Chi ricorda mons. Vincenzo De Chiara?

Il vescovo, «pastor bonus in populo», apprezzato da tutti e venerato a Mileto, è stato (quasi) dimenticato a Stigliano, dove nacque il 2 aprile 1903 ed è ora sepolto.

In alcuni (ma, ahimè, sono sempre di meno!) è ancora vivo il ricordo emozionante di un intero popolo in festa che, in una splendida giornata di sole dell’estate 1953, salutò in piazza Garibaldi don Vincenzo De Chiara, parroco della chiesa di S. Antonio da meno di tre anni, chiamato a dirigere la secolare prestigiosa diocesi di Mileto, la più importante ed estesa della Calabria, con 135 parrocchie e circa 350.000 fedeli.

Nessuno immaginava allora che Egli avrebbe partecipato un giorno, come Padre Conciliare, al Concilio Vaticano II, lavorando, si racconta, a contatto di gomito con il vescovo ausiliare di Cracovia Karol Wojtyla. Tanto meno poteva pensarlo il padre Giovanni, quando, superata ogni remora anche per l’insistenza delle due figlie maggiori Margherita e Giulia, accompagnò al Seminario di Tricarico il piccolo Vincenzo a dorso di mulo, che era la vettura dell’epoca.
Certo risulterà stupefacente, a distanza di anni, la felice provvidenziale coincidenza, che aveva visto partire insieme da Stigliano due ragazzi, compagni di classe alla scuola elementare, destinati ad un futuro luminoso, seppure per ragioni diverse: due Vincenzo che, avendo mostrato da subito doti non comuni, erano stati costretti a lasciare il paese e la famiglia per proseguire gli studi in istituti religiosi, come spesso capitava in quei tempi segnati da gravi ristrettezze finanziarie. Furono accolti l’uno, si è già detto, nel Seminario diocesano, l’altro a San Felice a Cancello, storica sede di noviziato dei Padri Barnabiti.

Padre Vincenzo Cilento
Padre Vincenzo Cilento

Cilento (Stigliano, 1 dicembre 1903-Napoli, 7 febbraio 1980) sarebbe diventato una carismatica figura del rinomato Istituto Bianchi a Napoli e avrebbe acquistato fama nel mondo accademico internazionale per i suoi importanti studi sul neoplatonismo e sulla filosofia medievale. Il vescovo di Mileto si sarebbe segnalato, invece, per la straordinaria testimonianza di un cristianesimo vissuto nella pratica esemplare delle virtù evangeliche, grazie ad una grande spiritualità e ad una profonda umanità.
Di mons. De Chiara il dotto sacerdote Pancrazio Perrone scrisse: “Un uomo dolce, umile, acuto, umano che lasciò dovunque largo apprezzamento per quanto insegnò e fece”. E Domenico Tarcisio Cortese, suo successore nella diocesi di Mileto, affermò a sua volta che “non fu un vescovo appariscente, da spettacolo, accattivante per il suo eloquio, o appagante con la sua affabulazione, non fu nemmeno un vescovo con la caratteristica dell’imperio. […] Fu l’uomo dell’essenziale: era l’uomo della Parola e non delle chiose, dei titoli, dei privilegi, dei prestigi”.

