Il mondo piccolo di Antonio Sinisgallo

L’ultimo libro di Antonio Sinisgallo, La ciminiera è pigliata (Napoli, Homo scrivens, 2016), prende il titolo da uno dei quattordici «racconti lucani» della raccolta. Di essi dodici, già pubblicati nel 2007 nel volume Ladro il tempo, sono stati rivisitati ed ampliati, mentre altri due (Il mastro e Il dono di Atena) sono inediti. Interessante è anche l’appendice, che fornisce utili informazioni sull’attività narrativa svolta dall’autore durante e dopo gli anni dell’insegnamento a Napoli.
Sinisgallo è uno dei tanti figli della diaspora lucana, che per molti anni, ovunque sia stato, si è nutrito di albe e tramonti, profumi e visioni di Stigliano, il paese dove è nato nel 1939. Appena undicenne, fu costretto a lasciare il paese, dove le scuole medie sarebbero arrivate solo nel 1957, per proseguire gli studi, nei quali aveva subito dato buona prova di sé. Lo attestavano i suoi esigenti maestri della scuola elementare, il cui ricordo cordiale è affidato ad alcuni sapidi racconti.

Anche per Antonio, come per tanti ragazzi in quegli anni e negli anni successivi, il distacco dalla famiglia, dagli amici, dal paese fu lacerante. Ma rappresentò “la sfida” lanciata a se stesso e agli altri, per cercare un riscatto sociale e un appagamento interiore. Ne fa fede il racconto, che non casualmente dall’autore è stato collocato in apertura del libro e che rivela, nel momento doloroso del distacco, il segno dell’appartenenza a un mondo, che comunque non sarebbe potuto mai più scomparire dai suoi orizzonti.

Quel mondo, con i suoi usi, costumi, tradizioni, riti e miti, Sinisgallo lo ha gelosamente custodito nell’anima, pur standone fisicamente lontano. E, a distanza di anni, lo ha amorevolmente disvelato e sapientemente rappresentato con la sua arte narrativa.
Di esso nei suoi scritti recupera i valori che gli sono indissolubilmente legati, ossia i valori tipici di una società contadina che, pur negli stenti e nelle afflizioni imposte da un’economia di pura sussistenza, sapeva coltivare ed esaltare il rispetto, la solidarietà, l’autenticità dei rapporti umani, la laboriosità, il risparmio, il senso religioso della famiglia.
Con esso, inoltre, l’autore recupera il tempo dell’infanzia, che per ciascuno di noi, forse anche per un’azione distorcente della memoria, è sempre l’età dell’oro, capace di risorgere nell’età matura, come per incanto, con connotati e segni del tutto affascinanti.

Nell’opera di Antonio Sinisgallo rivivono, perciò, i giochi che erano obbligatoriamente creativi e sollecitavano la fantasia e l’ingegnosità. Erano anche giochi in cui spesso, per prevalere sugli antagonisti, era necessario ricorrere alla prepotenza o all’astuzia. Giochi, che alimentavano magari liti e rancori, che potevano rompere o consolidare affetti e amicizie. Erano, insomma, i giochi del tempo in cui la strada, con la famiglia e con la scuola, era severa maestra di vita.

maniscalcoNel libro La ciminiera è pigliata tornano in vita anche gli antichi mestieri, alcuni affatto scomparsi con il sopraggiungere della modernità. Anch’essi, serbati nello scrigno segreto della memoria e rievocati con una vena di serena melanconia, diventano i segni emblematici di un mondo impreziosito dal dolce struggimento della nostalgia. Che certo non è rimpianto di un tempo dominato da gravi disagi e da una miseria spesso disperante, ma è ricordo incantato di un’età lontana e incancellabile della nostra vita, mentre questa volge irrimediabilmente al tramonto.
Con frammenti autobiografici proposti attraverso una scrittura accattivante l’autore costruisce, dunque, un bel mosaico di Stigliano negli anni centrali del secolo passato. E ci consegna un importante messaggio subliminale, che attraversa come un filo rosso tutta la sua opera: non si può e non si deve rimuovere il passato. Mai e per nessuna ragione. Neanche quando il passato è carico di miseria, di patimenti, di dolore.
Il presente è vivo e pieno di senso, solo se è alimentato dal passato. Sempre e dappertutto. Anche in una «terra magra», e da sempre tormentata, come la Lucania dove, come ricorda il grande poeta di Montemurro quasi omonimo dell’autore dei nostri “racconti lucani”, «… il grano cresce a stento / […] / e l’uliva ha il gusto dell’oblio, / il sapore del pianto».

V. Angelo Colangelo

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