Ferrandina, scoperta una lapide in memoria dei fratelli Venita

Ferrandina, scoperta una lapide in memoria dei fratelli Venita – Il 13 marzo 2022, in occasione del duecentesimo anniversario della loro morte, è stata scoperta una lapide, posta sulla facciata di entrata dell’antico palazzo dei due martiri ferrandinesi, donata dal loro discendente il dott. Pierfilippo Laviani, che ricorda il sacrificio del Maggiore Giuseppe e di suo fratello Francesco, che, dopo un sommario processo in Calvello, furono fucilati alle ore 18.00 del 13 marzo del 1822 insieme ad altri patrioti lucani.

Segue il discorso per la motivazione da parte del discendente ai partecipanti.

Cittadini di Ferrandina, amici qui convenuti, dopo duecento anni, sotto lo stesso cielo di Lucania, tra le stesse strade, nello stesso giorno, siete con me a ricordare due figli della vostra gente, che vi hanno illustrato e vi illustreranno imperituramente.

Ferrandina, scoperta una lapide in memoria dei fratelli Venita
Ferrandina (Mt), lapide in memoria dei fratelli Venita

Dico con me, perché anch’io mi sento cittadino di Ferrandina, vostro concittadino: la mia famiglia, per più generazioni, è venuto a scegliere tra voi le sue donne, le madri dei suoi figli, consapevole delle profonde virtù umane e civili di cui siete depositari. Io ne sento a pieno l’onore e l’onere parlando a voi.

Ferrandina, scoperta una lapide in memoria dei fratelli Venita – Giuseppe Venita mostrò nei suoi quarantotto anni di vita come si possa sposare una causa giusta, esserle coerente, dedicarle i propri talenti e sacrificare per essa anche la vita.
Sentì che l’ideale, l’azione, la disciplina e il coraggio sono i mezzi per mutare le condizioni della propria vita e del popolo cui si appartiene; sentì che, seppur da secoli la condizione di sudditi fosse radicata nelle coscienze, tanto che esse non potevano pensarsi diverse, un diverso sentire, quello della libertà nel diritto, non era un’utopia sol che si fosse impegnato lo spirito tutto nel proseguirla ed affermarla.

Scelse la vita militare, consona ed un ardore fisico e morale, che non era appagato dalla quieta agiata della famiglia. Preferì la militare apprendendo da giovane età che al pensiero poteva seguire l’azione.

Vide svilupparsi in un’Europa, ove imperava l’assolutismo dei regimi monarchici e conservatori, l’anelito ai diritti naturali e incomprimibili della libertà e dell’uguaglianza, anelito che crebbe fino a diventare tempesta, che abbattette troni e re millenari, quella rivoluzione francese, che, seguita dal genio Napoleonico, innalzò per prima la bandiera, che oggi, seppur tra tante umane contraddizioni e feroci avversità, sventola sui popoli uniti d’Europa e li ammonisce su come sia facile perdere la libertà e necessaria difenderla con decisione immediata e senza calcoli di parte.

Militò negli eserciti francesi, partecipò alla campagna napoleonica d’Italia; seguì la grande armata in Russia, fece parte dell’esercito di Gioacchino Murat divenuto re di Napoli.
Mostrò la sua tempra di eroe durante la guerra Franco Austriaca allorché, aiutante di campo, vide il suo comandante circondato da una pattuglia nemica che stava per catturarlo. Da solo si lanciò contro di essa, sopraffacendone un componente e mettendo in fuga i restanti, così consentendo ai soccorsi di sopraggiungere e serrare vittoriosamente la fila. Sul campo di battaglia ricevette il grado di Maggiore, quel titolo che oggi lo ricorda.

