I principi dell’azione amministrativa e il diritto di accesso

Si riporta l’articolo “I principi dell’azione amministrativa e il diritto di accesso” di Giuseppe Latronico pubblicato sul periodico la “Rivista della Guardia di Finanza”– bimestrale a carattere giuridico, economico e tecnico professionale novembre -dicembre 2008 n.6, con le parole di ringraziamento dell’autore.

Azione amministrativa e il diritto di accesso: Quando nel dolce tedio di quest’estate, fra i mille discorsi che si intraprendono nel corso di Stigliano, Mario mi chiese di inviare alcuni articoli per il sito “La voce del popolo”, non ero del tutto convinto.
Le mie perplessità riguardavano da un lato la scarsa attinenza di articoli di natura giuridica nell’ambito di argomenti che generalmente riguardano la cronaca locale o che hanno una matrice umanistica e dall’altro l’inevitabile erosione della loro attualità, a seguito di una continua produzione legislativa .
Complice il fluire di una birra, mi persuasi. Così quando scelsi per caso uno degli articoli pubblicati con la rivista nazionale della Guardia di Finanza nel corso di una collaborazione durata per circa due anni, mai mi sarei aspettato un così ampio interessamento, anche in considerazione della natura prettamente tecnica dell’argomento. Per non farla lunga, mi preme ringraziare tutti i numerosi lettori e visitatori del sito, in quanto “La cessione del credito nella pubblica amministrazione” ha superato le mille visualizzazioni.

I PRINCIPI DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA E IL DIRITTO DI ACCESSO

1. Introduzione pag. 1
2. I principi dell’azione amministrativa (efficacia ed economicità, semplificazione,
motivazione e certezza dell’azione amministrativa, trasparenza e pubblicità) pag. 2
3. Il nuovo procedimento amministrativo pag. 4
4. Il responsabile del procedimento pag. 5
5. Il diritto di accesso: fondamento e legittimazione pag. 7
6. La nuova figura del documento amministrativo pag. 7
7. I limiti del diritto di accesso pag. 8
8. Diritto di accesso e privacy pag. 9
9. Accesso informale e formale. Tutela giurisdizionale
pag. 10
1. INTRODUZIONE
La legge n. 241/90, recante “nuove norme sul procedimento amministrativo”, ha innovato profondamente la pubblica amministrazione, mutando radicalmente i rapporti con i cittadini e gli utenti in generale.
Con la citata legge, è cambiata la visione stessa di pubblica amministrazione, la quale non è più al di sopra ed al di là, ovvero distaccata dalla collettività, ma diviene parte integrante della stessa in un rapporto di confronto e di collaborazione.
La legge n. 241/90, infatti, ha mutato, modificandolo alle radici, il ruolo della pubblica amministrazione, introducendo un nuovo rapporto con i cittadini, uniformando l’azione amministrativa ai principi di democraticità, partecipazione e trasparenza. Essa segna il passaggio, per molti aspetti epocale, da un’amministrazione autoritativa, dove l’attività amministrativa era riservata, ad un’amministrazione aperta al cittadino, il quale può assumere un ruolo attivo, sia attraverso la partecipazione alla formazione dell’atto amministrativo che con l’accesso a tale documentazione.
Prima della legge n. 241/90, infatti, il procedimento di formazione dell’atto amministrativo essendo fondato su una istruttoria riservata che precludeva la partecipazione del cittadino interessato, garantiva unicamente una tutela successiva all’emanazione dell’atto amministrativo. Si creava, in altri termini, in caso di impugnativa dell’atto amministrativo, una netta separazione la pubblica amministrazione e il cittadino che risultavano collocati su piani nettamente diversi, rappresentando, ciascuno, un sistema chiuso e definito. Il cittadino, pertanto, era portatore di interessi legittimi di tipo oppositivo e la giurisdizione amministrativa si configurava come un giudizio sull’atto, a carattere impugnatorio, tendente prevalentemente a pronunci caducatorie
Con la normativa in esame, invece, l’amministrazione della cosa pubblica non rappresenta più e solamente l’espressione di un fatto riservato a figure soggettive pubbliche, ma è aperta ai contributi dei cittadini interessati, secondo regole di gestione democratiche del potere amministrativo.
In altre parole, il cittadino non può essere considerato un mero destinatario dell’attività della pubblica amministrazione, come tale collocato in una posizione di passiva soggezione rispetta ad essa. Il cittadino interessato, invece, è da reputare un soggetto attivo della funzione amministrativa, cogestore della potestà pubblica esercitata nel procedimento e, pertanto, titolare di interessi pretesivi e partecipativi.
La disciplina della legge n. 241/90 è stata in parte modificata dalle leggi 11.02.2005 n. 15 e 14 maggio 2005 n. 80, che hanno innovato il procedimento amministrativo e resa più organica la disciplina dell’accesso ai documenti.
Il legislatore poi con il decreto del Presidente della Repubblica 12 aprile 2006, n. 184, è intervenuto sulle modalità di esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi.

2. I PRINCIPI DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA
Il legislatore, con la legge n. 241/90, introduce, per la prima volta, nel nostro ordinamento giuridico, una disciplina normativa, generale ed organica, valida per tutti i procedimenti amministrativi.
La legge n. 241/90, infatti, contiene una chiara enunciazione dei principi fondamentali a cui l’azione amministrativa deve attenersi, ai fini della legittimità degli atti da adottare.
Tali principi sono: il principio di efficacia e economicità, il principio della semplificazione, il principio della motivazione e della certezza dell’azione amministrativa, il principio della trasparenza e della pubblicità, a cui l’amministrazione si deve uniformare, creando un nuovo modello di azione amministrativa.

a) Il principio di efficacia ed economicità
Nel procedimento di formazione dell’atto amministrativo tradizionale, l’azione amministrativa era condizionata unicamente dal principio di legalità, essendo vincolata alla realizzazione dell’interesse pubblico predeterminato dall’ordinamento giuridico. La dottrina, tuttavia, in conformità all’art. 97 della Costituzione, affermava che l’azione amministrativa doveva uniformarsi ai criteri di efficienza ed economicità.
Tali criteri sono recepiti dalla legge n.241/90 che prevedendoli espressamente (art. 1), gli conferisce forza di legge. Ciò comporta che la discrezionalità della pubblica amministrazione è vincolata non solo alla realizzazione dell’interesse pubblico, ma anche a canoni di adeguatezza e quindi all’impiego di mezzi idonei per ottenere quel risultato.
Si introduce in tal modo nel campo della pubblica amministrazione, un criterio tipicamente aziendalistico, volto ad impedire lo spreco di risorse, introducendo criteri imprenditoriali nelle linee che orientano e guidano le decisioni amministrative. L’azione amministrativa, pertanto, è vincolata dall’impiego di mezzi idonei a realizzare quel risultato. Per “mezzi” si devono intendere non solo quelli di natura strettamente economica, ma anche quelli di carattere procedimentale.

B) Il principio della semplificazione
Nell’ottica dell’idoneità dei mezzi da impiegare nella realizzazione dell’azione amministrativa, espressione del principio di efficienza ed economicità, si pone l’obbligo per la pubblica amministrazione di non aggravare il procedimento, se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria (art. 1, comma 2).
Il procedimento deve essere privo di inutili lungaggini e intoppi burocratici e pertanto l’Amministrazione provvede direttamente all’acquisizione della documentazione attestante atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari all’istruttoria, quando sono in possesso di altre amministrazioni (art. 18). Si libera così il cittadino da duplicazioni e ripetizioni di materiale cartaceo, affermando nel contempo l’unitarietà della pubblica amministrazione, le cui singole istituzioni devono collaborare e integrarsi fra di loro per rendere efficace l’azione amministrativa.

