustri e il cofanetto ancora aspetta, lì al suo posto. Guittone ormai è davvero diventato vecchio con una barba bianca da sembrare un grande patriarca. Con il tempo ha scoperto di avere dentro di sé una grande saggezza che ha portato tanta gente anche da lontani contadi a venire fin sulla cima dell’erto monte a chiedere i suoi consigli. Le tre capanne sulla montagna dirimpetto si sono moltiplicate, il buon Fabriciano ha fatto un ottimo lavoro. Con la sua bontà d’animo si è prodigato verso il prossimo ora esortando ora suggerendo ora allietando raccontando mirabili gesta compiute dal suo signore diventato grande saggio. Dopo quasi trent’anni le capanne sono diventate un centinaio contando circa settanta fuochi. Il nome di Montcuiet, come sempre avviene con i termini stranieri difficili da pronunciare è stato nel tempo storpiato dai villici diventando prima Montequieto, poi Montecalmo e infine Montepiano, nome che ancora oggi distingue il grosso centro. Anche Fabriciano nel tempo ha ottenuto la sua piccola gloria. Morto in odore di santità il ppolo di cui s’è occupato fino all’ultimo non lo ha dimenticato e ha iniziato a venerarne il ricordo attribuendogli fin’anche arcani miracoli. La chiesa non ha mai ufficializzato la sua santità e men che meno la beatitudine ma ciò nonostante oggi si celebra il venti giugno la sua memoria.

Tornando a Guittone, egli è ormai invecchiato e comincia a sentire nelle ossa il gelo dell’eternità. Non ha mai aperto il cofanetto quando un tardo mattino gli giunge all’orecchio l’approssimarsi di uno scalpitio di cavallo. I suoi occhi allora s’illuminano di gioia. Il giorno tanto atteso è arrivato e con esso il prossimo custode del segreto della verità. Prim’ancora che il nuovo cavaliere giunga alla sua dimora, si accosta al cofanetto e con una mano delicatamente lo sfiora come a togliere una secolare polvere. Ha deciso di aprirlo ma sa già quale sarà il contenuto in esso tanto gelosamente conservato. Infatti con un sorriso di soddisfazione, sollevato il coperchio gli appare davanti un semplice specchio.

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