Il viaggio di Giuseppe Zanardelli in Basilicata

Giuseppe Zanardelli convinto che l’Italia avesse bisogno di un grande rinnovamento in senso economico, sociale, civile e culturale, pur non essendo socialista, fu attento al grido di dolore che si levava dalle plebi affamate, disperate e desiderose di giustizia. Giuseppe Zanardelli (* Brescia il 26 ottobre 1826 / + Maderno il 26 dicembre 1903) fu patriota, giurista e uomo politico leale, sinceramente legato alla causa liberale e patriottica del Risorgimento italiano, assolutamente negato ad ogni forma di compromesso, fu uomo della Sinistra storica, schiettamente portato ad un rinnovamento, in senso democratico, dei costumi, della società, delle leggi e dell’economia. Sinceramente convinto che l’Italia avesse bisogno di un grande rinnovamento in senso economico, sociale, civile e culturale, pur non essendo socialista, fu attento al grido di dolore che si levava dalle plebi affamate, disperate e desiderose di giustizia. Perciò fu sempre contrario a qualunque forma di politica antioperaria e repressivamente poliziesca. Questo fu il motivo per cui non volle mai collaborare con i governi di destra. E tuttavia, quando i governi di sinistra dimostrarono anch’essi intolleranza o forme di immoralità amministrativa, seppe prendere le distanze, rassegnando le dimissioni. Al nome di Zanardelli furono legati importanti provvedimenti. Innanzitutto va ricordata la riforma del codice penale, nell’ambito del quale fu abolita la pena di morte. Non solo. Fu sancita la libertà di sciopero, riunione e associazione. Si perseguirono gli ecclesiastici che, avversi allo Stato unitario, spingevano alla ribellione e alla disubbidienza. Quanto ai provvedimenti di natura economica e sociale, notevoli furono l’abolizione del dazio sulla farina e l’introduzione di una rigorosa normativa sul lavoro minorile e femminile. Tentò inutilmente l’introduzione del divorzio, presentando apposito disegno di legge. Come tutti gli uomini di alto rigore morale e intellettuale, ebbe nemici, sia a destra che a sinistra. Naturalmente contrari gli furono i cattolici. In compenso ebbe amici in gran parte dei parlamentari meridionali. Essendo, infatti, sinceramente aperto alle istanze sociali, ed essendo stato un combattente per il Risorgimento e l’unità d’Italia, fu sempre gran sostenitore dell’unità nazionale e lontano da ogni diffidenza verso le popolazioni meridionali.

Nel settembre 1902, in veste di Presidente del Consiglio, Zanardelli compì un viaggio in Basilicata per rendersi conto direttamente dei gravi problemi che assillavano una delle regioni più povere d’Italia. Un viaggio di ricognizione sulla condizione del mondo lucano, e meridionale in genere. Il viaggio, prima ancora che del buon cuore del Presidente, fu un viaggio politico, nel senso più nobile del termine, una mano stesa agli Italiani più deboli e sfortunati, per unirli e innalzarli al livello delle popolazioni italiche più ricche. Il suo viaggio apparve, agli occhi di non pochi avversari, inutile, ovvero di semplice propaganda personale e politica, volto a rastrellare consensi per il suo partito e il suo governo. In realtà, è difficile pensare che Zanardelli, a settantasei anni, volesse fare un viaggio di semplice propaganda, come se la vita dovesse durare in eterno e come se, col prestigio di cui godeva, egli avesse ancora bisogno di siffatti meschini espedienti. Ciò, peraltro, sarebbe in netto contrasto col costume dell’uomo che, per tutta la vita, aveva mostrato ben altra nobiltà d’intenti. La verità è che un conto è lo scritto, altra cosa è la visione dal vivo. Che poi, all’interno del Sud, Zanardelli scegliesse di visitare proprio la Lucania-Basilicata, che elettoralmente pesava molto meno delle altre regioni meridionali, può spiegarsi sia con la curiosità che gli avevano suscitato gli amici lucani Nitti, Fortunato, Gianturco, Lacava e Torraca, sia per il ruolo che la Basilicata occupava nel Meridione: cuore del Sud e Cenerentola d’Italia. Nel 1900, la Basilicata contava una popolazione di 480.000 abitanti distribuiti su di un territorio di poco più di diecimila chilometri quadrati. Regione montagnosa segnata da gravi dissesti idrogeologici con un’economia in prevalenza cerealicolo-pastorale arretrata e di assistenza; scarsissimi sbocchi commerciali, con assenza pressoché completa di una struttura viaria e ferroviaria, difficoltà di accesso ai capitali monetari, e tendenza dei braccianti ad emigrare. Gli analfabeti erano oltre il settantacinque per cento della popolazione. Scarsissime erano le organizzazioni politiche e sindacali dei lavoratori ed altrettanto modesta e inconsistente era la diffusione dell’attività delle associazioni agrarie promosse fin dal 1866 per incrementare le produzioni agricole.  La situazione igienica era disastrosa: altissima era la frequenza delle morti per malattia dell’apparato digerente, per la malaria e per il tifo. Nel triennio 1899-1902, per esempio, morivano di malaria centosessantasei persone ogni centomila abitanti, rispetto ai trentanove su scala nazionale. Anche il tasso di mortalità infantile registrava un netto distacco con il resto del Paese. In particolare morivano da 0 a 14 anni, 22498 maschi e 21228 femmine, con un rapporto di 30,47 maschi e 29,92 femmine per ogni 100 nati dello stesso sesso. Oltre il 30% della popolazione minorile, dunque, era colpita da mortalità infantile.

