Non è tutto oro nero quello che luccica: come affossare l’Italia

Parlano del petrolio in Basilicata come se fosse l’unica cosa che conta per l’Italia, descrivono la ricchezza come una conseguenza dello sfruttamento delle terre date in concessione dai proprietari ……. commentano la possibilità di creare nuova forza lavoro come se riuscisse a garantire un futuro ai disoccupati; dimenticano però di narrare come tutto questo “nero” che giace sotto terra, sia per i lucani una condanna a morte senza alcun beneficio.

Dalla Basilicata emigravano 30 anni fa, quando non si aveva nessuna percezione della possibilità estrattiva, e si emigra ancor più oggi, perché il denaro ricavato dalle trivelle e venduto sotto forma di barili di petrolio non ha giovato nessuno, se non pochi, ed ha rovinato intere famiglie di agricoltori, senza dimenticare che il tasso di mortalità per tumori sia drasticamente aumentato. Che sia solo un caso questo è certamente discutibile. Ma se davvero questa terra ha così tanta ricchezza, come si spiega che la Basilicata ha il più alto tasso di disoccupazione giovanile, come si spiega che non ha collegamenti ferroviari, un aeroporto, come si spiega che hanno dovuto eleggere Matera capitale della cultura 2019 per rallentare le critiche, le paure e i disordini che creano le trivelle ogni qual volta penetrano nel terreno.

Definiti anche come “pecorai” e “morti di fame”, i lucani continuano comunque ad ospitare le multinazionali del petrolio che da sole hanno più potere di tutti i lucani, sparpagliati per il mondo, messi insieme; continuano a soffrire, a morire, ad odiare quel dannato carburante, ma non possono scappare, perché le loro radici sono più forti di tutto e la terra natia un luogo di congiunzione con la natura.

Petrolio Basilicata

«Ci stanno togliendo la dignità, ci stanno cacciando dalla nostra terra. Nella mia proprietà sono presenti vigneti e ulivi, ma i miei prodotti non li vuole più nessuno, perché a soli cento metri, in linea d’aria, hanno costruito un centro oli, per la raccolta di gas, cosa lavoro a fare? Per accumulare debiti su debiti? Non posso neanche andar via, perché la mia casa, come tutti i miei averi, si sono svalutati, e solo un pazzo acquisterebbe una proprietà in questa zona». Questa è solo una delle testimonianze di quella gente definita oggi “pecorai” che vive nella zona della Val D’Agri, in Basilicata, dove, dal 1998 gli sceicchi petroliferi si sono insediati con le loro trivelle.

In comuni limitrofi, come Grumento Nova, Viggiano, Corleto, Sarconi, la gente ha paura persino di respirare, e si chiude in casa, evitando, per quanto sia possibile, i cattivi odori che provengono dalle fiamme, dei centri di estrazione.

La coltivazione e la produzione, nelle zone in prossimità degli oleodotti, da tempo, risulta bloccata, la terra è inquinata, e prodotti come olio, vino, ortaggi e latticini, non hanno più mercato. La gente si ammala, il bestiame muore, le acque risultano inquinate: in questa terra si produce ormai soltanto veleno.

Gianbattista Mele, consigliere comunale dell’opposizione del comune di Viggiano, racconta che, nell’accordo, di durata ventennale, è scritto, nero su bianco, quello che l’Eni deve dare come contropartita ai lucani, per i diritti di estrazione del petrolio e per lo sfruttamento delle terre; le così dette royalties, le quali risultano tra le più basse al mondo, pagate inizialmente solo al 7% del valore del barile, per poi arrivare al 10% negli ultimi anni, per l’estrazione in terra ferma.

Vignetta Petrolio

Dal 1998 ad oggi sono giunti nella regione ben 585 milioni di euro. Basterebbe questo dato a far pensare che la Basilicata, oggi, dovrebbe essere una delle regioni più ricche d’Italia ma l’Istat dichiara il contrario. La regione è sì al primo posto ma per indice di povertà. Definita negli ultimi anni “il Texas d’Italia”, l’antica Lucania pare assai lontana dallo Stato americano, che da solo ricoprirebbe il dodicesimo posto dell’economia mondiale. La realtà è dunque diversa, e le statistiche parlano chiaro: un lucano su tre è povero. Il tasso di disoccupazione è arrivato ormai alle stelle, così, senza lavoro, soprattutto i giovani, sempre più numerosi, emigrano verso il nord. E non si dica che il lavoro negli oleodotti o nei centri di perforazione sia una possibilità per i residenti della Basilicata, perché gli operai vengono dall’Abruzzo, dalla Sicilia e dal Lazio, i lucani sono solo un terzo dei lavoratori.

Michele Ungolo

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