La restaurazione Borbonica, susseguente alla caduta di Murat e alla sua morte nel tentativo di riconquistare il Regno perduto, lo vide nuovamente nell’esercito Borbonico, da cui, però, si dimise, conscio di quanto contrastante e lontana fosse la visione di quel regime monarchico rispetto al nuovo sentire, che aveva fatto della libertà, dell’uguaglianza e della fraternità i valori per cui si era battuto.

Si dedicò, quindi, a diffondere il nuovo credo e con lui partecipò il fratello Francesco, che seppur aveva seguito la via degli studi di diritto, non mancava a medesimo ardore e coraggio.
Entrambi mossero per terra di Lucania, agitando spiriti nobili, sensibili a quel nuovo messaggio. Giuseppe fondò la Rivendita Carbonara di Ferrandina, centro che contribuì ai Moti Lucani del 1820 e 1821, sulla scia della Insurrezione Militare di Nola.

Ferrandina, scoperta una lapide in memoria dei fratelli Venita
in primo piano da sinistra, il Sindaco di Ferrandina Carmine Lisanti e Pierfilippo Laviani

I fratelli Venita, nonostante la repressione ormai vincente dei Borboni, con l’ausilio dell’Austria, che aveva sconfitto gli eserciti Napoletani che difendevano quella costituzione prima concessa e poi a tradimento, revocata, continuarono l’azione di guerriglia che portò alla loro cattura.
Però la storia, vindice e inarrestabile nel ripristinare valore delle azioni umane, oggi torna in questa piazza sotto questa memoria della loro estrema resistenza.

Contro questa casa, ultimo baluardo di quella libertà tanto agognata, si scatenò l’assalto della gendarmeria e della guardia urbana. Le sue mura furono attinte dalla fucileria che tentava di entrare e catturare quelli che opponevano resistenza. Questi risposero al fuoco a lungo, ma Giuseppe Venita, esperto dell’arte militare, intuì che solo un diversivo avrebbe potuto ritardare la capitolazione orma imminente.

Chiese alle donne di famiglia e alla sua balia di continuare a sparare attraverso le imposte chiuse dei balconi, che vedete sopra di noi, con le armi che lui aveva caricato, per simulare il perdurare della resistenza e con il fratello, dalla via che è sul retro della casa, il Vicolo dell’Orologio, fuggì a cavallo determinato a continuare nell’impari lotta.

Un colpo di fucile attinse ad una gamba, ma non valse ad arrestare la fuga, che portò i fratelli lontano da Ferrandina, ove la loro azione di insorti proseguì nelle campagne e nei paesi, in Laurenzana e, infine, in Calvello nel febbraio del 1822.

Traditi, caddero, infine, nelle mani delle milizie borboniche e austriache che li catturarono nell’agro di Pietrapertosa.

Con altri eroi, partecipi alla lotta, furono processati dalla Corte Marziale e condannati alla pena di morte eseguita in Calvello in questo giorno di duecento anni fa.

In quel 13 marzo del 1822, però si compì un ulteriore luminoso atto di amore per la libertà e di eroismo immenso: Francesco Venita, che era stato condannato al carcere, chiese di essere anche lui fucilato, scegliendo a soli 38 anni, una morte gloriosa in luogo di una vita oscura e servile.

Ferrandina, scoperta una lapide in memoria dei fratelli Venita – Questi, dunque, sono i figli che Ferrandina oggi onora e ricorda con questo marmo, acciò che coloro che seguiranno, passando di qui, sappiano con quanto sangue sono stati acquistati la libertà e i diritti di cui godono e siano spronati a custodirli oggi e sempre come i beni più preziosi ai quali può ambire ogni uomo e ogni cittadino.

Si ringraziano per la partecipazione e la collaborazione particolarmente sentita il Sindaco avv. Carmine Lisanti e la sua Giunta; l’attuale proprietario dell’immobile, l’orefice sig. Maurizio Madio e la sua famiglia; l’avvocato Carmine Rossi, che ha curato i contatti, che hanno permesso la organizzazione dell’evento.

Pierfilippo Laviani

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