Molto gli ha dato, oltre i natali, Eboli. Ma lui non si è fermato a Eboli ed è andato oltre. Spinto forse dal caso o dal destino. Meno verisimilmente dai disegni della Provvidenza, certamente dalle pulsioni di una forte passione politica e civile.
Come, d’altronde, era capitato, molto tempo prima, al nonno paterno Luigi Sante che, nato a Parma il 10 gennaio 1830 da Francesco e Maria Regazzoni, a circa trent’anni, lasciò la sua bottega di falegname, dove con i fratelli costruiva botti e tini, per seguire le camicie rosse di Giuseppe Garibaldi in Sicilia. Dopo aver partecipato alla spedizione dei Mille, arruolato col grado di sergente nella 16ª Divisione della 1ª Brigata Ausenti, decise di fermarsi a Napoli, privilegiando il suggestivo pennacchio del Vesuvio all’amorfa nebbia padana.
Suo figlio Nino, che diventerà dirigente della Procura Reale di Salerno, si trasferì a sua volta da Napoli a Eboli, dove sposò Assunta Califano, una deamicisiana maestra elementare, originaria di Santa Maria Capua Vetere. Dal matrimonio nacquero cinque figli. Al quarto il padre, che per non smentire le sue origini parmigiane era un convinto anticlericale oltre che inguaribile melomane, diede lo strano nome di Abdon nella convinzione, errata, che a quel nome non corrispondesse nessun nome di santo.
Abdon Alinovi (è di lui che stiamo dicendo) nacque, dunque, a Eboli il 6 maggio 1923. Appena undicenne rimase orfano per la prematura scomparsa del padre e fu mandato nel convitto San Simone di piazza Campello a Spoleto, dove conseguì la maturità classica, dopo aver frequentato il ginnasio-liceo Pontano. Tornato a Eboli, dopo essersi iscritto alla Facoltà di giurisprudenza si Napoli, s’imbatté in un singolare personaggio, Mario Garuglieri, rimanendone subito affascinato.
Garuglieri, nato a Firenze nel 1893, era un colto «calzaiuolo» socialista, che nel 1921 aveva aderito al partito comunista. Avendo subìto, il 13 luglio dello stesso anno, la vile aggressione di una squadraccia fascista nella sua bottega fiorentina di via Farini, nel tentativo di difendersi uccise col trincetto uno degli aggressori. Condannato, fu rinchiuso nel carcere delle Murate e poi in altre carceri della penisola, finché approdò a Turi, dove conobbe e frequentò Antonio Gramsci, suo vicino di cella.
Dopo dodici anni di carcere fu inviato al confino prima ad Agropoli, poi a Eboli. Qui continuò la sua attività di calzolaio, ma non rinunciò al suo impegno antifascista, avvicinando alla causa molti giovani del luogo, che videro in lui un irrinunciabile punto di riferimento politico.
Ma di Alinovi mette conto di ricordare anche il suo legame con la Lucania, dove egli si trasferì per qualche tempo, dopo aver vinto il concorso di cancelliere nella Pretura di Tricarico, in provincia di Matera. Qui Abdon ebbe modo di incontrare e frequentare per circa un anno, fra il 1943 e il 1944, Rocco Scotellaro, il giovane socialista che di lì a poco, con le prime libere elezioni, sarebbe diventato sindaco del paese. Con lui il 1° maggio 1944 tenne anche un comizio in rappresentanza del partito comunista, di cui aveva fondato la locale sezione.
Non è un caso che del «poeta della libertà contadina» si sia ricordato molti anni dopo, esaltandone l’ardente impegno nelle «battaglie di emancipazione della gente della sua misera terra». Ed è di grande significato che lo abbia fatto nell’orazione funebre tenuta nel gennaio 1975 a Eboli davanti al feretro di Carlo Levi. Di Scotellaro, infatti, com’è noto, l’artista torinese fu amico e mentore e ne curò la pubblicazione postuma presso Mondadori della raccolta di poesie E’ fatto giorno, cui nel 1954, l’anno dopo la scomparsa dell’autore, fu assegnato il prestigioso Premio Viareggio.
Insomma, una vita breve ma intensa quella di Rocco Scotellaro, lunga e operosa quella di Abdon Alinovi. Due vite, comunque, ben spese.
V. Angelo Colangelo