C) Il principio della motivazione e della certezza dell’azione amministrativa
In tale quadro si inserisce anche la necessità di motivare e concludere il procedimento entro tempi certi. Una delle più evidenti disfunzioni che caratterizzavano negativamente i rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione, fino ad epoca precedente la legge n. 241/90, infatti, riguardava la motivazione dell’atto e l’incertezza dei tempi di risposta degli uffici.
L’interessato, da un lato, per la motivazione strettamente formale, non aveva una cognizione chiara e dall’altro non partecipava al procedimento, non sapendo neppure a chi fosse affidata l’istruttoria. Inoltre, non aveva assicurazioni sul tempo di definizione della pratica. Il legislatore (art. 2) ha sovvertito tale situazione introducendo il principio di concludere il procedimento con un provvedimento motivato e in tempi certi. Il provvedimento, quindi, deve essere motivato, ovvero deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che lo hanno determinato.
Si supera così l’impostazione tradizionale che concepiva la motivazione non come elemento sostanziale, ma quale carattere inerente alla forma dell’atto, consistente in una mera enunciazione dei motivi della volontà provvedimentale.
Tale concezione trovava il suo fondamento nel principio di legalità, in quanto essendo alla pubblica amministrazione conferito un determinato potere per la realizzazione di un dato interesse pubblico, la motivazione stessa risultava implicita.
La pubblica amministrazione, inoltre, deve determinare il termine entro cui il procedimento deve concludersi, fissando, in mancanza, il termine legale di 90 giorni (in luogo dei 30 originariamente previsti), decorrenti dall’inizio del procedimento d’ufficio o dal ricevimento della domanda, se si tratta di procedimento ad istanza di parte. In caso di inadempimento si può ricorrere al giudice amministrativo entro 1 anno dalla scadenza del termine, senza bisogno di diffida dell’amministrazione, salvo i casi di silenzio assenso previsti dall’art. 20.
Tale articolo prevede, fatta salva l’applicazione dell’art. 19, che nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, il silenzio dell’amministrazione per il termine previsto per la conclusione del procedimento, equivale ad accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide.
Lo stesso articolo, tuttavia, esclude il silenzio assenso per i procedimenti relativi il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza e l’immigrazione, la salute e la pubblica incolumità e qualora la normativa comunitaria impone l’adozione del provvedimento, per i quali, invece, vige il principio del silenzio rigetto.
Il richiamato art. 19, invece, prevede una diversa procedura, per l’inizio attività, stabilendo che l’esercizio di attività imprenditoriale, commerciale e artigianale (ad eccezioni degli atti che riguardano la sicurezza, l’immigrazione, l’amministrazione della giustizia e della finanza), qualora il rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e presupposti di legge o di atti amministrativi a contenuto generale, può essere iniziato decorsi 30 giorni dalla presentazione della domanda, con l’obbligo di comunicazione all’Amministrazione (art. 19).

D) Il principio della trasparenza, della partecipazione e della pubblicità
Il principio ispiratore dell’intera normativa dettata dalla legge. n. 241/901 è la trasparenza e curiosamente non trovava menzione nell’originaria formulazione della legge.
Il principio della trasparenza, infatti, è stato introdotto espressamente con la legge
legata al diritto all’informazione del cittadino rispetto all’organizzazione e all’attività amministrativa. La trasparenza è volta ad assicurare la necessaria visibilità dell’Amministrazione e della sua azione, al fine di realizzare l’esercizio condiviso del potere pubblicistico, facendo conoscere ai cittadini i contenuti e le forme dello svolgimento dell’azione amministrativa.
In virtù di tale principio l’Amministrazione è tenuta a provvedere, secondo le modalità previste dall’ordinamento, alla pubblicazione di direttive, programmi, istruzioni, circolari, atti interpretativi di norme giuridiche.
La concreta realizzazione di tale principio, pertanto, si realizza attraverso la pubblicità, in quanto così e solo in tal modo si porta a conoscenza il cittadino dell’azione amministrativa.
Il principio della trasparenza, quindi, comporta, in linea generale, la piena visibilità dell’atto amministrativo non solo nel momento della sua definitiva formazione, ma anche in tutto il corso del procedimento che porta alla sua adozione.
Il cittadino interessato, inoltre, può prendere parte nella formazione dell’atto, attraverso la sua partecipazione nel procedimento di formazione dell’atto amministrativo (come vedremo meglio nel par. successivi).
L’attività amministrativa, infatti, come evidenziato nell’introduzione, non è più manifestazione di un’Amministrazione sostanzialmente autoritativa, ma deve uniformarsi al principio di democraticità, attraverso la partecipazione del soggetto interessato.
Diritto di partecipazione garantito dal legislatore attraverso specifiche forme di pubblicità, quali la comunicazione dell’avvio del procedimento (art. 7) e il preavviso di diniego (art. 10 bis).

3. IL NUOVO PROCEDIMENTO AMMINISTRATIVO
Il procedimento amministrativo di formazione dell’atto amministrativo, prima della legge n. 241/90, si configurava come un atto unilaterale con cui la pubblica amministrazione imponeva la propria volontà.
Non solo non vi era alcuna partecipazione dell’interessato, ma l’istruttoria era riservata, vigendo per il pubblico dipendente la regola del segreto ai sensi dell’art. 15 del T.U. Imp. Civ..
Il nuovo procedimento, invece, è aperto, trasparente ed accessibile agli interessati. L’amministrazione (art. 7), infatti, comunica l’avvio del procedimento ai soggetti nei cui confronti il provvedimento è destinato a produrre effetti diretti e a coloro che per legge devono intervenire nel procedimento (intervenienti necessari); ai soggetti individuati o facilmente individuabili diversi dai suoi diretti destinatari (intervenienti per chiamata); nonché ai soggetti a cui possa derivare un pregiudizio (intervenienti eventuali).
Nella comunicazione dell’avvio del procedimento, occorre indicare (art. 8): l’amministrazione competente, l’oggetto del procedimento, l’ufficio e la persona responsabile del procedimento, la data entro cui concludere il procedimento e l’ufficio in cui si possono visionare gli atti.
Tale comunicazione costituisce un presupposto di legittimità, la cui mancanza e le cui carenze inficiano provvedimento.
Il legislatore (art. 8), tuttavia, limita la possibilità di far valere l’illegittimità del provvedimento al solo soggetto nel cui interesse la comunicazione era prevista, configurando una sorta di illegittimità relativa. Inoltre, essa non rileva, se l’Amministrazione dimostri che il provvedimento, anche con la comunicazione di avvio del procedimento, non sarebbe potuto essere diverso da quello adottato (art. 21 octiies).
I soggetti partecipanti possono prendere visione del procedimento, presentare memorie scritte, con cui illustrare le proprie ragioni, e documenti che l’amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano pertinenti al procedimento.
Attraverso tali atti si attua un contraddittorio di tipo documentale che impegna l’amministrazione in una duplice attività di valutazione di pertinenza e di merito in ordine al contenuto di quanto documentato e rappresentato, con obbligo di motivarne le risultanze.
Il diritto di partecipazione non opera ove sussistano esigenze di celerità del procedimento (art. 7), nei procedimenti diretti all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, nonché nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le norme che li regolavano (art. 13).
Un’importante novità in tema di partecipazione (art. 10 bis) riguarda i procedimenti ad istanza di parte, ad eccezione delle procedure concorsuali e dei procedimenti in materia previdenziale e assistenziali, dove prima di adottare un provvedimento negativo, occorre comunicare tempestivamente i motivi.
Gli istanti possono, entro 10 giorni dal ricevimento della comunicazione, presentare proprie osservazioni, che interrompono i termini per la conclusione del procedimento. Raccolti gli elementi necessari ed effettuate le valutazioni si chiude l’istruttoria e segue la decisione , con l’adozione del provvedimento.

