Chi si soffermasse esclusivamente sul titolo, “I Sassi di Matera”, sarebbe indotto a ritenere, erroneamente, di trovarsi di fronte ad una guida turistica, l’ennesima fra le tante, che negli ultimi anni hanno impinguato il pletorico elenco prodotto da un eccessivo e fuorviante fenomeno mediatico, sviluppatosi soprattutto dopo la designazione di Matera come capitale europea della cultura per il 2019.
Un altro grave errore sarebbe, poi, quello di limitarsi a sfogliare distrattamente il volume e, sedotti magari dalla bella veste tipografica, lasciarsi andare a qualche estemporanea esclamazione di stupore o di compiacimento, per poi abbandonarlo da qualche parte, senza il proposito di riprenderlo fra le mani.
In tal modo risulta ben evidente che i Sassi assumono un senso vero e profondo, solo se diventano un libro aperto fra le cui pagine si riesce a leggere la vita millenaria di una comunità, che ha conosciuto, pur nel continuo alternarsi delle vicende storiche, poche gioie e gratificazioni e tante amarezze e sofferenze.
Su questo vissuto, nel tempo, si sono costruite l’epopea e la tragedia di quel mondo contadino, la cui essenza e i cui valori, per un capriccio della sorte, ci furono disvelati da un “estraneo” venuto da lontano, essendo stato mandato in Lucania-Basilicata dal Piemonte ad espiare le sue colpe di intransigente militante antifascista.
Anche questo, ma non solo, è nelle 124 mirabili tavole dipinte da Carella, accompagnate dalle rapide ma efficaci didascalie di Franco Villani e ispirate dalla sapiente consulenza storica di Caserta, che fanno scorrere davanti ai nostri occhi in organica successione, come in un film appassionante, le immagini dei Sassi, ad iniziare dalla preistoria, attraverso i successivi insediamenti dei longobardi e dei monaci bizantini, e giù giù con gli eventi succedutisi fino agli anni più recenti. Esse ricostruiscono e rappresentano, nelle diverse sfaccettature socio-economiche e religiose, la vita quotidiana di migliaia di persone, che nei secoli sono state impegnate in una ostinata e drammatica lotta di sopravvivenza, manifestando ed esaltando spirito di sacrificio e senso di solidarietà.
Risaltano così il valore antropologico e il significato vero dei Sassi, per la cui comprensione è necessario evitare ogni visione estetizzante, come raccomanda Caserta nella sua sintetica ma pregnante prefazione, per “ritrovare e risentire il respiro, le sofferenze, le malattie, il freddo, il buio, che spingevano a stringersi e a farsi caldo col proprio fiato e con quello degli animali”.
In conclusione, i Sassi, che oggi appaiono un paradiso agli occhi incantati di policrome folle di visitatori, in realtà sono stati fino a qualche decennio fa un inferno abitato da poveri diavoli. In altre parole, il mondo dei «piccoli» o degli «ultimi», che furono comunque artefici e testimoni di una cultura fondata su valori umani profondi. Ricordare tutto ciò è dovere etico e rispetto della storia, dimenticarlo è atto imperdonabile.
V. Angelo Colangelo