Fu appunto la conoscenza di tali condizioni, che indusse Zanardelli a visitare per esteso la Basilicata, primo Presidente del Consiglio dei Ministri a rendere omaggio, con la sua venuta, alla regione, dalla quale prese avvio la dimensione nazionale della questione meridionale. Fu un viaggio che consentì a Zanardelli, percorrendo in lungo e in largo la Basilicata, di rendersi conto della miseria di una terra derelitta, viaggio che culminò, politicamente, con un sentito discorso, tenuto a Potenza il 29/09/1902. Accolto con tutti gli onori dalle popolazioni dei Comuni che visitò, attorno a lui la comunità lucana si strinse, sicura di un suo intervento appropriato. La partenza avvenne da Roma il 14 settembre, con treno speciale. Il vecchio Presidente del Consiglio era diretto a Napoli, prima tappa. Lo accompagnavano il ministro Nasi, i sottosegretari Mazziotti e Roberto Talamo, il segretario capo della Presidenza del Consiglio, comm. Augusto Ciuffelli, e il segretario particolare cav. Pellegrini. C’era anche un discreto numero di giornalisti, tra i quali: Vassallo del “Secolo XIX”, Sestini della “Tribuna”, Vasquez del “Corriere della sera”, Libonati della “Patria”), Ernesto Serao del “Mattino”, Pignatari del “Roma”, del “Secolo” e del “Carlino”. Lungo il tragitto, come è ovvio, tappa dopo tappa, Giuseppe Zanardelli fu sempre accolto dagli onorevoli rappresentanti del locale collegio elettorale, oltre che da sindaci e varie autorità. Il treno, dopo Roma, passò per Ceccano, poi per Roccasecca, Caianello, Teano, Cassino, Pignataro, Capua, Santa Maria Capua Vetere e Caserta. Secondo l’agenzia della stampa ufficiale, già in questo primo tratto e, anzi, soprattutto in esso, il viaggio ebbe tutti i caratteri di una marcia trionfale. La stessa scena si ripeté ad Eboli e a Sicignano, donde ci sarebbe stato il salto verso la Lucania-Basilicata. Ad accogliere il Presidente, perciò, oltre che le autorità del posto, erano arrivati anche alcuni rappresentanti parlamentari lucani. Fu a questo punto che si levò l’onorevole Pietro Lacava di Corleto Perticara, giunto a far da guida all’illustre visitatore e a introdurlo in una terra sconosciuta. Il Lacava sentì il dovere di preparare il Presidente, preannunciandogli che una nuova realtà si sarebbe parata davanti ai suoi occhi, assai diversa da quella di Capri e di Sorrento. E forse furono proprie le parole di Lacava a spingere il Presidente a compiere un immediato atto di “indisciplina”, e fuori del protocollo prestabilito, perché, inaspettatamente, giunto a Lagonegro lo stesso 17 settembre, alle ore 17, e ricevuto dal Sindaco Pesce, dopo essere andato a dormire, il giorno dopo, il 18 settembre, dichiarò che intendeva ricevere liberamente quanti avessero voluto presentarsi da lui. Anche gente umile. Il Presidente, quasi con puntigliosità “volle essere informato del numero delle rispettive popolazioni, della proporzione dell’emigrazione, delle condizioni sanitarie, delle acque potabili, dei mezzi di comunicazione, delle condizioni dell’agricoltura, dei prodotti locali, dello stato finanziario delle amministrazioni comunali, e a ciascuno chiese quali fossero le necessità cui era più urgente provvedere. Tutti esposero i propri bisogni e partirono gradevolmente meravigliati del grande interessamento dimostrato dal Presidente per queste popolazioni finora quasi considerate come non facenti parte del Regno d’Italia”. Il suo itinerario