4. IL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO
Il responsabile del procedimento esprime una nuova funzione ordinamentale, al quale spetta l’attività istruttoria e degli atti di impulso procedimentali, rappresentando, altresì, il riferimento per l’amministrato all’interno dell’organizzazione pubblica procedente.
Il responsabile del procedimento (art. 6), quindi, quale dominus dell’istruttoria, deve valutare le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti rilevanti per l’emanazione del provvedimento.
Il responsabile del procedimento, pertanto, accerta d’ufficio i fatti e adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria. Cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le notifiche previste da leggi e regolamenti. Adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, trasmettendo altrimenti gli atti all’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, il quale non può discostarsi dall’istruttoria se non indicandone la motivazione nel provvedimento. L’istruttoria, quindi, assume una sua connotazione di autonomia, non è subordinata alla decisione, la quale è d essa sostanzialmente vincolata.
Il responsabile del procedimento, di conseguenza, risponde dei danni causati da tutti i ritardi nello svolgimento del procedimento amministrativo, nonché dell’inadempimento degli obblighi previsti per legge.
La pubblica amministrazione deve (art. 5), qualora non direttamente stabilito dalla legge, determinare, per ciascun tipo di procedimento l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria (e di ogni altro adempimento inerente al singolo procedimento, nonché, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale), affinché il dirigente ad essa preposta assuma la veste di responsabile del procedimento di tutti i procedimenti che rientrano nella competenza funzionale dell’unità organizzativa.
Il dirigente, tuttavia, può nominare responsabile del procedimento un altro dipendente addetto all’unità, assegnandoli la responsabilità dell’istruttoria ed eventualmente l’adozione del provvedimento finale.
La legge parlando di “altro dipendente” e dell’eventualità di adottare il provvedimento, fa sorgere il dubbio circa la possibilità di nominare come responsabile una figura diversa dal dirigente. Infatti se da un lato dall’espressione altro dipendete si evince la legittimità di nominare responsabile del procedimento anche un funzionario, dall’altro questi essendo un organo privo di rilevanza esterna non ha la competenza di emanare il provvedimento.
Tale incertezza viene diramata dallo stesso legislatore che prevede che fino a quando il dirigente non effettua l’assegnazione, è considerato responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto all’unità organizzativa. In altre parole non vi è necessariamente coincidenza tra chi adotta il provvedimento e il responsabile del procedimento, che si limiterà allo svolgimento dell’istruttoria.
In tale situazione si verifica un affievolimento del rapporto gerarchico, come rilevato dalla dottrina2 in quanto il designato responsabile del procedimento non può considerarsi un mero esecutore materiale delle direttive impartite dal dirigente.
Egli, infatti, è investito di una propria autonomia, rispondendo, in sede civile e penale, della gestione dell’istruttoria, con la conseguenza che la sovraordinazione gerarchica viene limitata e mutata in un nuovo rapporto di rilevanza esterna, in cui il designato assume poteri di indirizzo e propulsivi, di guida e di coordinamento in ordine a tutti gli atti di sequenza procedimentale e dove il dirigente che effettua la designazione di responsabile, conserva solo poteri di direttiva e di vigilanza sulla corretta evoluzione dell’attività procedimentale.

5. IL DIRITTO DI ACCESSO: FONDAMENTO, NATURA E LEGITTIMAZIONE.
Il diritto di accesso è il diritto di ottenere copia e prendere visione dei documenti e degli atti della P.A. (art. 22).
Esso trova il suo fondamento giuridico nel principio del buon andamento dei pubblici uffici (art.. 97 e 98 Cost.), anche se parte della dottrina lo collega al diritto all’informazione (art 21 Cost.)3 e, a seguito della l. n. 15/05, nell’art. 117 Cost. lett. m che garantisce i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.
Il diritto di accesso è volto a garantire la trasparenza e la legittimità dell’azione amministrativa ed è subordinato alla titolarità di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.
L’interesse è:
diretto quando è personale, ovvero appartiene alla sfera giuridica dell’interessato (ad es. non è consentito l’accesso alle associazioni sindacali che agiscono facendo valere diritti dei singoli);
è concreto quando vi è un collegamento tra il soggetto e un bene della vita coinvolto dall’atto o dal documento amministrativo ( non è più sufficiente il generico interesse alla trasparenza amministrativa);
è attuale quando è riferibile al documento per cui si chiede l’accesso (non essendo richiesto il riferimento all’interesse ad agire in giudizio per la tutela della posizione sostanziale).
La natura del diritto di accesso ha dato luogo ad un lungo e controverso dibattito, sia in sede dottrinale che giurisprudenziale.
In particolare, si sono affermate due tesi contrapposte che configurano il diritto di accesso, rispettivamente come interesse legittimo e diritto soggettivo.
L’elaborazione dottrinale della tesi del diritto di accesso quale interesse legittimo, è fondata essenzialmente su tre presupposti:
a) la pubblica Amministrazione nell’esplecare il potere di disciplinare il momento dell’accesso, effettua una valutare dell’interesse pubblico, che è tipica dell’esercizio del potere disciplinare, nei cui confronti il privato può vantare unicamente un interesse legittimo;
b) il termine di decadenza per impugnare la decisione dell’Amministrazione sulla richiesta di accesso, è inconciliabile con la posizione di diritto soggettivo;
c) la necessità di giustificare la richiesta di accesso, è incompatibile con la posizione di diritto soggettivo, il cui esercizio, di norma, non richiede giustificazioni.
La tesi che configura il diritto di accesso come diritto soggettivo, è anch’essa fondata su tre presupposti:
a) la Pubblica Amministrazione in sede di esame dell’istanza di accesso non dispone di alcun potere discrezionale, ponendo in essere unicamente un’attività vincolata alla verifica della sussistenza dei presupposti di legge e all’assenza di motivi ostativi all’accesso;
b) Il termine decadenziale per l’esercizio del diritto di accesso, non rileva ai fini della sua qualificazione, in quanto trova il suo fondamento nel principio della certezza dell’azione amministrativa;
C) la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, deriva dalla natura sostanziale della posizione giuridica soggettiva fatta valere in giudizio e non da una specifica previsione di legge;
Al riguardo, anche l’orientamento giurisdizionale non appare univoco, diviso anch’esso fra le due tesi contrapposte della qualificazione del diritto di accesso, rispettivamente come interesse legittimo e diritto soggettivo.
Il Consiglio di stato, infatti, si è espresso a favore della prima tesi, in adunanza plenaria, con la sentenza n. 16 del 24 giugno 1999, a cui succedevano sentenze in linea con la suddetta qualificazione4. Lo stesso consiglio, tuttavia, con altre decisioni si pronunciava a favore della tesi della qualificazione del diritto di accesso come diritto soggettivo5
La querelle in questione appare superata con la legge n. 15 del 2005, che ha riformulato l’art. 22 della legge n. 241/90.
L’indicato intervento legislativo, infatti, come già evidenziato, include il diritto di accesso nei livelli essenziali delle prestazioni concernente i diritti civili e politici ai sensi dell’art. 117 della Costituzione.
Tale connotazione non può che ricondurre il diritto di accesso ad una posizione di diritto soggettivo.
Al riguardo, è intervenuto nuovamente il Consiglio di Stato, in adunanza plenaria,6 il quale con motivazioni complesse ed articolate, ha preliminarmente affermato “Non sembra peraltro, che nella specie, rivesta utilità ai fini dell’identificazione della disciplina applicabile al giudizio avverso le determinazioni concernenti l’accesso, procedere all’esatta qualificazione della natura della posizione soggettiva coinvolta”. E ciò in quanto “L’accesso è collegato a una riforma di fondo dell’amministrazione, informata ai principi di pubblicità e trasparenza dell’azione amministrativa, che si inserisce a livello comunitario nel più generale diritto all’informazione dei cittadini rispetto all’organizzazione e alla attività amministrativa. Ed è, evidente, in tale contesto, che si creano ambiti soggettivi normativamente riconosciuti di interessi giuridicamente rilevanti, anche in contrapposizione tra di loro: interesse all’accesso; interesse alla riservatezza di terzi; tutela del segreto”.
Per, poi, concludere: “Trattasi, a ben vedere, di situazioni soggettive che, più che fornire utilità finali (caratteristica da riconoscere, ormai non solo ai diritti soggettivi ma anche agli interessi legittimi), risultano caratterizzate per il fatto di offrire al titolare dell’interesse poteri di natura procedimentale volti in senso strumentale alla tutela di un interesse giuridicamente rilevante (diritti o interesse)”.
Ne consegue, inevitabilmente, che il suddetto carattere strumentale si riflette sull’azione di tutela della posizione giuridica. Essa, infatti, deve da un lato garantire la tutela giurisdizionale dell’accesso di assicurare la protezione dell’interesse giuridicamente rilevante e dall’altro la tutela della certezza dei rapporti amministrativi e delle posizioni giuridiche di terzi controinteressati.
Ne deriva, pertanto, che il termine previsto dall’art. 25 della legge n. 241 del 1990, ha carattere decadenziale ed esso comporta la non reiterabilità dell’istanza di accesso e la conseguente impugnazione del successivo diniego “laddove a questo possa riconoscersi carattere meramente confermativo del primo”. In altre parole, l’istanza di accesso alla documentazione amministrativa, potrà essere presentata nuovamente solamente qualora vi siano fatti nuovi, anche sopravvenuti, oppure se vi è una diversa formulazione dell’interesse giuridicamente rilevante.
La nuova formulazione dell’art. 22 contiene anche la definizione di contro interessati, che sono tutti i soggetti individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza.
Al riguardo, occorre precisare che il legislatore con il D.P.R n. 184 del 12 aprile 2006, è intervenuto per meglio tutelare i diritti dei controiteressati.
Nel suddetto D.P.R., infatti, all’art. 3, è previsto che la Pubblica Amministrazione prima di autorizzare l’accesso, deve darne comunicazione ai controiteressati (mediante raccomandata con avviso di ricevimento p via telematica per coloro che abbiano consentito a tale forma di comunicazione), i quali entro dieci giorni dalla ricezione possono presentare motivata opposizione alla richiesta di accesso.
Per quanto attiene alla c.d legittimazione passiva, ovvero i soggetti obbligati a consentire l’accesso, essi sono: tutte le amministrazioni pubbliche, anche comunitarie (non solo statali), le aziende autonome e speciali, le autorità indipendenti (Autority), gli enti pubblici e i gestori di pubblici servizi.

