Ricordi di un tempo nel libro di Giuseppe Colangelo. La freccia di mezzanotte arrivava nelle piazze, e mandava tutti a dormire. Il romanzo rievoca i mitici anni sessanta vissuti a Stigliano e le speranze tradite di una generazione. I meno giovani ricordano ancora “La freccia di mezzanotte”, il postale azzurro della SITA che, dopo aver aspettato l’ultimo treno in arrivo alla stazione di Grassano, portava i passeggeri nei paesi della montagna materana.
Capolinea a Stigliano, dove giungeva a mezzanotte dopo aver fatto brevi soste nelle piazze di Garaguso, Oliveto Lucano, San Mauro Forte e Accettura. Era anche il momento per i giovani del posto di andare a letto, dopo una giornata trascorsa a immaginare il futuro e a passeggiare nel corso principale. Un viaggio lungo faticoso, circa 3 ore per poco più di 60 chilometri, lungo i tornanti e i balzi della polverosa strada statale 277. Adesso, alla stazione di Grassano i treni non si fermano più e anche la corsa di mezzanotte è stata soppressa. Il ricordo è rimasto come titolo del romanzo di Giuseppe Colangelo, La freccia di mezzanotte, edito da La Vita Felice di Milano. Con la tecnica del flashback, familiare ad un esperto di cinema e docente di storia del cinema all’Accademia di Comunicazione di Milano, Colangelo rievoca i mitici anni Sessanta vissuti a Stigliano e le speranze tradite di una generazione ancora capace di sognare e di speranze e slanci di generosità.
Sono gli anni dell’autore, rimpatriato bambino dall’argentina con i genitori stiglianesi, e poi emigrato a Milano con la vocazione del giornalismo e la passione per il cinema. Gli episodi evocati scorrono come i fotogrammi di un film, ambientati nella barberia di Mandile, nella sala da ballo Rienzi, in chiesa, nell’istituto magistrale, nelle sale cinematografiche Italia e Odeon, nel negozio di scarpe di Fedele, dove regnava il più assoluto disordine, tanto che, non solo a Stigliano, la bottega di Fedele era sinonimo di caos, con la colonna sonora de “i Preferiti”, i Beatles di Stigliano e dei paesi vicini, giovanissimi che con chitarre elettriche, pianola e percussioni avevano soffiato le scene al vecchio complessino di violino, fisarmonica e clarinetto.
L’opera di Colangelo non è un’operazione nostalgica, come ha sostenuto il regista stiglianese Domenico Ciruzzi, mattatore della serata di presentazione, insieme con l’attrice Antonella Stefanucci. sa di “Baarìa” e “Nuovo cinema Paradiso”. Ha l’onesta ambizione di storicizzare un periodo importante vissuto da un territorio negletto e isolato, di cui Stigliano, è solo un paradigma e di estrarre da un groviglio di emozioni un documento di umanità.
Articolo di Angelo Labbate
La Gazzetta del Mezzogiorno “Vivi la Città” del 07 settembre 2011