Un brigante si redime e diventa maestro a Cirigliano: la ricostruzione storica di G. Latronico

A leggere la vicenda esistenziale di un feroce assassino di Lucania – in “Donatantonio Gruosso: il brigantaggio e la redenzione”, di Giuseppe Latronico – si rimane basiti. Non tanto per il curriculum criminale che il protagonista dell’opera riesce a inanellare – tanto da meritare venti anni di reclusione ai lavori forzati, tutti scontati – quanto per ciò che accade dopo.
Siamo nella Lucania dell’Italia pre-unitaria di metà ottocento, quando Gruosso nasce ad Avigliano, in provincia di Potenza. Ad appena 17 anni le cronache narrano che è entrato ed uscito dal carcere già tre volte. Si tratta di piccoli reati, prima del ‘salto di qualità’ che avviene con l’adesione al brigantaggio. Nel giro di appena cinque anni dà dimostrazione di una spiccata propensione a delinquere, con una serie di reati gravi – fra cui l’omicidio – che gli costeranno una condanna a quindici anni di lavori forzati, poi diventati venti, che il Gruosso sconta per intero fino al 1867, nelle ‘case mandamentali’ di Potenza e Trapani.
Uscito dal carcere, a 41 anni, la vita di questo brigante cambierà radicalmente. Dopo soli cinque mesi in cui trova difficoltà a reinserirsi nel suo paese d’origine, il Gruosso si trasferisce a Cirigliano ( Matera ), dove rimarrà fino alla morte, avvenuta alla veneranda età di 91 anni. Ed è qui che si compie la sua radicale metamorfosi.

Donatantonio Gruosso: il brigantaggio e la redenzione, il libro di Giuseppe Latronico

Intanto non è più un analfabeta, così come si era presentato in carcere a 22 anni. Perché nel lungo periodo di detenzione ha avuto modo di imparare a leggere e scrivere, chiedendo aiuto ai suoi compagni di sventura a Potenza, per poi frequentare regolarmente una scuola nel successivo carcere di Trapani. Fino ad arrivare a scrivere un libro, dopo una seria formazione in storia, geografia e filosofia. Giunto a Cirigliano, sulla spinta della gente del luogo caratterizzata da un forte analfabetismo, fonda così una scuola elementare, di cui egli stesso funge da maestro, con due corsi distinti: diurno per i bimbi e serale per gli adulti.
Convolerà a nozze ben due volte, e manterrà una condotta irreprensibile, tanto da meritare l’annullamento della misura restrittiva della vigilanza che gli era stata inflitta dalla sentenza di condanna, da scontare dopo la pena principale.
Fin qui la ricostruzione dei fatti storici, che l’autore dell’opera condisce in appendice con una scrupolosa documentazione, frutto di una non agevole ricerca di archivio.
Ma per chi scrive non è questa la parte più suggestiva dell’opera di Latronico, quanto piuttosto ciò che è emerso da fonti non scritte e tramandate oralmente dalla gente del posto, fra cui la nonna dell’autore che aveva frequentato la scuola del Gruosso.

Mi riferisco, in particolare, all’episodio che avrebbe segnato il cambiamento in bene di un ex feroce malfattore. Sembra che in una delle sue passeggiate fuori paese, Dio gli abbia mandato un segno visibile per la sua redenzione. La vista di un enorme masso che era fatto a forma di mano rivoltata verso sé stessa, ad indicare che doveva volgersi verso quel luogo, rispondendo al richiamo. Fu così che un giorno il nostro brigante si mise a scavare quel masso, fino a crearne una sorta di porta d’ingresso che lasciava spazio a due posti alloggiati all’interno: uno per il maestro e l’altro per l’allievo della futura scuola!
Il fatto che Gruosso decidesse di appendere un quadro della Madonna all’interno di quella sede scolastica, successivamente allargata, fece pensare ad un’apparizione della Vergine, al brigante, a fondamento di quella decisione. Da allora un numero significativo di persone, bambini ed adulti di Cirigliano, impararono a leggere e scrivere in quella grotta, che per tutti divenne la ‘Grotta della Madonna’. Tanto che alla morte del brigante la scuola fu trasformata in una cappella, seppure non consacrata canonicamente, ma ugualmente meta di processione dei fedeli nella ricorrenza della ‘Madonna della grotta’, fissata per l’ultima domenica di maggio.
Qualcuno ha testimoniato di aver visto il brigante convertito portare sulle spalle una pesante croce di legno, da lui stesso costruita, per lunghi tratti del bosco fuori paese, in segno di espiazione per i gravi peccati commessi.
Qualcun altro avrebbe scorto, sotto i vestiti del brigante, la presenza di un cilicio, strumento di auto-punizione corporale per la stessa ragione di cui sopra.
Nel corso dell’anno del Giubileo straordinario della Divina Misericordia, indetto da Papa Francesco l’8 dicembre 2015, questa storia torna fortemente di attualità, a testimonianza dell’infinito amore di Dio che si fa perdono misericordioso verso tutti. Anche se uno è stato, nella vita trascorsa prima della conversione, un brigante assassino di Lucania che risponde al nome di Donatantonio Gruosso.

di Giovanni Fortuna
15.01.2016

 

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