6. LA NUOVA FIGURA DEL DOCUMENTO AMMINISTRATIVO
Il diritto di ’accesso ha ad oggetto il documento amministrativo, per il quale s’intende, ai sensi dell’art. 22, “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica, o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni, o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.
Anche l’art. 22 della legge n. 241/90, è stato novellato dalla legge n. 15/2005, la quale ha lasciato sostanzialmente immutato il concetto di documento amministrativo, introducendo un’unica limitazione alla suddetta nozione, stabilendo l’inaccessibilità alle informazioni in possesso di una P.A. che non abbiano forma di documento amministrativo.
Si tratta, chiaramente, di una ipotesi residuale, considerata l’ampiezza della formula usata dal legislatore nella definizione del documento amministrativo. Un ipotesi di sussistenza di tale limitazione, può essere rappresentato dalle procedure di gare campionate o dalle procedure di aggiudicazione con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa con la presentazione del prototipo oggetto del progetto proposto. In tali casi, infatti, è richiesta la presentazione di un manufatto presentato nel rispetto delle prescrizioni del capitolato tecnico posto a base di gara. Il manufatto, infatti, consistente in un oggetto, non ha la forma del documento.
Al riguardo, tuttavia, il T.A.R. si è espresso diversamente, considerando documento amministrativo la campionatura facente parte dell’offerta in sede di gara7.
La legge, quindi, già con la formulazione originaria dell’art. 22, elabora ed introduce nell’ordinamento una nuova figura giuridica, denominata appunto documento amministrativo, la cui fattispecie è molto più amplia della nozione di atto amministrativo.
Nella concezione tradizionale, infatti, l’atto amministrativo veniva definito come l’atto posto in essere dalla Pubblica Amministrazione nell’esercizio della sua funzione pubblicistica, avente rilevanza esterna. Conseguentemente, non erano considerati atti amministrativi tutti gli atti interni e di diritto privato della Pubblica Amministrazione.
Con l’introduzione del documento amministrativo, tale impostazione è stata radicalmente innovata e disattesa, tanto che la figura dell’atto amministrativo risulta , non solo superata, ma incompatibile con la nuova figura giuridica del “documento amministrativo”, elaborata dal legislatore.
Il legislatore, in altri termini, in conformità al principio di trasparenza e della partecipazione, ha voluto comprendere nel diritto di accesso ogni atto della Pubblica Amministrazione, comprendendo anche gli atti interni e senza distinguere se essa agisca o meno come soggetto pubblico. Gli atti interni o meramente interni, infatti, possono assumere rilevanza ai fini di un eventuale sindacato sulla veridicità e completezza del documento utilizzato ai fini del provvedimento finale.
La Pubblica Amministrazione, inoltre è indubbio che anche quando svolge attività privata persegue comunque un interesse pubblico.
Del resto, che la nozione di documento amministrativo comprenda anche gli atti privati della Pubblica Amministrazione, deriva non solo dall’ambito legislativo del documento amministrativo, ma anche dallo stesso spirito informatore della normativa sulla trasparenza, alla luce della appare indifferente la natura sostanziale dell’atto oggetto del diritto di accesso.
In ogni caso, ogni dubbio al riguardo, può dirsi definitivamente superato, con la nuova formulazione dell’art. 22 della legge n. 241/90, così come novellato dalla legge n. 15/2005.
Il vecchio testo dell’art. 22, infatti, parlava di atti formati dalla Pubblica Amministrazione, lasciando un piccolissimo dubbio che il legislatore potesse riferirsi agli atti amministrativi propri, secondo la riportata definizione.
Tale interpretazione, tuttavia, appariva incongrua e superata già con la formulazione originaria dell’art. 22, che dopo l’espressione atti formati dalla Pubblica Amministrazione, aggiungeva “comunque utilizzati ai fini dell’attività amministrativa”
Il nuovo arti 22, comunque, ha sostituito all’espressione atti formati dalla Pubblica Amministrazione, la dizione di atti detenuti dalla Pubblica Amministrazione, escludendo ogni riferimento al procedimento di formazione degli atti amministrativi.
Un’altra innovazione introdotta con il nuovo testo dell’art. 22, è rappresentata dalla possibilità di esercitare il diritto di accesso anche in relazione ad atti non relativi ad uno specifico procedimento.
Si supera in tal modo anche i dubbi circa l’esercizio del diritto di accesso, in relazione agli interni della Pubblica Amministrazione.
L’accesso, ai sensi del nuovo art. 22, è, infatti, consentito per gli atti detenuti dalla pubblica amministrazione, anche se non relativi a uno specifico procedimento e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla loro natura.
Il diritto di accesso, pertanto, può essere legittimamente esperito in merito agli privati e agli atti endoprocedimentali della Pubblica Amministrazione.
Al riguardo, la giurisprudenza ammette l’accesso anche per atti prodotti da privati e successivamente utilizzati nello svolgimento del procedimento8.