toccò, dunque, Lagonegro, Moliterno, Corleto Perticara, Stigliano, Craco, Montalbano Jonico,  Policoro, Matera, Venosa, Melfi, Rionero in Vulture, Potenza e le piccole stazioni di passaggio. Da Corleto Perticara, terza tappa del suo viaggio, il Presidente partì il 21 settembre. La meta era Stigliano. Tra musiche e mortaretti, lungo il tragitto, si inaugurò un nuovo tratto di strada che da Acinello incrociava, ad un certo punto, la strada provinciale di Stigliano. Alla casa cantoniera, a metà tragitto, fu dato il nome di “casa Zanardelli”. Il viaggio per Stigliano sembrò, in tutta apparenza, essere un’altra successione di trionfali attestazioni di gioia da parte delle popolazioni locali. Ma, come a Corleto, quella gioia -commenta sottilmente il cronista della “Tribuna”- era fors’anche lo scoppio di una speranza e di una fede dopo i grandi sconforti, lo scoramento per tante delusioni subite. Scoramento che tutto si rivelò nella risposta -triste, amara risposta- che all’on. Zanardelli fu data da un vecchio di Gorgoglione cui il Presidente chiese quali fossero i bisogni di quelle popolazioni”. «Eccellenza -rispose quel vecchio- sono tanti. Ma ciò che importa è che anche voi preghiate Iddio per noi!”. Il Presidente fu ospitato nel ricco palazzo del barone Formica. Colà ricevette, come in tutte le altre soste, i rappresentanti dei Comuni vicini, cioè Accettura e San Mauro Forte. Tra un brindisi e l’altro, il Sindaco, cav. De Chiara, sottolineò soprattutto i pericoli di dissesto idrogeologico, che mettevano a repentaglio la sopravvivenza del paese; ma chiese anche un collegamento con la stazione ferroviaria di Grassano. Poi, non contento, durante il pranzo che si tenne nella sala municipale, in piena festa ebbe a dire, più a sé stesso che agli altri: “Voi [Presidente] non dimenticherete certamente le nostre miserie, i nostri sentieri alpestri, le nostre campagne brulle e deserte, le nostre montagne che franano, i nostri fiumi che straripano e ingoiano vittime e saprete provvedere come sapranno ispirarvi il vostro senno di statista, il vostro cuore di italiano e di patriota”. Incalzò, su questo piano, il cav. Nicola Salomone, consigliere provinciale nonché attivo promotore di ordini del giorno. Ma tanta insistenza dette fastidio all’on. Pietro Lacava, vero dio del luogo, che si sentì come scavalcato da tanti interventi di uomini a lui subalterni. Volle infatti troncare con siffatte lamentationi, sicché, rivolgendosi al Presidente, dichiarò, con una secchezza che non ammetteva repliche: “Dissi nella mia nativa Corleto che non si deve affaticarti con discorsi. Tu nel tuo viaggio hai promesso di vedere, e dove le cose parlano ogni voce dev’esser muta. Un’altra cosa qui non è muta: l’affetto spontaneo”. Continuò allora la festa, anche fuori, fin sotto il palazzo del barone Formica, dove il Presidente ritornò a piedi, a passarvi la notte. L’indomani mattina, il 22 settembre, verso le ore 10, il Presidente prendeva la via per Montalbano Ionico…[…] Il 29 settembre, ore 20,00, al Teatro Stabile, a Potenza, Zanardelli lesse un discorso. Parlò del suo viaggio come di una “peregrinazione”, per una terra a lui sconosciuta. Era, per la verità, sconosciuta a tutti gli italiani, anzi “può dirsi […] sia sconosciuta in gran parte agli abitanti della provincia stessa: ché quasi nessuno qui io trovai che avesse visitato, avesse veduto i vari Comuni divisi fra loro da enormi distanze, non congiunti da