Mons. Vincenzo De Chiara
Mons. Vincenzo De Chiara

Questo ritratto meraviglioso ci offre una rappresentazione plastica di mons. Vincenzo, qual era e come si manifestava agli altri, perché per lui non c’era nessuno iato tra l’essere e l’apparire. Non sarebbe disdicevole, perciò, che egli fosse preso a modello da tanti che oggi sembrano privilegiare esclusivamente il culto dell’immagine. O da quelli che, e non sono meno numerosi, pensano di dare un senso alla loro vita rincorrendo affannosamente carriere ed appannaggi. A questi ultimi gioverebbe, peraltro, sapere che il vescovo stiglianese viveva in povertà francescana, tant’è che la sua dimora in episcopio era addirittura priva di riscaldamento.
La naturale semplicità di mons. De Chiara, mai ostentata e parte integrante della sua persona, era capace di scandalizzare. Non mancavano a Stigliano persone che erano sorprese, ma anche toccate, dai suoi atteggiamenti sobri che lo spingevano a colloquiare, pure da vescovo, con la franchezza, la spontaneità, l’affabilità di un tempo, quando era seminarista o giovane sacerdote. Qualche suo vecchio compagno o qualche vicino di casa arrivava ad affermare, forse anche con un po’ di perplessità e di rammarico, che non sembrava neanche un vescovo!
La sua riservatezza era tale che nelle estati stiglianesi, recandosi al Convento, immancabilmente evitava il corso e sceglieva la strada più breve e meno frequentata, per evitare agli altri l’imbarazzo di incontrarlo e di essere magari costretti a fermarsi, distraendosi dai loro impegni. Epperò, sempre dispensava intorno a sé amabilità, mai soggezione.
Due altre prerogative, infine, sono universalmente riconosciute a mons. De Chiara: la sua straordinaria attenzione verso i bambini e l’amore profondo per la famiglia, che rappresentò per lui un valore autentico e irrinunciabile. Non a caso costituirono due punti di forza del suo programma episcopale.
Riguardo al primo aspetto posso ricordare brevemente un’esperienza personale, che molti miei coetanei hanno potuto condividere verso la fine degli anni Cinquanta del secolo passato. Ragazzini, alla fine di interminabili partite a pallone nel vecchio campo sportivo, pur potendo scegliere tanti percorsi diversi, quasi per un tacito accordo, tornavamo alla Villa arrampicandoci per il “Tragliaro”, che qualcuno poi avrebbe simpaticamente denominato «la strada dei preti». Vi abitarono, infatti, nello spazio di poche decine di metri, oltre a mons. De Chiara, don Vincenzo Alderisio, don Nicola De Lucia, don Mimì Chirico, don Giacomo Polidoro, don Rocco Rizzo e padre Carmine Fornabaio, missionario in Giappone. Lì, nel ripido e angusto vicoletto, eravamo certi di imbatterci nella figura familiare del vescovo. Egli amabilmente ci fermava per chiederci dell’andamento delle nostre sfide e ci incoraggiava poi a parlare, dopo la puntuale elargizione di caramelle, della nostra attività catechistica o della partecipazione ai concorsi Veritas, in cui eravamo coinvolti da don Alberto Distefano, il nostro insegnante di religione nella scuola media.

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Processione del Santo Patrono, al centro mons. Vincenzo Dechiara

Per quanto concerne i rapporti familiari, la venerazione per il padre Giovanni e la mamma Angela Paciariello e l’affetto profondo per i due fratelli e per le cinque sorelle testimoniano che mons. De Chiara ebbe un vero culto della famiglia. Ed era orgoglioso dei parenti, di cui apprezzava la laboriosità e che sempre esortò a perseverare in uno stile di vita improntato alle virtù cristiane, all’umiltà innanzi tutto.
Mi raccontano alcuni nipoti, cui mi lega un antico rapporto di amicizia, che il momento del soggiorno stiglianese, che lo zio viveva con maggiore intensità emotiva, era quello in cui, alla vigilia della partenza per Mileto alla fine delle brevi vacanze estive, celebrava la messa nella sua cappellina privata alla presenza dei parenti che andavano a salutarlo. Dopo la celebrazione non riusciva a nascondere la sua emozione e gli occhi gli si riempivano di lacrime di tenerezza e di gioia.
Per quanto si è detto di mons. De Chiara, felicemente definito “Pastor bonus in populo”, non è da meravigliarsi che l’Associazione “Mileto Capitale Normanna”, composta da circa 2000 membri sparsi nel mondo, da oltre un anno perseveri nell’iniziativa di trasferirne nella cattedrale di Mileto la salma, che ora riposa nel cimitero del paese natale.
Ciò che stupisce, piuttosto, è che Stigliano non abbia provveduto finora a onorarne degnamente la memoria. Magari intitolandogli una strada, come fu pubblicamente suggerito da chi scrive alcuni anni fa in occasione di un convegno organizzato per il ventesimo anniversario della sua morte. Quella proposta, trascurata a favore di altre scelte poco convincenti e molto discutibili, mi spinge ad un’amara riflessione: la comunità stiglianese non solo sembra aver sepolto più di qualche reputazione, che le generazioni passate si sono conquistate con sacrificio e con merito, ma pare voglia anche cancellare il ricordo delle persone che un tempo l’hanno onorata ed esaltata con l’esempio concreto delle loro virtù.

V. Angelo Colangelo

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