7. LIMITI DEL DIRITTO DI ACCESSO
L’art. 24 , così come novellato dalla l. m. 15/05, prevede i casi tassativi ed eventuali di esclusione del diritto di accesso.
I limiti tassati al diritto di accesso attengono chiaramente a specifiche esigenze da tutelare, poste a salvaguardia di interessi pubblici fondamentali e preminenti, rispetto ai quali il diniego del diritto di accesso si atteggia come atto assolutamente vincolante e come tale caratterizzato dall’assenza dell’obbligo di motivazione. Per tali atti di diniego, infatti, non è configurabile il vizio del difetto di motivazione.
Sono tassativamente esclusi dall’accesso i documenti che riguardano:
1) il segreto di stato e nei casi di segreto o di divieto di divulgazione espressamente previsti dalla legge, da regolamento governativo e delle pubbliche amministrazioni;
2) i procedimenti tributari
3) l’attività della pubblica amministrazione diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione;
4) i procedimenti selettivi, nei confronti di documenti amministrativi contenenti informazioni di carattere psico attitudinale relativi a terzi.
Il nuovo dettato dell’art. 24, ad opera della legge n. 15/2005, contiene una più chiara ed organica disciplina delle limitazioni al diritto di accesso, con aspetti innovativi anche rispetto all’orientamento giurisprudenziale che si era formato nella vigenza dell’originario art. 24, con particolare riferimento alle fattispecie dei procedimenti tributari e ai procedimenti di selezione.
La prima limitazione prevista dal dettato legislativo, riguarda due fattispecie diverse, ma connesse fra di loro: il segreto di stato e gli atti segreti o riservati.
Al riguardo, la giurisprudenza ha specificato che il segreto per impedire l’accesso agli atti deve riguardare la salvaguardia di interessi di natura diversa da quelli genericamente amministrativi9.
Il segreto, in altre parole, non può assolutamente consistere in una sorta di riedizione del principio di riservatezza dell’azione amministrativa.
Più specificatamente, per quanto attiene alla fattispecie del segreto di stato, occorre evidenziare che ai sensi dell’art. 12 della legge 14 ottobre 1997, n. 801, si considerano tali “gli atti e documenti, , le notizie, le attività e ogni altra cosa la cui diffusione sia idonea a recare danno all’integrità dello Stato democratico, anche in relazione ad accordi internazionali, alla difesa delle istituzioni, al libero esercizio della funzione degli organi costituzionali, all’indipendenza dello Stato rispetto ad altri stati, alla preparazione della difesa militare dello Stato”.
Per quanto attiene invece ai documenti coperti da segreto o divieto di divulgazione altrimenti previsti dall’ordinamento giuridico, ricordiamo, a titolo di esempio, il segreto militare, disciplinato dal R.D.L. n. 1161 dell’11 luglio 1941 recante “norme relative al segreto militare”.
La materia è stata recentemente innovata integrata dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 febbraio 2006 e dalla direttiva PCM-ANS 2006, recanti norme concernenti la protezione e la tutela delle informazioni classificate.
Dette norme hanno profondamente modificato la preesistente normativa, definendo puntualmente le procedure che regolano la gestione della documentazione e del materiale classificato, individuando le conseguenti responsabilità che ne derivano, a secondo delle competenze.
Al riguardo, è sufficiente ricordare che le classifiche di sicurezza sono: Segretissimo (SS), Segreto(S), Riservatissimo (RR) e Riservato (R). Le suddette classificazioni, devono avvenire mediante un’attenta valutazione del danno che potrebbe arrecare allo Stato la rilevazione non autorizzata della notizia ed evitando di incorrere nell’errore di una sovra o sottoclassificazione.
La nuova formulazione dell’art. 24, prevedendo tassativamente l’esclusione del diritto di accesso nei procedimenti tributari, pone fine ad una annosa controversia sviluppatasi sia in sede dottrinaria che in sede giurisprudenziale.
Prima della legge n. 15/2005, infatti, si era lungamente discusso su tale questione, in quanto la formulazione originaria dell’art. 24, comma 6, prevedeva che “Non è comunque ammesso l’accesso agli atti preparatori nel corso della formazione dei provvedimenti di cui all’articolo 13, salvo diverse disposizioni di legge”.
Il richiamato articolo 13, prevedeva l’esclusione del diritto di accesso agli atti nei confronti dell’attività diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali e di programmazione, nonché nei riguardi di procedimenti tributari.
Il richiamo legislativo al termine di “procedimenti”, anzichè di provvedimenti tributari, infatti, aveva posto il problema dell’ammissibilità del diritto di accesso nei riguardi degli atti preparatori dei provvedimenti tributari.
Si era da un lato, basandosi sul tenore letterale della disposizione, ritenuto possibile l’esercizio del diritto di accesso e dall’altro si era sostenuto che esso fosse contrario allo spirito della norma, in quanto era evidente l’intenzione del legislatore di riferirsi non solo ai provvedimenti in quanto tali, ma anche a tutta la fase procedimentale precedente.
Vi era, pertanto, in dottrina un contrasto tra una interpretazione letterale e una interpretazione sostanziale dell’art. 13 e dell’art. 24 della legge n. 241/1990.
Al riguardo, la giurisprudenza aveva risolto positivamente il problema della compatibilità della normativa sul diritto di accesso con il settore tributario10).
Un altro aspetto innovativo nell’elencazione delle cause di esclusione tassative nella nuova formulazione dell’art. 24, così come novellato dalla legge n. 15/2005, è rappresentato dalla limitazione di cui al punto d) del primo comma di detta norma.
Il legislatore, infatti, ha ritenuto opportuno intervenire in materia, prevedendo per la fattispecie l’esclusione, in quanto la possibilità di esercitare il diritto di accesso nei procedimenti selettivi, in relazione ai documenti che contengono informazioni di carattere psico attitudinali relativi a terzi, era controverso e oggetto di ampie discussione.
La suddetta problematica, tuttavia, in sede giurisprudenziale, con orientamento consolidato, era stata risolta positivamente, in quanto era stato ritenuto ammissibile l’esercizio del diritto di accesso.
Il Consiglio di Stato, infatti, in materia di pubblici concorsi, aveva ritenuto fondato l’accesso da parte dell’interessato a tutti gli elaborati e le valutazioni relative agli altri concorrenti, affermando: “Alla domanda del partecipante a un pubblico concorso di conoscere gli atti della procedura non può legittimamente opporsi l’esigenza di tutelare la riservatezza di altri candidati”11
Orientamento ribadito con altra pronuncia, ove il Consiglio di Stato afferma che la “riservatezza non può essere assicurata con riferimento alla redazione di elaborati destinati, per loro natura, al confronto con quelli di altri candidati in un contesto di competizione concorsuale, che non si riduce al rapporto tra il candidato e l’Amministrazione, ma coinvolge anche altri candidati in un necessario giudizio di relazione”12.
In merito, si richiamano anche altre pronunce13 del Consiglio di Stato.
Tale situazione, alla luce della nuova disciplina, introdotta con la riformulazione dell’art. 24, non può più essere assunta, ma occorrerà, invece, distinguere in tale ambito procedurale, gli atti conoscibili dal soggetto interessato da quelli rientranti nell’espresso divieto del legislatore.
La normativa in esame, inoltre, prevede la possibilità di eventuali ulteriori limitazioni, stabilendo che il governo può con regolamento individuare casi aggiuntivi di esclusione del diritto di accesso, quando la divulgazione del documento amministrativo:
possa comportare, al di fuori del segreto di stato, una lesione specificala e individuata alla sicurezza e alla difesa nazionale e alle relazioni internazionali;
possa arrecare pregiudizio alla politica monetaria e valutaria;
per ciò che attiene all’ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità;
la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, giuridiche, gruppi, imprese ed associazioni con particolare riferimento agli interessi di natura epistolare, sanitaria, finanziaria, industriale e commerciale;
l’attività in corso di contrattazione collettiva nazionale di lavoro e gli atti connessi all’espletamento del relativo mandato.
Le singole amministrazioni, inoltre, individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso, fissando per ogni categoria di documenti, anche l’eventuale periodo di tempo per il quale essi sono sottratti all’accesso.
Il legislatore prevede anche un limite generale e temporale, stabilendo che l’accesso non è consentito se volte a un controllo generalizzato dell’operato della pubblica amministrazione (art. 24) e può essere esercitato fino a quando l’amministrazione ha l’obbligo di detenere il documento (art. 22).
Un altro aspetto dell’ambito dell’esercizio del diritto di accesso, è stato risolto dal D.P.R. n. 184 del 2006.
Nell’esperienza maturata nell’abito della disciplina in esame, infatti, era emersa la problematica sulla legittimità della richiesta di dati desumibili dai documenti amministrativi, oggetto del diritto di accesso.
Al riguardo, il citato D.P.R., all’art. 2, comma 2, ha espressamente previsto che “La pubblica amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso”.
L’accesso, infine, non può essere rifiutato quando è possibile differirlo.

