A proposito dell’ultimo romanzo di Antonio Sinisgallo: “Parlane con me”

A proposito dell’ultimo romanzo di Antonio Sinisgallo: “Parlane con me” – Un titolo che riafferma perentoriamente la funzione fàtica della lingua, e io direi della stessa letteratura, quella che, sapendo mettere al mondo ‘buone’ storie, non ha bisogno, per farsi ascoltare, di farsi inutilmente didascalica e men che mai moralistico giudice.

Tre parole, “parlane-con-me”, che possiamo subito riconoscere , prima ancora di aprire il libro, come un appello (discreto) o una preghiera (muta) capaci, talora, di raggiungere, come un’inattesa carezza, il dolore impenetrabile di un minore che si barrichi, come in una (fragile) corazza, dentro la segreta inespugnabile della sua indicibile pena.

Quando Antonio per la prima volta mi ha parlato del suo libro ho riconosciuto immediatamente il filo rosso che lo lega ai suoi copioni teatrali per la scuola di tanti anni fa. Testi doppiamente formativi, per essere stati occasione di discussioni e approfondimenti, prima e dopo la messa in scena, con alunni, colleghi, genitori.

Ma di questo libro “Parlane con me”, mi piace scriverne anche perché il titolo me ne ha subito riportato alla memoria un altro, che una quarantina di anni fa mi premurai di acquistare per la biblioteca magistrale delle scuole elementari di Stigliano, che avevo appena cominciato a dirigere. Un libro di una nota psicanalista infantile lacaniana, Françoise Dolto, intitolato “Parlandone è più facile”.

I due titoli mi sono suonati quasi identici, apparentemente. Solo apparentemente, dico, perché quello di Antonio non è un saggio scientifico, ma la vita che racconta se stessa attraverso la lingua degli affetti, qualcosa come il distillato di una comprovata saggezza professionale come la sua, che il teatro e in generale la scrittura letteraria a scuola ha saputo e voluto usare come un’arma di complemento indispensabile, sempre, anche nell’educazione degli adulti, nella quale Antonio è attivo da anni.

Tre parole queste, allora, “parlane-con-me” che non stentiamo a riconoscere come un lessico famigliare, bisbigliate chissà quante volte all’orecchio di chi non sa ancora aprirsi, perché, appunto, non ha ancora capito, o semplicemente sperimentato, che davvero “parlandone è più facile”. Perché è solo incominciando a parlarNE, che la “cosa”, il macigno si ammansisce e si fa “parola”, diventando un peso più leggero da sopportare; perché è solo nella parola che il dolore troverà, infine, la sua faticosa via d’uscita, come per la prima volta, e memorabilmente, il nostro padre Dante ha raccontato per immagini, mostrandoci la fiamma bicornuta di Ulisse che, infine,

“come quella cui vento affatica […],/ la cima qua e là menando, / Come fosse la lingua che parlasse, / Gittò voce di fuori, e disse: Quando”. (Inferno, XXVI, 87-90).

Il miracolo della parola esige, dunque, il miracolo complementare dell’ascolto, della presenza vigile, ma discreta, dell’altro, nel nostro caso di un adulto che non si sia smarrito egli stesso per qualcuna delle strade del mondo che alla persona in crescita si sta ora svelando, misteriosamente, con le sue lusinghe e… i suoi bruschi richiami alla realtà e alla responsabilità.

Parlane con me, l’ultimo libro di Antonio Sinisgallo

A proposito dell’ultimo romanzo di Antonio Sinisgallo: “Parlane con me” – Potrebbero suonare frettolose o di maniera queste riflessioni, ma vogliono essere solo un grazie a chi, come Antonio, ha trovato il coraggio di raccontare ancora una volta Napoli – la sua seconda patria dopo quella lucana di Stigliano – una capitale che, da Eduardo a Troisi a Saviano, non cessa di farci piangere, sorridere, indignare, e naturalmente, cantare, insieme con l’indimenticabile Pino Daniele, la sua pena e la sua speranza.

Come pensare che sia solo un caso che uno degli anziani del libro faccia di nome proprio “Speranza”, un personaggio caratterizzato dall’autore come uno di quelli che ci prova a dialogare con dei ragazzi come quelli di oggi, più di altre generazioni sfuggenti al dialogo intergenerazionale?

La compresenza, talora, sotto lo stesso tetto, di adulti, vecchi e bambini caratterizzava un tempo la vita vissuta in casa e in quella sorta di famiglia allargata che era il vicinato della infanzia e della giovinezza stiglianesi di Antonio.

A proposito dell’ultimo romanzo di Antonio Sinisgallo: “Parlane con me” – Non dubito che lo sguardo partecipe che egli ha gettato, da insegnante socialmente sempre impegnato quale è stato, sulla sua città e sulla sua gioventù, si sia alimentato e ancora si alimenti, intimamente, alla antica saggezza cristiana, fatta di silenzi e misurati gesti e parole, delle sue sane origini paesane. È forse questa saggezza che può consentirgli di guardare la sua città come dentro un binocolo rovesciato, allontanando cose, persone e fatti alla distanza giusta per poterli raccontare con la dovuta partecipazione misericorde e l’altrettanto necessario distacco. Senza fare troppo retorica, come maliziosamente credo suggerisca il fatto che l’insegnante più dialogante del romanzo di Antonio non sia uno della sua stessa provenienza professionale umanistica, ma una prof di matematica, adusa per istinto a diffidare delle parole in eccesso.

Sebastiano Villani

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