Dalla terra dell’osso in riva all’Arno

Il giornalista fiorentino Nicola Coccia

presenta le “Storie” di Angelo Colangelo

Già dalla copertina il nuovo libro di Angelo Colangelo, l’undicesimo, ci cala nella storia del Mezzogiorno e quindi dell’Italia. A cominciare dal titolo: “Storie «dalla terra dell’osso»”.

Era il 1958 quando Manlio Rossi Doria, antifascista, arrestato più volte, mandato al confino prima a San Fele e poi a Melfi, in provincia di Potenza, parlò di “terra dell’osso”, riferendosi ai paesi dell’Irpinia simili a quelli lucani, che erano e che continuano a essere spolpati di giovani costretti a emigrare verso altri territori.

Anzi un volume, pubblicato nel 2003 da Mephite è intitolato proprio “La terra dell’osso”. Manlio Rossi Doria (Roma 1905-1988), meridionalista, docente universitario, prima comunista e poi socialista, aveva anche due amici speciali: Rocco Scotellaro, che lavorò con lui all’Osservatorio Agrario di Portici, e Carlo Levi, col quale condivise la prima campagna elettorale democratica dopo la fine del fascismo.

La prefazione, come si legge sulla copertina, è di Giovanni Caserta, autore di numerosi volumi, fra i quali l’unica e ormai introvabile “Storia della letteratura lucana”. Il libro di Colangelo, pubblicato con il patrocinio del dinamico Parco Letterario “Carlo Levi”, uno dei primi costituiti in Italia, è dedicato al giornalista Rai Rocco Brancati, grandissimo divulgatore di storia lucana, scomparso due anni fa. Sulla copertina, infine, c’è la riproduzione di una tela di Nicola Iosca, anche lui figlio di questa terra, che raffigura una nonna che imbocca e racconta qualcosa alla nipotina. La tela è intitolata “Le storie della nonna”. Sono sufficienti questi pochi riferimenti per farci capire la sostanza del libro e del suo autore.

La prima cosa che sorprende leggendo “Storie dalla «terra dell’osso»”, è che le storie non sono favole, non sono racconti di fantasia, ma storie realmente accadute con nomi e cognomi, date e circostanze. I luoghi poi sono quelli di Aliano, Stigliano, Cirigliano, ma anche gli Stati Uniti e l’Argentina.

Le storie sono 11. Alcune cominciano nella seconda metà dell’800. Altre sono molto più vicine a noi. Colangelo è il cronista, l’inviato speciale di un altro tempo nel nostro tempo, come ebbe a dire Italo Calvino, dopo aver letto “Cristo si è fermato a Eboli”, di Carlo Levi. E proprio con Carlo Levi si apre il libro di storie. La prima, appunto, è intitolata “I ricordi di Giovannino”. Giovanni Colaiacovo era uno dei numerosi bambini di Aliano che seguivano l’artista antifascista torinese durante il periodo del confino nel 1935-36. Ed è stato uno di quelli immortalati da Carlo Levi nei suoi dipinti, insieme alla capretta Nennella.

Angelo Colangelo, durante i suoi 22 anni trascorsi a Aliano come insegnante, incontrò Giovannino diverse volte. In questo primo racconto riaffiorano i suoi ricordi. Nitidi e precisi. Levi lo dipinse nella sua casa del confino, la cui foto si trova nella quarta di copertina del libro. E proprio al luogo vicino alla casa del confino si riallaccia il secondo racconto, che narra la vicenda del crollo della Chiesa Madre di Aliano, avvenuta nella notte di Pasqua, il 23 aprile 1932.

Levi, che tre anni dopo abitò a pochi passi, ne vedeva i resti dalla sua terrazza. Nel “Cristo si è fermato a Eboli” liquidò il disastro in pochissime righe. Colangelo ne ha fatto, invece, un racconto suggestivo, ricco di dettagli, ma anche magico, perché il dramma si mischiò al miracolo. Non solo perché il crollo avvenne di notte, quando in chiesa non c’era nessuno, ma soprattutto per fatti che non hanno nessuna spiegazione logica.

In un tempo ancora più lontano si svolsero le vicende che videro protagonista un brigante di Avigliano, condannato a vent’anni di carcere e che in carcere cambiò radicalmente vita. Tornato in libertà e capitato per caso a Cirigliano, qui scavò una grotta nella roccia, diventando un “santo”.

E a proposito di santi Colangelo racconta anche l’incredibile storia di due statue, che a Stigliano furono al centro di una disputa durata ben 23 anni e si concluse solo con l’intervento dei giudici del tribunale di Matera.

Ci sono poi storie di emigrazione. Quella di Vituccio ci sembra esemplare. Filomena, contro il parere dei genitori, sposò Felice, il giovane di cui si era innamorato. E lui, un giorno, partì per l’Argentina. Le disse che l’avrebbe fatta arrivare appena si fosse sistemato. Passarono i mesi. Poi passarono gli anni, più di venti, ma il marito non si fece più vivo. Filomena, allora, si accompagnò con un altro uomo. Dalla loro unione nacque Vituccio. Ma, quando si trattò di dargli il cognome, Filomena fu costretta a dare quello del marito e non del compagno.

Tante storie, insomma, in questo libro accattivante. Ma non sono quelle del cinema, dove “ogni riferimento è puramente casuale”. In questi racconti ogni riferimento è vero e reale, anche se talora i nomi sono immaginari. Perché questa è la terra dell’osso, la terra dove Angelo Colangelo è nato e cresciuto. E’ la terra che ha studiato e lasciato. Ma è anche la terra che continua ad amare. E a raccontare.

Nicola Coccia

P. S. Il libro può essere acquistato ad Aliano (Sede Parco Letterario “Carlo Levi”), Stigliano (Libreria Leonardo Tornaquindici, via Cialdini), Matera (Libreria Digiulio, via Dante Alighieri); oppure on-line attraverso i siti: libreriauniversitaria.it, Amazon.it, unilibro.it

leggi anche: Storie lucane in Val Borbera

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