8. DIRITTO DI ACCESSO E PRIVACY
L’esigenza di tutela della riservatezza dei terzi coinvolti in atti e documenti amministrativi ha dato luogo ad un vasto dibattito, anche con numerosi interventi giurisprudenziali di diverso orientamento.
Del resto, sia il diritto di accesso che il diritto alla riservatezza sono non solo garantiti dalla legge ordinaria (legge n. 241/90 e succ. mod. e legge n. 675 del 31 dicembre 1996, abrograta dal decreto legislativo n. 196 del 30 giugno 2003 – c.d. codice della privacy-), ma entrambi trovano il loro fondamento nella Costituzione.
Il diritto di accesso, come si è visto, nel principio del buon andamento dei pubblici uffici (art.. 97 e 98 Cost.), nel diritto all’informazione (art 21 Cost.) e, a seguito della l. n. 15/05, nell’art. 117 lett. m della Costituzione, mentre il diritto alla riservatezza nell’art. 2 della Costituzione, quale diritto inviolabile dell’uomo, sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.
Si tratta, quindi, di conciliare un possibile conflitto tra diritti aventi pari rango.
Nella vigenza della formulazione originaria della legge n. 241/90 e della legge n. 675/96, si erano formati, sostanzialmente, anche con il contributo di pronunce giurisprudenziali, due orientamenti.
Una prima tesi riteneva che nell’assenza di una regola generale univoca, la prevalenza fra il diritto di accesso e il diritto alla riservatezza, non poteva che scaturire da una valutazione concreta della singola fattispecie.
Tale impostazione, tuttavia, non individuando un criterio oggetto di riferimento, di fatto, lasciava insoluta la problematica.
Una seconda tesi, invece, collegandosi all’elemento testuale dell’art. 22 della legge n. 241/90, aveva elaborato il criterio della necessità della tutela.
La richiamata norma, infatti, prevedeva per l’esercizio del diritto di accesso un “interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti”.
In conformità al suddetto elemento letterale, si sosteneva, che ai fini dell’accesso non era sufficiente una mera connessione tra la situazione giuridica e la conoscenza del documento. Occorreva, invece, la sussistenza di un nesso di pertinenza tra il documento e l’esercizio del diritto di accesso.
Anche la giurisprudenza è intervenuta, a più riprese, nella questione, pronunciandosi non solo a volte per la prevalenza del diritto alla riservatezza sul diritto di accesso ed altre, invece, per la prevalenza del diritto di accesso sul diritto alla riservatezza, ma adottando anche soluzioni intermedie.
Al riguardo, infatti, il Consiglio di Stato ha ritenuto che il diritto di accesso, deve prevalere rispetto all’esigenza di riservatezza del terzo, qualora venga in rilievo per la cura o la difesa dei propri interessi giuridici14.
Diversamente il Consiglio di Stato, ha ritenuto prelavente il diritto alla riservatezza15 o ha ritenuto che il diritto alla difesa debba prevalere su quello alla riservatezza solo se una disposizione di legge espressamente consente al soggetto pubblico di comunicare ai privati i dati oggetto di richiesta 16.
Si è affermato, inoltre, che il diritto di accesso può essere limitato alla visione degli atti, in quanto in tal modo è possibile approntare una prima linea di difesa, che può essere maggiormente tutelata in caso di contenzioso giurisdizionale, dove si potrà non solo ottenere copia degli atti, ma anche presentare motivi aggiuntivi17.
La nuova formulazione dell’art. 24, prevede che il governo, con regolamento, può sottrarre all’accesso i documenti che riguardano la vita privata o la riservatezza, stabilendo che deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici.
Nel caso dei documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, si specifica, che l’accesso è consentito nei limiti in cui sia strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art. 60 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in caso di dati idonei a rilevare lo stato di salute e la vita sessuale.
L’art. 24, comma 7, del nuovo testo della legge n. 241/90, quindi, distingue due categorie di dati sensibili: una fattispecie generale costituita dai dati sensibili e giudiziari e una fattispecie specifica, costituita dai dati che attengono allo stato di salute e alla vita sessuale dei terzi.
Il Dl.vo n. 196/2003, invece, prevede un’unica categoria di dati sensibili, pur richiedendo una specifica modalità di trattamento per i dati che attengono allo stato di salute e alla vita sessuale dei terzi.
Il richiamato decreto legislativo, infatti, all’art. 4, definisce dati sensibili: “i dati personali idonei a rilevare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione ai partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rilevare lo stato di salute e la vita sessuale”.
Nella suddetta definizione non sono compresi i dati giudiziali, che come definiti nella successiva lettera e dell’articolo, sono i dati idonei a rilevare i provvedimenti contenuti nel casellario giudiziario e per quanto riguarda l’anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, o la qualità di imputato o di indagato ai sensi degli articoli 60 e 61 del codice di procedura penale.
Per quanto attiene i dati personali idonei a rilevare lo stato di salute e la vita sessuale, l’art. 60 di detto decreto legislativo, stabilisce: “Quando il trattamento concerne dati idonei a rilevare lo stato di salute o la vita sessuale, il trattamento è consentito se la situazione giuridica rilevante che si intende tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi è di rango pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o di un altro diritto fondamentale e inviolabile”.
Dalla lettura congiunta dell’art. 24, comma 7, del nuovo testo della legge n. 241, dell’art. 4 e dall’art. 60 del decreto legislativo n. 196/03, quindi, emerge che occorre distinguere due categorie di dati sensibili: i dati sensibili propriamente detti e i dati super sensibili.
Nella prima categoria, ai sensi dell’art. 4. del decreto legislativo 196/03, rientrano i dati attinenti alla iscrizione ad un partito politico, ad associazione sindacale, l’adesione ad un credo religioso, nonché i dati giudiziari per effetto del comma 7 dell’art. 24 della legge n. 241/90.
Sono, invece, dati super sensibili quelli attinenti alla salute, alla vita sessuale ( e per estensione i dati di natura genetica).
Per i dati sensibili propriamente detti, prevale il diritto all’accesso solo se strettamente necessario per la cura e la difesa dei propri interessi giuridici.
Per i dati super sensibili, invece, il diritto di accesso è consentito solamente quando, previa attenta valutazione comparativa, tra le esigenze contrapposte, sia emersa pari o superiore dignità del diritto alla pubblicità.
Al riguardo, tuttavia, occorre precisare che la valutazione dei contrapposti interessi, deve avvenire analizzando la situazione sostanziale. La valutazione in questione, quindi, deve essere svolta concretamente e non attraverso una teorica scala gerarchica dei diritti potenzialmente confligenti..
In merito, si indicano a titolo esemplificativo alcune situazioni ritenute equivalenti dalla giurisprudenza.
Lo scioglimento del matrimonio coinvolge situazioni giuridicamente rilevanti di rango equivalente al diritto alla riservatezza sulla salute18. La difesa giudiziale della carriera ospedaliera del medico, è da ritenersi equivalente al diritto alla riservatezza sulla salute19.
Un ulteriore profilo dei rapporti tra diritto di accesso e diritto alla riservatezza, rileva in materia di appalti pubblici, dove la giurisprudenza ha fornito criteri oggettivi di bilanciamento fra i contrapposti interessi.
Nell’ambito degli appalti pubblici, infatti, l’esercizio del diritto di accesso deve commisurarsi con la necessità di tutelare know how industriale.
