Lettera aperta a Giuseppe Colangelo

Caro Pepeppe, amico dei miei giorni più tristi, ho ultimato da poco la seconda lettura de “La Freccia di Mezzanotte”, romanzo, racconto, romanzo-racconto. Non capisco come ti sia venuto in mente, nel trascrivere termini dialettali, di privilegiare, con un’avventatezza che mi era sconosciuta, consonantismi
fonetici a danno di sonantismi vocalici, tentando maldestramente di slavizzare il nostro dialetto.
Ammetto che di “b’c’clitt” ne ho immediatamente compreso il significato; ma non potevi, prima di avventurarti nel nostro idioma, consultare “Trase, ca t’ammudd!”, raccolta di detti e proverbi stiglianesi di cinque coautori a pari titolo, arricchita dalle splendide chine di Giuseppe Zamparella?
Ti perdono, anche perchè fuorviato dalla “Adelphi”, l’uso di “glossario”, ma lascia stare gli zingari.
Per l’avvenire, usa con più moderazione la tecnica del rinvio di cui hai infarcito il testo (ma fanne libero consumo se i riferimenti anche solo sfiorano il Sommo Poeta, Levi, Garcia Lorca, Pirandello, Pierro, l’avveduto Nicola Salomone, Vittorini).
Impara a narrare sic et simpliciter, facilitando l’approccio popolare. Spogliati della veste del moderno straniero fast food. Liberati della tua mentale cineteca.
Volerti, poi, cimentare con Carlo Levi!
E che dire di Metaponto e delle mutande bagnate? Sacrilego!
Mi accingo a proseguire su cumulatio, zona memoriale, neorealismo, religiosità, curva dei preti, sul tuo volitivo impegno, quando incappo in un brutto risveglio.
E’ stato solo un sogno grottesco quello di scrivere per bacchettarti, sogno conseguenza dei postumi del cenone e dei bagordi capodaneschi.
Superate le traversìe digestivo-panettoniane e dato libero sfogo alla bile post-prandiale, ti scrivo per davvero, amico mio, ma per ringraziarti.
La lettura del tuo romanzo mi ha procurato dolcezza quasi fisica, distacco dalla realtà della vita; mi ha trasmesso lontani sussurrii di cose sopravvissute;
mi ha permesso di riesumare mondi irrimediabilmente perduti, di rievocare mitici personaggi della mia amata terra di Stigliano, di godere del fatuo splendore del tutto che passa: “Sdraiato nei suoi stracci per terra, proprio sotto la fontana posta al limitare del paese. Lo sento masticare…”(p.14);
“Mamm già seduta dietro i vetri del balcone, attende angustiata dalla mia prolungata astinenza da rascatidd” (p.19);
“Di fronte alla facciata di questo monumento ormai aggredito da rovi e da erbacce, dovrebbe esserci ancora la stele in pietra la cui scritta “Acquedotto dell’Agri…”(p.22);
“Dal balcone di casa si dominava lo spicchio di corso… Passavano i funerali preceduti da l’ fratill… Le processioni dei santi al seguit d’ Paul’ Bomm, con in testa la macènn’ l’, e della voce stentorea di don Antonio il veterinario … gli asini e i muli di Z’ Manuél ” (p.32, 33);
“I ragazzi d’ l’ popolar, capeggiati da V’cinz cap d’ firr” (p.38);
“I profumi di alcuni frutti esotici che dalla porta spalancata del negozio d’ la C’ cciaredd…” (p.39);
“Com a z’ L’uéc l’ bonn’tor, pronto ad annunciare ai quattro venti con la sua trombetta …” (p.41);
“Sé, capitan Miki Jé arr’vat’… ripeteva z’ C’kidd” (p.44);
“Finalmente giunse il turno del grande Stigliano… sotto il tifo sfegatato dei supporter del “Club Gino” (p.48);
“Il gianduia dell’inseparabile American Bar, o il limone altrettanto buono e un tantino più economico del Bar Leone…” (p.88);
“Il rito d’ l’ dol’c’ era il momento più imbarazzante per i Preferiti…” (p.90);
“Dai botti lanciati contro le pareti durante le proiezioni, mandando in bestia z’ Pepp il bigliettaio e ancor di più Cecenz’, il titolare…” (p.97);
“Nemmeno certe copiose nevicate riuscivano a impedirci di varcare l’ingresso del Convento per infrattarci rapidamente in una delle due navate laterali…”(p.102).

Spesso penso alla mia vita di sessantenne e a quell’asticella che mi segnala quando sto per superare la soglia del patetico e che mi invita a fermarmi un attimo prima per scongiurare il pericolo di diventare ridicolo.
A presto, Pepeppe!

ANTONIO BISIGNANO

La Freccia di Mezzanotte

La Freccia di Mezzanotte

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