Danno erariale del dipendente della P.A.

Brevi note in tema di responsabilità per danno erariale del dipendente della P.A.
di Giuseppe Latronico
e Diego De Franciscis

“Riportiamo un nuovo articolo di Giuseppe Latronico sul tema della responsabilità erariale, tratto dal prestigioso periodico nazionale “La Rivista della Guardia di Finanza – Bimestrale a carattere giuridico, economico e tecnico professionale” Gennaio-Febbraio 2008.

– 1. Evoluzione della nozione di responsabilità per danno erariale

– 2. La natura della responsabilità

– 3. ll termine prescrizionale

– 4. ll danno erariale: gli elementi costitutivi

– 5. La divisibilità del danno e la responsabilità solidale

– 6. ll potere di riduzione dell’addebito

– 7. La responsabilità verso terzi

– 8. ll risarcimento del danno non patrimoniale

– 9. La nuova disciplina

– 9.1 ll principio della personalità della responsabilità

– 9.2 ll principio di esclusione della solidarietà

– 9.3 ll principio di insindacabilità delle scelte tecniche

– 9.4 L’elemento soggettivo

– 9.5 ll principio del vantaggio conseguito dall’Amministrazione

– 9.6 La riduzione del termine prescrizionale

– 10 Breve disamina della giurisprudenza in materia di colpa nella responsabilità per danno erariale.

 