In tale fattispecie, “spetta comunque all’amministrazione l’adozione di adeguate misure di tutela della riservatezza (cancellatura, omissis), in relazione alle eventuali parti del progetto, idonee a rilevare i segreti industriali e che non siano state in alcun modo prese in considerazione in sede di gara” 20:
Più specificatamente, la giurisprudenza ha precisato che “Con particolare riguardo alle procedure di evidenza pubblica, la difesa degli interessi giuridici del partecipante alla gara, risultato non aggiudicatario, va limitata a quei documenti o parte di essi valutati dall’amministrazione per l’ammissione alla procedura, per la verifica della sussistenza dei requisiti di partecipazione e per la valutazione dell’offerta e l’attribuzione dei punteggi”21
In merito, recentemente, si è pronunciata anche la Corte di Giustizia, che ha ribadito: “Nell’ambito di un ricorso proposto contro una decisione adottata da un’amministrazione aggiudicatrice relativa ad procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, il principio del contraddittorio non implica che le parti abbiano un diritto di accesso illimitato e assoluto al complesso delle informazioni relative alla procedura di aggiudicazione. Tale diritto di accesso deve infatti essere ponderato con il diritto di altri operatori economici alla tutela delle informazioni riservate e dei loro segreti commerciali”22.
Le richiamate pronunce chiariscono il rapporto tra il diritto di accesso del partecipante ad una gara e il diritto alla riservatezza dei dati idonei a rilevare i segreti industriali dell’aggiudicatario, non specificando in merito all’accesso esperito anche relativamente alla documentazione prodotta dagli altri partecipanti.
Al riguardo, tuttavia, si richiama il principio, recentemente affermato dalla giurisprudenza, che il diritto di accesso non garantisce un potere esplorativo di vigilanza sull’esercizio dell’azione amministrativa.
Al riguardo, il Consiglio di Stato ha affermato che: “il diritto di accesso è sempre fondato sull’interesse sostanziale collegato ad una specifica situazione soggettiva giuridicamente ed è, altresì, strumentale ad acquisire la conoscenza necessaria a valutare la portata lesiva di atti o comportamenti, mentre va escluso che il diritto medesimo garantisca un potere esplorativo di vigilanza da esercitare attraverso il diritto all’acquisizione conoscitiva di atti o documenti, al fine di stabilire se l’esercizio dell’attività amministrativa possa ritenersi svolto secondo i canoni di trasparenza”23.
Un altro aspetto della suddetta problematica, è inerente al diritto alla difesa, anch’esso di rilevanza costituzionale ( art. 24 ).
Il diritto di accesso, infatti, può essere esercitato per la proposizione o in pendenza di un ricorso, per l’acquisizione di documenti che possono ledere il diritto alla riservatezza.
Nell’autorizzare o meno l’accesso, pertanto, occorre tener conto di una triplice posizione, tutte di rilevanza costituzionale, quali appunto il diritto di accesso, il diritto alla riservatezza e il diritto di difesa.
In tale fattispecie, si è posto, anche il problema della rilevanza della decorrenza dei termini per la proposizione dell’impugnativa.
Nell’operato delle singole pubbliche amministrazioni, infatti, è emersa l’incertezza a consentire l’accesso ad un atto che non è più impugnabile, potendosi, tale fattispecie, configurare come causa preclusiva della titolarità di un interesse diretto, concreto ed attuale, così come previsto dall’art. 22 della legge n. 241/90 e succ. mod., e quindi della legittimazione dell’accesso.
Al riguardo, la giurisprudenza ha chiarito che il “Il diritto di accesso, infatti, non assume carattere meramente strumentale alla difesa in giudizio …. ma ha una valenza autonoma , non dipendente dalla sorte del processo principale e dalla stessa possibilità di instaurazione del medesimo”24.
Conseguentemente, “La posizione che legittima l’accesso non deve, quindi, possedere tutti i requisiti che legittimerebbero al ricorso avverso l’atto lesivo della posizione soggettiva vantata, ma è sufficiente che l’istante sia titolare di una posizione giuridicamente rilevante e che il suo interesse si fondi su tale posizione”25
Alla luce di tali principi, ovvero la non rilevanza della proposizione o della proponibilità del ricorso, ne deriva che la decorrenza dei termini di impugnazione non può ritenersi causa preclusiva dell’accesso agli atti.
Tale assunto è stato, tra l’altro, esplicato anche in sede giurisdizionale.
Al riguardo, infatti, partendo dall’assunto che “l’interesse alla conoscenza dei documenti amministrativi viene elevato a bene della vita autonomo, meritevole di tutela separatamente dalle posizioni sulle quali abbia poi ad incidere l’attività amministrativa, eventualmente in modo lesivo.
Ne consegue che “il rimedio speciale previsto a tutela del diritto di accesso deve ritenersi consentito anche in assenza di una rituale impugnazione degli esiti di una gara, in relazione alla quale il diritto di accesso è stato richiesto” 26:
Più specificatamente, si è affermato che l’interesse all’accesso dei documenti “va valutato in astratto, senza che possa essere operata, con riferimento al caso specifico, alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda giudiziale che gli interessati potrebbero eventualmente proporre sulla base dei documenti acquisiti mediante l’accesso e quindi la legittimazione all’accesso non può essere valutata alla stessa stregua di una legittimazione alla pretesa sostanziale sottostante”27.
La problematica esaminata si pone pressocchè inalterata anche nei confronti dell’accesso al documento informatico.
L’evoluzione tecnologica e la necessità di una maggiore funzionalità della Pubblica Amministrazione, hanno reso corrente non solo la produzione dei documenti amministrativi, ma anche la loro gestione con sistemi informatici.
Al riguardo, il legislatore è intervenuto con D.L.vo del 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale”), aggiornato con il D.L.vo n. 159 del 4 aprile 2006 (Disposizioni integrative al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 recante codice dell’amministrazione digitale).
La suddetta normativa, occorre immediatamente rilevare, contiene una definizione del documento informatico differente dal documento amministrativo di cui alla legge n. 241/90 e succ. modificazioni.
Il documento informatico, infatti, all’art. 1 lett. p, è definito “la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”.
L’inciso “giuridicamente rilevanti”, infatti, restringe l’ambito del documento informati, laddove quello amministrativo, come si è visto, comprende qualsiasi rappresentazione grafica, fotocinematografica ed elettromagnetica.
Tale diversa definizione potrebbe comportare delle problematiche in merito all’esercizio del diritto di accesso, superabili solamente alla luce di una lettura sistematica del Codice dell’amministrazione digitale.
L’art. 2, n. 5, del suddetto codice, infatti, stabilisce che “le disposizioni del presente codice si applicano nel rispetto della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali e, in particolare, delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali approvato con decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196”.
Il legislatore, quindi, anche in materia di documento informatico, rimanda ai rapporti tra diritto di accesso e diritto alla riservatezza, stabilendo che non vi sono ulteriori limitazioni alla disciplina dell’accesso anche quando esso venga esercitato per documenti informatici o per il tramite di strumenti informatici.
Al riguardo, si è limitato a disciplinare le modalità dell’esercizio di accesso, stabilendo all’art. 4 di detto codice che “La partecipazione e il diritto di accesso ai documenti amministrativi sono esercitabili mediante l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione secondo quanto disposto dagli articoli 59 e 60 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445”.