vie di comunicazione. Sicché nella impervia regione, quasi stranieri gli uni agli altri e perciò non cospiranti ad unico fine, sembrano gli abitatori che pur dovrebbero comporre una grande unità sociale”. Mancava, in definitiva, una regione unita e ben definita nella sua identità. Con grande acutezza, notò anche come, purtroppo, non ci fosse, “in sì ampio territorio”, almeno una grande città, che potesse fare da luogo e centro di vita amministrativa, sociale, culturale e politica. Tutto era frantumato, in una terra che, pure, aveva avuto i suoi fasti e i suoi uomini illustri, anche se, per lo più, affermatisi lontano dal proprio paese. Ora, purtroppo, c’era il deserto. “Percorsi più giorni -disse- distese di monti, nudi, brulli, senza qualsiasi produzione, senza quasi un filo d’erba e avvallamenti altrettanto improduttivi: si correva per ore ed ore senza trovare una casa, ed al desolato silenzio dei monti e delle valli succedeva il piano mortifero dove fiumi sconfinati scacciarono le colture e, straripando, impaludirono. E vidi ad esempio il letto dell’Agri identificarsi con la valle dell’Agri, e l’acqua vagante non avere quasi corso in quelle sterminate arene”. Dominava, in siffatto quadro sociale e geografico, la “malaria pestilenziale”. I paesi, appollaiati sulle montagne per sfuggire alla malaria, ogni giorno e ogni ora correvano il rischio di cadere a valle: “E se le campagne sono in gran parte deserte e per la malaria pestilenziali, gli abitanti a loro volta non sono sicuri. Stigliano che pur torreggia superbo nelle più pure arie a novecento metri sul livello del mare, che ha una popolazione robusta, dove la originale bellezza muliebre fa pensare alla Magna Grecia, Stigliano per frana minaccia di precipitare dal ciglio del monte nell’avvallamento profondo: si vedono sul fianco le case crollare e gli abitanti non stanno mai senza trepidazione”. La situazione igienico-sanitaria era semplicemente drammatica. In tutta la regione non c’erano “manicomi, né brefotrofi, né ospizi pei cronici, né case d’industria”. C’era un solo ospedale: quello di Potenza. Se in Lombardia, su 100.000 abitanti, negli ospedali c’era posto per 2.257 malati, e se in Toscana i posti erano 2.548, in Basilicata ce n’erano solo 148! Quanto alla situazione alimentare, era sintomatico il fatto che i giovani non crescevano in altezza come i loro coetanei. In occasione della leva del triennio 1898, 1899 e 1900, si era verificato che “le riforme per difetto di statura furono […] più numerose del doppio nel complesso del Regno”. Né si poteva sottacere la mancanza di strade, ferrovie, scuole, di cui tanto si erano lamentate tutte le delegazioni comunali… L’analfabetismo, dopo l’ultimo censimento del 1901, era del 79%. Agli uomini, così stando le cose, non restava che fuggire. E l’emigrazione era massiccia, tanto che la popolazione di Lucania-Basilicata diminuiva, mentre aumentava in tutto il resto del Regno. Emigravano 8-9.000 lucani all’anno. “Salì a quasi 11.000 -ammise Zanardelli- nel 1900, ad oltre 17.000 nel 1901”. Insomma, in sintesi, “l’agricoltura periva, il suolo non aveva quasi alcun reddito, la proprietà immobiliare non aveva quasi valore, così come l’industria era totalmente assente”. Che fare, dunque? Il discorso, in tutta la sua parte negativa, fu accompagnato da lunghi e calorosi applausi di approvazione. Lo stesso accadde quando il Presidente parlò dei suoi impegni e dei suoi progetti.

