La cassazione cambia orientamento in materia di assegno divorzile: Addio al mantenimento del ‘TENORE DI VITA’.

di Giovanni Fortuna – Qualcuno l’ha definito un ‘terremoto giurisprudenziale’. Quello suscitato da una recente sentenza della Cassazione – depositata il 10 maggio scorso con il n. 11504/17 – in materia di assegno divorzile. Una decisione che ha spazzato via un principio, finora indiscusso, vigente dal lontano 1970 e sancito dalla Legge n. 898 che ha introdotto il divorzio in Italia.
Di che ‘terremoto’ si tratta?
Procediamo per ordine.
La ragione dell’esistenza dell’assegno divorzile – ossia la ‘ratio’ di questo istituto – risiede nell’inderogabile dovere di solidarietà economica post coniugale.
Fino ad oggi con la Legge 898/70 il giudice del divorzio, per stabilire l’assegno di mantenimento del coniuge meno abbiente – non necessariamente la donna, anche se più frequentemente – osservava il parametro del mantenimento del tenore di vita, vale a dire la continuazione del livello economico di vita che si aveva in costanza di matrimonio.
Ciò avveniva sulla base di una giurisprudenza costante, culminata con una sentenza della Cassazione del 1990 – la n. 11490 a Sezioni Unite – con cui la Corte confermò, come parametro al quale rapportare il giudizio di adeguatezza dei mezzi economici del richiedente l’assegno, il tenore di vita analogo a quello avuto durante il matrimonio.
Un esempio per capirci.
Alla signora Veronica Lario, ex moglie di Silvio Berlusconi, il giudice del divorzio ha statuito un assegno di due milioni di euro al mese, perché tale era il tenore di vita della stessa quando viveva sotto il tetto coniugale di uno degli uomini più ricchi al mondo.
Oggi la stessa Corte disattende la precedente sentenza a Sezioni Unite del ‘90 asserendo, nella pronuncia sopracitata del 10 maggio 2017, che a distanza di quasi ventisette anni, il suddetto orientamento non è più da ritenersi attuale.
La pronuncia si riferisce a un divorzio “eccellente” tra un ex ministro italiano e un’imprenditrice americana. I supremi giudici hanno respinto il ricorso con il quale la signora reclamava l’assegno di divorzio, già negatole con verdetto emesso dalla Corte di Appello di Milano nel 2014, ma con una motivazione diversa rispetto ai giudici di merito.
A far perdere all’ex moglie dell’ex ministro il diritto all’assegno non è il fatto che si supponga abbia redditi adeguati, ma la circostanza che i tempi ormai sono cambiati e occorre “superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come sistemazione definitiva” perché è “ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile. Si deve quindi ritenere – conclude la Cassazione – che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale”.

Con questa sentenza, dunque, il matrimonio cessa di essere “sistemazione definitiva”: sposarsi, scrive la Corte, è un “atto di libertà e autoresponsabilità”.
E il nuovo parametro di riferimento, al posto del tenore di vita, è il raggiungimento dell’indipendenza economica di chi ha richiesto l’assegno divorzile. “Se è accertato – si legge nella sentenza – che (il richiedente) è economicamente indipendente o effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto tale diritto”. I principali indici che la Cassazione individua per valutare l’indipendenza economica di un ex coniuge sono il “possesso” di redditi e di patrimonio mobiliare e immobiliare, le “capacità e possibilità effettive” di lavoro personale e “la stabile disponibilità” di un’abitazione.
Tornando al nostro ex Cavaliere di Arcore, alla luce di questa rivoluzione operata nel diritto di famiglia – visto ‘il mondo che c’è’ oggi – siamo pronti a scommettere che i suoi legali si mobiliteranno al più presto per azzerare l’assegno milionario versato alla sua ex moglie.
Basterà loro dimostrare l’indipendenza economica della signora Lario. Sulla carta, la possibilità che il ricorso venga accolto, è tutt’altro che remota.
Ci permettiamo di aggiungere: a giusta ragione.

(Articolo tratto dalla Rivista bimestrale ‘Il mondo che c’è’, della provincia di Bologna)

Giovanni Fortuna

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