La scomparsa di un grande meridionalista

Si è spento ieri a Roma, nella sua casa di Piazza Grazioli, Giovanni Russo uno degli ultimi grandi meridionalisti del Novecento. Nel corso di oltre sessant’anni egli ha voluto e saputo raccontare il Sud qual è, in numerosissimi e impareggiabili reportage, che si connotano per la loro lucidità e concretezza, oltre che in una sterminata serie di saggi, meritatamente assurti al rango di “classici” del meridionalismo. Sempre rifuggendo dal lamento sterile e dalla falsa apologetica.
Nato a Salerno il 15 marzo 1925, si trasferì ben presto a Potenza, dove il padre fu funzionario del Banco di Napoli. Nel capoluogo lucano egli frequentò il ginnasio e il liceo e si formò, diventando a tutti gli effetti un lucano di adozione.
Trasferitosi a Roma per gli studi universitari, esordì giovanissimo come giornalista nel “Mondo” di Mario Pannunzio, prima di scrivere per il Messaggero e poi per il “Corriere della Sera”, dove fu per alcuni decenni inviato speciale, diventando una delle firme più illustri del prestigioso quotidiano di via Solferino.
Attento alle tematiche sociali e civili, le sue analisi rigorosamente documentate alimentarono sia i suoi servizi giornalistici che la sua prolifica attività di scrittore, di cui resta memorabile l’opera “Baroni e contadini”, pubblicato per Laterza nel 1955, che gli valse il Premio Viareggio.
Da quel momento ebbe inizio un susseguirsi frenetico di importanti pubblicazioni, di cui vale la pena segnalare “I figli del Sud” e “Sud specchio d’Italia”. Sempre alla storia recente del Sud è legata un’opera apparsa nel 1981, “Terremoto”, in cui si mette a fuoco la gestione della ricostruzione dopo il tragico evento sismico, che aveva investito l’Irpinia e la Lucania-Basilicata. L’autore fa risaltare, peraltro, come «sulle macerie del Sud» si affaccino «volontari e vittime, camorristi e disoccupati, notabili e razzisti, borghesi e contadini, emigranti e senzatetto».
Dell’attenzione di Giovanni Russo per il Sud sono valida testimonianza anche una raccolta di racconti, “Le olive verdi”, e l’ultima pubblicazione per Rubbettino del 2013, “Nella terra estrema: reportage sulla Calabria”.
Né si possono dimenticare due sapide opere, “Lettera a Carlo Levi” e “Carlo Levi segreto”, dedicate appunto all’illustre meridionalista torinese, che con la sua attività letteraria e politica molto contribuì con Rocco Scotellaro alla formazione intellettuale di Russo. Che, non a caso, ha voluto ricordare a più riprese il suo primo incontro con Carlo Levi a Potenza. Avvenne in occasione delle elezioni del 1946, quando sostenne Levi candidato con Guido Dorso, Alberto Cianca, Michele Cifarelli, Manlio Rossi Doria e Vincenzo Calace nella lista “Movimento democratico repubblicano”, nato dopo la scissione del Partito d’Azione, che il giovane Russo aveva concorso a fondare nella nostra regione nel 1943.
Ma, in chiusura di questa doverosa, seppur lacunosa, rievocazione, non posso non ricordare con affetto e gratitudine la disponibilità di Giovanni Russo a scrivere una illuminante prefazione del mio saggio “Gente di Gagliano” sui personaggi del “Cristo si è fermato a Eboli”. Correva l’anno 1994. Dopo di allora avemmo modo di rivederci in diverse occasioni a Eboli e ad Aliano e sempre i nostri incontri furono per me arricchenti e gratificanti.
Ebbene, in questo momento di grande tristezza, in cui più che in altri momenti le parole risultano vane, mi resta solo da dire con sincera commozione: “Grazie, Giovannino!”.

Angelo Colangelo

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