“Una colpa collettiva”: l’ultimo romanzo di Giuseppe Latronico

“Una colpa collettiva” è un romanzo breve, di genere drammatico e a sfondo sociale. E’ uscito da un mese nelle librerie di Roma, con imminente uscita anche a Stigliano, l’ultimo romanzo dello stiglianese Giuseppe Latronico, di cui con piacere avevo ricevuto le bozze, in anteprima di stampa, per via di un’amicizia che ci lega da ben 5 lustri, alias un quarto di secolo.
Qualche tempo fa l’autore del romanzo mi aveva chiesto un parere sull’opera, che trattava un genere nuovo rispetto a quelli da lui affrontati in passato, e così mi appresto a un’amichevole nota di commento nella speranza di non far sobbalzare sulla sedia coloro che, critici letterari, lo sono per mestiere.
“Una colpa collettiva” è un romanzo breve, di genere drammatico e a sfondo sociale.
E’ la denuncia di un sopruso, di un’ingiustizia sociale che nasce da un fatto realmente accaduto ma che viene ampiamente diluito, dalla penna dell’autore, fino ad operare una trasfigurazione di nomi e di luoghi che consegna alla fantasia del lettore lo sviluppo della vicenda.
L’apparente protagonista con cui la storia si apre è Giovanni, un giovane di buona famiglia e di buona cultura, dilaniato dal disagio della disoccupazione che cerca di contrastare inanellando concorso su concorso, senza scendere a compromessi per sotterfugi di sorta e per questo non ottenendo alcun risultato vincente.
Giovanni vive al suo paese, è laureato ed ha una fidanzata. Sogna un futuro roseo con lei e in società, ma deve fare i conti con una realtà ostile che sembra togliergli ogni speranza di successo, nel lavoro come nella vita.
Mentre è dilaniato da questi pensieri, opponendosi con fermezza a chi gli propone delle “scorciatoie” di compromesso illegale, con i politici del posto, arriva la notizia che lo getterà nel panico.

Una colpa collettiva, l'ultimo romanzo di Giuseppe Latronico

Alberto Farina, un giovane disoccupato di appena 35 anni, che è il vero protagonista del romanzo, avendo perso entrambi i genitori e con loro la loro pensione… è morto di fame!
Ciò che mette in allarme Giovanni, di questo dramma che si consuma al suo paese, è il modo in cui Alberto giunge a quella fine indegna per ogni persona umana.
Prendendo a cuore la vicenda e facendo un’indagine a tappeto con le persone che conoscevano il Farina, Giovanni ricostruisce il retroscena di quanto accaduto, scoprendo che Alberto era fascista e perciò inviso, per ragioni ideologiche, ai politici del luogo.
Si scopre così che per questa ragione, puramente pregiudiziale, era stato spietatamente lasciato a sé stesso, quando si è trovato in difficoltà e senza lavoro, pur sussistendo la possibilità concreta di aiutarlo.
La tragica verità che emerge, dall’indagine compiuta, è che ad Alberto era stato negato, da parte di coloro che potevano fornirglielo, quello stesso lavoro che invece era alla mercé di quanti ‘portavano voti in abbondanza’, agli amministratori locali .
Emblematico risulta in proposito questo passo del libro:
“La politica ed in particolare quella locale, avendo come scopo fondamentale se non unico, la propria posizione di preminenza, ha delle regole ferree, di estrema semplicità, ma ciniche. I posti di lavoro sono pochi, pochissimi, contro uno sterminato numero di disoccupati. Dare lavoro ad uno di essi, significa inevitabilmente scontentare tutti gli altri e siccome la democrazia è un sistema fondato sui numeri, sulla capacità in termini elettorali e non sulla capacità dell’individuo, prescinde da ogni forma di merito. Conseguentemente ciò che rileva è la valenza quantitativa del voto: la persona che con il suo indotto, con la sua la famiglia può offrire un maggior numero di voti, è, in una sorta di scambio, indubbiamente avvantaggiata, attestandosi in una situazione di preminenza. Alberto invece era solo”.
Mammano che l’autore va avanti nella ricostruzione della storia di Alberto, aumenta la drammaticità del suo racconto, alternando descrizioni paesaggistiche assai suggestive e dal piacevole stile narrativo, con toni descrittivi fortemente tragici in un crescendo coinvolgente.
Giovanni non si ferma alla scoperta personale di ciò che si celava dietro questa orribile morte, ma decide di passare all’azione.
Sensibilmente turbato da una tragedia a tratti surreale, pone in essere una serie di iniziative con l’intento di smuovere le coscienze, nella speranza di un cambiamento radicale della cultura e del tessuto sociale in cui si trova a vivere.
E qui comincia la seconda parte dell’opera, che risparmio al dettaglio per coloro che vorranno scoprirla direttamente, e che riguarda la reazione di Giovanni su più fronti, innescata dalla morte per stenti di un disoccupato.
Avrà a che fare, nell’ordine, con iniziative rivolte ad un giornale locale, agli amministratori della giunta comunale del paese e alla sua cerchia di amici e conoscenti, al fine di sensibilizzare il contesto in cui vive per un mutamento di mentalità e di costume sociale.
Giovanni sente il problema dell’occupazione in prima persona, più come un fatto che restituisce dignità all’uomo che per mera necessità economica, essendo lui di buona famiglia. E’ perciò determinato nel tentativo di cambiare il volto alle storture dell’attuale società, fondata sull’indifferenza contro ogni principio solidaristico e sugli interessi egoistici di parte.
“ La corriera scendeva sicura, con movenze sinuose, lasciando intravedere, fra una curva e l’altra, le distanti vallate che si aprivano ai piedi dei monti che si stagliavano nel cielo, come intarsi lavorati. La luce del sole appena sorta, si diffondeva con il suo chiarore, emanando il proprio calore. Si apriva un nuovo giorno, che Giovanni sperava essere diverso e guardando l’orizzonte lontano, al di là dei monti, vagava con i suoi pensieri sperando di poter cambiare la propria vita, inseguendo la propria meta che sembrava irraggiungibile”.
Ce la farà, Giovanni, alla fine a vincere la sua battaglia personale e sociale?
A mio avviso e in ultima istanza l’opera vuole essere, al di là del puro diletto letterario dell’autore, un invito ai lettori a soffermarsi sul problema trattato, che è di ordine morale prima che sociale, che interroga la coscienza individuale prima dei risvolti di tipo sociale e politico. Per suscitare una riflessione e pensare delle soluzioni.
Chissà che dopo la barbarie di “Mani pulite” e “Mafia capitale” non si torni finalmente, un giorno, sulla ‘questione morale’, per estirpare il cancro del machiavellismo amorale che regna ovunque indisturbato.

Giovanni Fortuna

03.08.2015

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