Le statue della discordia

Nel mese di settembre, accendendo il fuoco della memoria, raccontavamo della Cappella, che a Stigliano fu per lungo tempo il cuore pulsante della Villa. Ora, sulla scorta di un dossier di documenti in nostro possesso, ne ricostruiamo la storia originale.

L’edificio fu costruito in epoca imprecisata, probabilmente agli inizi del ‘500, come la Cappèddǝ dǝ la Nǝziòtǝ, ovvero dell’Annunziata, la cui festività ricorreva il 25 marzo. Il primo sicuro riferimento storico in nostro possesso, attinto dal prezioso scrigno de “L’angolo della memoria”, grazie alla disponibilità di Rocco Derosa, risale al 1588, quando la Cappella dell’Annunziata viene citata in un documento relativo alla visita del vescovo della diocesi di Tricarico, Giovan Battista Santoro (1586-1592).

Le scarne notizie, che rivelano essere la cappella «extra moenia, senza diritto padronale e senza rettore […] e non lontano dalla Porta del Castello», trovano poi riscontro in una Compra di Stigliano del 1697, in cui si legge: «Salendo sopra si trova la Cappella della S. Annunziata, coperta a tetti e poco più sopra si arriva alla porta principale detta del Castello, da fuori la quale a mano destra c’è il Castello». Di questi due dati documentari si ha ulteriore conferma nel Catasto Onciario del 1746-1754: «La Chiesa Madre possiede inoltre una Cappella sotto il nome dell’Annunziata, posta fuori le porte del paese».

Situata nello spazio, che subito dopo l’Unità si chiamò Largo Plebiscito e che alla fine degli anni Trenta del ‘900 fu rinominato Largo Marconi, la Cappella presentava una facciata molto semplice, sormontata da un campanile con tre pregevoli campane di diversa grandezza. Furono queste a scandire per anni a Stigliano la vita quotidiana del rione Villa in sintonia con il rinomato orologio del vicino Castello, andato perduto negli anni della guerra. Oggi quelle campane, sulla parte sinistra per chi guardi, sono mute per gran parte dell’anno e riacquistano voce solo nel mese di agosto, in occasione della novena per la festa dei Sacri Cuori, riproducendo uno scampanio piacevolmente familiare, che rimanda, sulle ali della nostalgia, a tempi ormai lontani ma non dimenticati.

Fin qui, comunque, nulla di straordinario in un paese come Stigliano che è stato sempre animato da una diffusa religiosità e, perciò, può annoverare nella sua lunga storia molte cappelle e chiesette, di cui spesso si è persa traccia e memoria.
La storia di quella che è diventata per gli stiglianesi la Cappella per antonomasia, invece, si fa intrigante a partire dalla seconda metà dell’Ottocento.

Accade allorquando una pia donna, penitente, che comprensibilmente vuole mantenere l’anonimato, acquista per devozione e fa arrivare da Napoli due belle statue dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria e nel contempo si adopra per la fondazione di una Confraternita intitolata agli stessi Santissimi Cuori. La Confraternita, in effetti, viene subito istituita con regolare decreto del 27 novembre 1852 e ad essa è affidato l’incarico di far costruire un decoroso Cappellone, adiacente alla Cappella dell’Annunziata, che dovrà diventare luogo di culto dei Sacri Cuori.

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Nel frattempo le due statue vengono date in consegna all’arciprete don Giuseppe Maria Correale, perché siano provvisoriamente collocate nella Chiesa Madre. L’intesa è registrata con un atto notarile redatto presso lo studio del notaio Giuseppe Delmonte, in via della Cavallerizza, e firmato, oltre che dal Correale, da Camillo Vitale fu Gennaro, proprietario, in qualità di Priore della Congrega.

Sorvolando ora su alcuni dettagli, che pure potrebbero risultare interessanti per ragioni non solo storiche ma anche giuridiche e sociologiche, è il caso solo di ricordare rapidamente che per varie vicende ci vollero oltre due decenni perché il Cappellone venisse realizzato. Finalmente, il 31 agosto 1875 il Capitolo parrocchiale, riunitosi presso la Chiesa Madre su richiesta della Congregazione, a larga maggioranza, con 12 voti su 15, delibera il trasferimento delle statue dei Sacri Cuori nella nuova sede, nel rispetto dell’accordo a suo tempo stipulato.

A questo punto, però, don Alessandro Correale, il Curato Economo della Chiesa Madre, si oppone inopinatamente, tra lo sbalordimento degli stessi confratelli, al trasferimento, con motivazioni anche pretestuose, sostenendo peraltro che le statue, dopo essere state sistemate nelle nicchie, non devono essere considerate più beni mobili, ma immobili. Davvero una stupefacente sottigliezza giuridica, che basterebbe da sola a far impallidire l’Azzeccagarbugli di manzoniana memoria!

Passano così alcuni mesi e a nulla vale la certificazione dello stesso Vescovo di Tricarico, Simone Spilotros (1859-1877), che, dopo averlo visitato personalmente, in un documento del 16 giugno 1876, attesta che il Cappellone è stato edificato «con tale maestria, decenza ed eleganza da potersi quivi collocare le due statue dei Sacri Cuori di Gesù e Maria». Nessun effetto sulla triste querelle produce neppure il parere positivo dell’Amministrazione Comunale.

La Congrega dei Sacri Cuori, allora, arriva alla decisione estrema: nominato il Priore Giuseppe Damerino suo legale rappresentante, delibera di intentare causa al Correale presso il Tribunale Civile di Matera, affidando il proprio patrocinio al procuratore Giuseppe Lacovara.

Questi nel lungo ed acceso dibattimento contesta le speciose motivazioni addotte da Vincenzo Ciruzzi, avvocato difensore del Curato Economo, compresa quella per cui il trasferimento comporterebbe il rischio di una insurrezione violenta di alcune persone contrarie alla rimozione delle statue dalla Chiesa Madre. E lo fa non senza indulgere a una certa enfasi oratoria, sostenendo solennemente che «la vis privata s’infrange al cospetto delle leggi». Anzi, l’avvocato Lacovara non manca di richiamare a suo supporto l’autorevole testimonianza di Cicerone, secondo il quale «nihil minus civile et humanum quam, composita et costituta repubblica, quidquam agi per vim». Vale a dire che non vi è nulla di meno civile ed umano che qualcosa sia fatta con la forza in uno stato ordinato e ben organizzato.

Crediamo di dover risparmiare ai pochi lettori di queste note il linguaggio tecnicistico e paludato dei diversi interventi e dello stesso dispositivo della sentenza, che forse farebbe la gioia di qualche appassionato di cause giudiziarie. Mette piuttosto conto di accennare all’esito del dibattimento, per cui s’impone al Correale la restituzione delle due statue entro dieci giorni dalla notifica della sentenza, che viene effettuata il 25 settembre 1876 dall’usciere delle Pretura di Stigliano, Michele Maglione, alla presenza dei testimoni Nicola Dente e Saverio Diruggiero.

Così, il 6 ottobre successivo, «alle ore quindici italiane», le due splendide statue finalmente possono essere portate in solenne processione dalla Chiesa Madre della Chiazza alla Cappella di Villa Marina, che da allora prenderà definitivamente il nome dei Sacri Cuori.

V. Angelo Colangelo

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