9. ACCESSO INFORMALE E FORMALE. TUTELA GIURISDIZIONALE
Il diritto di accesso si esercita nei confronti dell’amministrazione che ha formato l’atto o che lo detiene stabilmente, mediante esame ed estrazione di copia dei documenti amministrativi (art. 25). L’accesso, pertanto, si distingue in formale ed informale.
L’accesso informale consiste nel prendere visione degli atti e si esercita anche verbalmente, mentre quello formale è volto all’acquisizione di uno, di più documenti o di tutti i documenti amministrativi che concorrono alla formazione dell’atto amministrativo e si esercita con una richiesta scritta e motivata.
La duplice tipologia dell’accesso prevista dal legislatore, è volta a rispondere ad esigenze diverse e a non aggravare il procedimento di formazione dell’atto amministrativo di adempimenti inutili, che potrebbero essere evitati tramite la semplice visione degli atti. In altre parole, l’accesso informale si configura propedeutico a quello formale.
Esso, infatti, ha una funzione ricognitiva, volta a permettere all’interessato una visione d’insieme dei documenti che concorrono alla formazione dell’atto amministrativo e di valutare in tal modo la necessità o meno di acquisire un determinato documento amministrativo.
L’accesso informale si esercita mediante richiesta anche verbale all’ufficio dell’amministrazione che ha formato l’atto o che lo detiene stabilmente28, mentre quello formale si esercita mediante, la quale può essere inviata a mezzo del servizio postale, preferibilmente con raccomandata.
Essa deve contenere le generalità dell’interessato, il codice fiscale, il numero di telefono e telefax, gli estremi del documento oggetto della richiesta, la motivazione – finalizzata a specificare l’interesse-, l’indicazione se il rilascio della documentazione richiesta sia in copia semplice o con attestazione di conformità all’originale.
Il procedimento di accesso deve concludersi entro giorni dalla ricezione della domanda.
Ove essa sia irregolare o incompleta, l’amministrazione deve darne comunicazione al richiedente entro dieci giorni. Tale comunicazione comporta la sospensione del termine per l’ultimazione del procedimento, il quale ricomincerà a decorrere dalla presentazione della richiesta perfezionata.
La richiesta di accesso se presentata ad ufficio incompetente, questi dovrà immediatamente e comunque non oltre quarantotto ore alla struttura competente.
Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta (tale termine, come si è visto, è decadenziale, ma è possibile presentare una nuova istanza29.) e l’interessato può adire il giudice amministrativo.
Le parti possono stare in giudizio personalmente o tramite un difensore, la P. A. può essere rappresentata da un proprio dipendente con qualifica di dirigente, autorizzato dal rappresentante legale dell’ente. Il giudice decide in camera di consiglio, dopo aver ascoltato i difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta e sussistendone i presupposti ordina l’esibizione dei documenti richiesti.
La sentenza può essere appellata al Consiglio di Stato, entro i trenta giorni successivi.
E’ consentito in casa di pendenza di giudizio esperire ricorso avente ad oggetto l’accesso ai documenti necessari nell’ambito del giudizio stesso e in tal caso il ricorso va presentato con istanza al Presidente depositata presso la segreteria della sezione, previa notifica alla pubblica amministrazione.
Il ricorso in questione viene deciso con ordinanza istruttoria in camera di consiglio. E’ possibile, inoltre, adire il giudice ordinario, quando il diniego all’accesso abbia provocato un danno al richiedente.
Il diritto di accesso ha anche una tutela penale, in quanto ai sensi dell’art. 328 del cod. pen., come modificato dalla legge 26 aprile 1990, n. 86, è punito con ammenda e con la reclusione il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio che entro 30 giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo.
Il legislatore, all’art. 27 della legge n. 241/90, ha, tuttavia, previsto anche una procedura amministrativa, alternativa alla via giurisdizionale, in caso di diniego del diritto di accesso.
Il suddetto articolo, infatti, prevede la possibilità di evitare il ricorso giurisdizionale, mediante l’audizione della Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi o del difensore civico..
La Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, è competente per i documenti prodotti o depositati presso l’amministrazione centrale; il difensore civico per i documenti degli enti locali.
La Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi (istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e nominata con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri) deve pronunciarsi entro 30 giorni, decorsi i quali il procedimento si intende respinto. La Commissione, tuttavia, nel caso in cui il diniego dell’accesso riguarda dei dati personali deve preventivamente adire il garante per la protezione dei dati sensibili per il parere di merito. Tale parere non ha natura vincolante e decorsi 10 giorni dalla richiesta si intende reso. Qualora, invece, sia il Garante a decidere in merito a un atto riguardante il trattamento pubblico dei dati personali da parte di una P.A. ed esso riguardi l’accesso, allora è il Garante a dover chiedere parere alla Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi. Questa se ritiene illegittimo il diniego o il differimento dell’accesso ne informa il richiedente e lo comunica alla pubblica amministrazione., la quale deve uniformarsi entro 30. In mancanza l’accesso è consentito.
Il difensore civico, alla stregua della Commissione, deve pronunciarsi entro 30 giorni decorsi i quali il procedimento si intende respinto; se, invece, ritiene illegittimo il diniego o il differimento dell’accesso lo comunica alla pubblica amministrazione., la quale deve uniformarsi.

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