Parlò di strade e ferrovie, alleggerimenti fiscali e rimboschimento, cioè di provvedimenti che, però, non intaccavano la struttura economica e l’organizzazione sociale della comunità lucana. Non si parlò, infatti, del latifondo e della persistenza del feudalesimo (come pure aveva fatto il Nitti), né dello stato di abbandono e incuria in cui i grandi proprietari, baroni e cavalieri, duchi e conti, quasi sempre parlamentari, lasciavano i loro immensi possedimenti. Non si parlò delle colpe e responsabilità dei latifondisti e onorevoli Lacava e Gattini, Lovito e Federici, Fortunato e Materi, che erano lì presenti. Non si parlò nemmeno di fitti strozzini e di mancati patti agrari, di creazione di piccola proprietà contadina e recupero di beni demaniali usurpati. Non si parlò, insomma di “riforma agraria” né della necessità della industrializzazione, ma solo di benefici da offrire all’agricoltura e a chi l’agricoltura, in forma quasi sempre estensiva, esercitava. Si parlò anche di usura, di agevolazioni fiscali. Da uomo di sottile intelligenza politica, Zanardelli sapeva, fin dove poteva impegnarsi, davanti a quegli uomini, tutti di alto ceto, e con quel Parlamento che l’attendeva a Roma e che era eletto a suffragio ristretto e su base censuaria. “Piuttosto che espormi a prometter e non eseguire, vorrei eseguire il non promesso” – disse. La conclusione fu un invito alla buona volontà, alla solidarietà a uno sforzo comune, stante la grandezza dei problemi da affrontare. Ma non di più. “Combattiamo insieme – disse – una grande battaglia contro le forze della natura e contro le ingiurie degli uomini. Non aspiro ad alcun bene maggiore che a quello di uscire da questa battaglia, insieme a voi, vittorioso”. Nei mesi immediatamente successivi, coerente con gli impegni assunti, il Presidente chiamò presso di sé Ernesto Sanjust, un funzionario del Genio Civile proveniente dalla Sardegna, cui affidò l’incarico di raccogliere tutti i documenti accumulatisi durante il viaggio, attraverso petizioni, desideri e segnalazioni. Ne nacque un “dossier” di grande interesse ancora oggi, ché non era studio fatto a tavolino, ma piano elaborato attraverso la verifica diretta sul territorio e dal vivo. Tutto quel materiale fu supporto ad una proposta di legge, che, presentata il 28 giugno 1903, fu discussa nel febbraio del 1904 e promulgata il 31 marzo 1904. Zanardelli, però, il vecchio e onesto statista, non c’era più, essendo scomparso tre mesi prima. Nella discussione intorno alla legge intervenne personalmente il nuovo capo del Governo, Giovanni Giolitti, che cercò di frenare le ambizioni dei parlamentari settentrionali, interessati ad ottenere, per le loro regioni, gli stessi provvedimenti. La legge, se non produsse cambiamenti strutturali, ebbe almeno il merito di migliorare comunque i servizi, offrendo assistenza tecnica all’agricoltura, strade, tratturi, acquedotti e, nel tempo, tratti di ferrovie a scartamento ridotto. Ebbe anche il merito di mettere a fuoco i problemi drammatici di una regione emblema del Sud; inoltre, e ancor di più, dopo il tragico strappo causato dal brigantaggio, riuscì a ridar fiducia alle popolazioni meridionali nei confronti del nuovo Stato, avvertito, finalmente, come meno lontano e meno assente. Il Presidente galantuomo, vero “padre della patria”, aveva assolto ad un’alta funzione e sarebbe stato ricordato sempre con gratitudine e simpatia, essendo riuscito a mettersi in sintonia con i potenti, ma anche con i deboli. Questi non avrebbero tratto vantaggi sostanziali, se non in forma indiretta e casuale; ma forse non si aspettavano di più. Le lotte e le rivendicazioni sociali erano di là da venire. Un mese dopo la morte, il 28 gennaio 1904, il Presidente “galantuomo” fu celebrato alla Camera. Prese la parola l’on. Michele Lacava, che parlò di lui come di un “grande italiano” che, già molto anziano, facendo un viaggio tanto faticoso e pieno di disagi e pericoli, “compiva il più alto ministero di legislatore e di uomo di Stato”. Il merito più grande di Zanardelli fu quello di aver saputo cogliere in tutta la loro estensione i problemi contingenti del Paese e di aver saputo mantenere le promesse per quanto gli fu possibile, impegnando tutta la sua attività ed il suo grande talento al servizio della democrazia. Ed i meriti che egli acquisì con il suo viaggio in Basilicata, furono, almeno, quelli di aver voluto rendersi conto personalmente della condizione miserevole, in cui versava, in tutti i campi, una provincia dell’Italia, di aver posto come problema italiano, il problema del Mezzogiorno, ritenendo che i benefici apportati ad una regione avrebbero avvantaggiato l’intera penisola, e di aver promosso la discussa legge speciale per la Basilicata grazie alla quale essa iniziò il suo lungo cammino verso la dignità civile.

Sintesi di varie WEB pages di AA.VV. curata da Salvatore Agneta

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