L’alba di una nazione, Stigliano nel cinema

L’alba di una nazione – Srotolando la corposa bobina di film e sceneggiati televisivi che raccontano più o meno coerentemente gli eventi accaduti negli ultimi centocinquantanni nel nostro Paese, spicca tra le opere più significative una serie di titoli che ha per soggetto il Risorgimento. Momento cruciale della storia nazionale portato al cinema da molti registi, fra cui troviamo epigoni del calibro di Roberto Rossellini e Luchino Visconti. Il risultato è una variegata filmografia che, seppure diversa negli stili, descrive con passione la nascita dell’Italia come nazione moderna, tratteggiando a tinte forti, e a volte con umorismo, il carattere e l’identità degli italiani. Il tema è visualizzato fin dai primi anni del muto quando, per esempio, Filoteo Alberini gira La presa di Roma (1905), opera costata cinquecento lire e proiettata pubblicamente nella capitale il 20 settembre 1905 nei pressi di Porta Pia. Seguono Garibaldi (1907), primo film sull’Eroe dei due mondi, e Anita Garibaldi (1910), diretti da Mario Caserini, La battaglia di Palestro (1908) di Luigi Maggi e Garibaldi e i suoi tempi (1926) di Silvio Laurenti Rosa. Ma è a partire dall’affermarsi del cinema sonoro che i registi italiani concentrano l’attenzione su personaggi e avvenimenti di questo periodo storico. Ne sono un esempio Villafranca (1933) di Gioacchino Forzano, Teresa Confalonieri (1934) di Guido Brignone e 1860. I Mille di Garibaldi (1934) di Alessandro Blasetti, mentre Carmine Gallone dirige Giuseppe Verdi (1935), Oltre l’amore (1940) e Casa Ricordi (1954). Un film, quest’ultimo, che rivisita l’esperienza commerciale, culturale e divulgativa della famiglia Ricordi caratterizzata dalle più grandi figure della musica italiana, da Verdi a Puccini, da Donizetti a Bellini. Un altro ritratto della Lombardia sotto il giogo degli austriaci lo realizza Mario Soldati nel 1941, adattando Piccolo mondo antico di Fogazzaro, che vede Massimo Serato e Alida Valli al centro di un plot carico di drammi e slanci patriottici.

Completano il quadro capolavori come Senso (1954) e Il Gattopardo (1963) di Visconti, e titoli altrettanto signifi cativi quali Camicie Rosse (Anita Garibaldi) (1952) di Goffredo Alessandrini e Francesco Rosi, con Anna Magnani e Raf Vallone; Viva l’Italia (1961) di Rossellini, con Paolo Stoppa, Giovanna Ralli e Franco Interlenghi, protagonisti della precisa rievocazione dell’impresa di Garibaldi: dalla partenza da Quarto alla stretta di mano con Vittorio Emanuele II a Teano, fino al ritiro sull’isola di Caprera; Bronte – Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato (1972) di Florestano Vancini, in cui si narra delle centocinquanta persone della comunità del catanese arbitrariamente arrestate, processate in modo sommario e fucilate per ordine di Nino Bixio. Ai quali fanno seguito Nell’anno del Signore (1969) di Luigi Magni, Allonsanfan (1974) di Paolo e Vittorio Taviani, gli sceneggiati televisivi Garibaldi il Generale (1987), sempre di Magni, con Franco Nero, e le versioni di Le cinque giornate di Milano, di Leandro Castellani (1970) e di Carlo Lizzani (2004), “giornate” portate sul grande schermo da Dario Argento nel 1973.

Inoltre, in questo lungo excursus cinematografico che vede tra le opere più recenti I viceré (2007) di Roberto Faenza, tratto dal romanzo di De Roberto, e Noi credevamo (2010) di Mario Martone, non mancano ritratti di ribelli borderline quale Sante Carbone (Ernest Borgnine) protagonista di Briganti italiani (1961) di Mario Camerini. Pellicola ispirata dal libro di Mario Monti che racconta le imprese compiute in Lucania, tra Stigliano e le zone del Vulture, da questa controversa figura schieratasi dopo l’Unità d’Italia con i Borboni. Questi film, però, sono storicamente fedeli? Di Visconti, per esempio, è nota la sua ossessiva ricerca di aderenza storica che si palesa anche nella cura di minimi dettagli, come l’utilizzo di calzini uguali ai modelli in voga all’epoca. Magni, invece, pur concedendosi libertà espressive, in più di un frangente si attiene alle testimonianze storiche. Basti pensare alla scena della decapitazione dei due rivoluzionari in piazza del Popolo a Roma, luogo dove campeggia un’epigrafe in memoria di Targhini e Montanari collocata agli inizi del Novecento. Martone, infine, si sofferma solo su alcuni momenti dei moti risorgimentali, tralasciando volutamente sullo sfondo altri eventi cruciali. Grande epopea cinematografica che a partire dagli anni Settanta conosce un inesorabile declino. Salvo eccezioni, infatti, sullo schermo si perdono quasi del tutto le tracce di quei momenti cruciali in cui idealisti, politici, garibaldini e briganti si battevano accomunati dal desiderio di un Paese migliore, unito e libero, da tramandare alle generazioni future.
Da non perdere Senso (1954) di Luchino Visconti. Con Alida Valli, Farley Granger e Massimo Girotti. Tormentata storia d’amore tra una bella nobildonna veneziana e un ufficiale austriaco. Adattando un racconto di Camillo Boito, Visconti intesse un raffinato arazzo sul cui sfondo si consumano i violenti scontri della guerra italo-austriaca del 1866.

Il Gattopardo (1963) di Luchino Visconti. Con Burt Lancaster, Alain Delon e Claudia Cardinale. L’eco dello sbarco dei garibaldini in Sicilia giunge fin nel sonnolento feudo di Donnafugata, in cui domina il principe don Fabrizio di Salina. Ritratto della decadenza e dell’inesorabile declino di un mondo.
Nell’anno del Signore (1969) di Luigi Magni. Con Nino Manfredi, Claudia Cardinale, Enrico Maria Salerno, Ugo Tognazzi e Alberto Sordi. Gendarmi e alte sfere ecclesiastiche opprimono ferocemente il popolo nella Roma di papa Leone XII. Il film è il primo della trilogia di Magni dedicata alla Roma papalina dell’Ottocento.
Noi credevamo (2010) di Mario Martone. Con Luigi Lo Cascio, Valerio Binasco, Francesca Inaudi, Toni Servillo, Luca Barbareschi, Luca Zingaretti. Tre ragazzi meridionali a causa della repressione borbonica del 1828 decidono di aderire alla Giovine Italia di Mazzini.

Per gentile concessione della rivista Qui libri

 

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