Le dolci pene di un lucano strano, emigrato in Brasile

Dopo il bel romanzo antropologico L’animale a sei zampe, che gli è valso due anni fa il Premio “Carlo Levi”, Vincenzo Celano si ripropone ai suoi lettori con una nuova opera, Il farmacista di Ilhéus (Giovane Holden Edizioni, Viareggio, 2016, pp. 82). Si tratta di un romanzo breve, che con coerenza si ricollega a molta produzione letteraria precedente per una nota significativa, che non sorprende chi conosce l’autore come un appassionato naturalista, «instancabile navigatore di boschi». Si vuol dire dell’amorevole attenzione di Celano nei riguardi della natura, che riesce a rappresentare nei suoi scritti con acuta sensibilità e con rara vividezza.
L’impianto de Il farmacista di Ilhéus, un’opera di difficile classificazione riguardo al genere, è semplice e lineare ed è sorretto da una scrittura nitida e densa, oltre che da una narrazione intensa e incalzante.

Nicola Campoleone, un pittore lucano originario di Castel Lucio (chiara l’allusione al paese natale dell’autore), si reca in Brasile con l’ambizione di «emulare i pittori fiamminghi», che vi erano approdati molto tempo prima al seguito dei colonizzatori olandesi. Anch’egli è animato da un forte desiderio di dipingere in un Paese lussureggiante di colori e assurto a «metafora delle dimensioni smisurate», ma anche di dedicarsi «all’osservazione della copiosa famiglia dei policromi uccelli degli ambienti umidi brasiliani».
Subito s’imbatte casualmente in una figura strana con «le sembianze di un enorme airone cinerino», Rogerio, un anziano di età indefinibile, che vive in una piccola capanna costruita su palafitte.

Il farmacista di Ilhéus, il nuovo libro di Vincenzo Celano
Il farmacista di Ilhéus, il nuovo libro di Vincenzo Celano

Fra i due si stabilisce un rapporto di cordiale simpatia e, dopo qualche perplessità iniziale, Rogerio acconsente a raccontare di sé all’ospite, che ha appreso essere suo conterraneo. Ricorda così che il suo destino fu subito segnato da un’anomalia sessuale, che lo aveva reso fin da ragazzo oggetto di derisione a Castel Lucio, costringendolo a fuggire via dal paese natale.
Dopo alcuni anni di permanenza a Napoli, dove egli riuscì a sopravvivere lavorando per qualche tempo come facchino al porto, grazie all’aiuto di commerciante si trasferì in Brasile. Qui proseguiva la sua avventurosa peregrinazione, diventando, tra l’altro, tagliatore di canna in una coltivazione di Bahia e poi farmacista a Ilhéus, un centro sulla costa atlantica. Intanto, un corteo di donne di età diversa e diversa condizione irrompeva a vario titolo nella sua vita, riempendola di dolci tormenti: Dermana, Vilma, Lucila, Crealba, Florinda. Ma la sua esistenza non smise di essere determinata dalla sua diversità, che lo spinse alla fine a rifugiarsi in un luogo del tutto solitario, lontano dal mondo.

Tema dominante del romanzo di Celano è, dunque, l’amore, che solo a una lettura superficiale appare essere rappresentato in una esclusiva dimensione sessuale ed erotica. Ben più complessa è, in realtà, la personalità del protagonista, che è pervasa sì da una sensualità priapea, ma è molto sfaccettata e rivela una straordinaria ricchezza di sentimenti, che gli ha consentito, nel corso della sua intensa esistenza, di conoscere e assaporare ansie e speranze, piaceri e sofferenze, felicità e dolore.

Rogerio, perciò, conferma una grande umanità anche dopo la sua difficile scelta esistenziale, che lo consegna definitivamente ad una solitudine prima disperante, ma poi serenamente accettata. Grazie alla panacea del ricordo, che apre la strada a un ritorno alle origini, perché «la vita è una fustaia, la quale, in mille intrighi e per ellisse, sempre regredisce alle radici».

Vincenzo Celano

L’ultima opera di Vincenzo Celano offre insomma un racconto interessante e godibile e regala al lettore la strana sensazione di ritrovarsi fra le mani, “si parva licet componere magnis”, un minuscolo ma prezioso frammento del celebre Decamerone di Giovanni Boccaccio.

V. Angelo Colangelo

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