  • 1. Evoluzione della nozione di responsabilità per danno erariale

La nozione di responsabilità per danno erariale, trova la sua prima configurazione nella responsabilità contabile, con il giudizio sui conti degli agenti contabili, previsto dalla legge istitutiva della Corte dei conti (Testo Unico delle leggi sulla Corte dei conti n. 1214 del 1934).
Tale responsabilità, tuttavia, è contraddistinta da un carattere automatico dell’addebito, in quanto il giudice deve limitarsi a verificare se ci sia o meno rispondenza contabile, ovvero l’esatta corrispondenza tra l’avere e il dare delle operazioni compiute.
ln caso di saldo negativo tra le due partite, consegue necessariamente la sanzione a carico dell’agente contabile, il quale ha ben poche possibilità di discolparsi.
ll fondamento giuridico di tale procedimento, trova il suo ancoraggio nella nozione di “presunzione legale di danno” oppure “nella colpa presunta”, vale a dire nella connotazione propria del predetto carattere automatico dell’addebito, che caratterizza lo svolgimento del processo.
In altre parole, la nozione di presunzione legale e di danno presunto, trovano ragione in un meccanismo in cui ci sono poche possibilità per il giudice di indagare e verificare gli aspetti sostanziali del rapporto. Parimenti, l’agente contabile ha pochissime possibilità di opporre qualsiasi tipo di eccezione personale che possa evitare la condanna.
Tale meccanismo, tuttavia, presenta delle difficoltà, dovute alla complicazione di trovare in modo univoco la figura di agente contabile(1).
Il profilo soggettivo di tale qualifica, infatti, costituisce condizione necessaria per la responsabilità de qua.
Al riguardo, però, la dottrina occupandosi della questione, si è espressa con orientamento difforme, che sostanzialmente si può riassumere in due tesi contrapposte.
Una prima tesi, fondata su una interpretazione restrittiva della normativa, ha sostenuto che la figura dell’agente contabile(2) sia da rinvenire unicamente in chi materialmente maneggia denaro o altri valori pubblici.
Diversamente, l’altra tesi estende la figura dell’agente contabile, anche al soggetto che direttamente o indirettamente è tenuto alla resa del conto. Tale interpretazione, trova il suo fondamento nella considerazione che la responsabilità in questione, muove proprio dall’obbligatorietà della resa del conto.
Successivamente, il legislatore è intervenuto in materia, dirimendo la controversia.
Con la legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato (R.D. 18 novembre 1923, n. 2440) e precisamente con l’art. 81, infatti, si recepisce la tesi non restrittiva di individuazione della figura di agente contabile. Con la suddetta norma, difatti, la responsabilità per danno erariale, viene estesa anche ai cosiddetti funzionari amministrati stipendiati, ovvero a tutti i pubblici impiegati impegnati in procedimenti contabili in senso ampio, quali l’assunzione dell’impegno e gli ordinativi di spese e pagamenti.
ll richiamato articolo, specifica, inoltre, che la responsabilità in questione non viene meno, neppure con la registrazione o l’apposizione del visto da parte della Corte dei conti.
La legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato, se da una parte contribuisce al superamento delle difficoltà di individuazioni della figura di agente contabile, dall’altra ribadisce e rafforza il sistema della responsabilità a carico dell’agente contabile secondo il criterio della presunzione.
La richiamata legge, infatti, all’art. 194, stabilisce l’obbligo per l’agente di fornire la prova di forza maggiore o di qualunque altro fatto determinante la non imputabilità del danno a suo carico.
Detta disposizione, infatti, stabilisce che le mancanze, le deteriorazioni, le diminuzioni di denaro o di cose mobili, avvenute per cause di furto, di forza maggiore, di naturale deperimento non sono ammesse a discarico degli agenti contabili, se essi non esibiscano le giustificazioni stabilite nei regolamenti dei rispettivi servizi e non comprovino che ad essi non sia imputabile il danno, né per negligenza e né per indugio nel richiedere i provvedimenti necessari per la conservazione del denaro o delle cose avute in consegna.
Da tale formulazione normativa, deriva, sostanzialmente, una equiparazione tra la responsabilità de qua e la responsabilità privatistica che nasce dall’inadempimento di una obbligazione specifica.
Ai sensi dell’art. 1218 del c.c., infatti, il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta, è tenuto al risarcimento del danno, ove non comprovi che l’inadempimento o il ritardo siano stati determinati da impossibilità della prestazione, derivante da causa a lui non imputabile.
La legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato, oltre alle richiamate norme, introduce anche una nuova forma di responsabilità per danno erariale.
La richiamata legge, all’art. 82, infatti, prevede anche una responsabilità, che non riguarda unicamente i soggetti collegati a procedimenti di spesa o contabili, ma investe il pubblico impiegato nell’espletamento delle sue funzioni.
ll citato articolo, infatti, sancisce per la prima volta il risarcimento del danno causato allo Stato dalla condotta dell’impiegato, senza alcun riferimento a valori perduti e quindi alla responsabilità contabile.
La suddetta norma, quindi, introducendo una nuova responsabilità, amplia l’ambito della responsabilità per danno erariale in due distinte fattispecie: amministrativa e contabile.
Conseguentemente, la responsabilità amministrativa, per le sue caratteristiche, viene a configurarsi come una fattispecie a carattere generale, rispetto a quella contabile, che per la sua peculiarità (in quanto inerente a determinate e individuate posizioni del rapporto di pubblico impiego), si caratterizza come specifica configurazione del danno erariale.
In considerazione della sua valenza generale, l’espressione maggiormente corrente è quella di responsabilità amministrativa che attiene appunto ad ogni forma di responsabilità non tipicamente contabile.
Al riguardo, forse, appare più opportuno parlare, qualora si discorra in termini generali, di responsabilità per danno erariale, fattispecie che permette di includere sia quella amministrativa che quella contabile.
In materia, infine, il legislatore, come vedremo in seguito, è intervenuto con il D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato – Statuto degli impiegati civili dello Stato) e la legge 14 gennaio 1994, n.20.

 

  • 2. La natura della responsabilità

L’art. 82 della legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità di Stato, come si è visto, prevede che “l’impiegato che per azione, od omissione, anche solo colposa, nell’esercizio delle sue funzioni, cagioni danno allo Stato, è tenuto a risarcirlo.
Presupposto della responsabilità per danno erariale, è, quindi, il rapporto di pubblico impiego. Tale elemento di natura soggettiva, è condizione necessaria nell’imputazione della responsabilità per danno erariale.
Tale elemento di natura soggettiva, è condizione necessaria nell’imputazione della responsabilità per danno erariale
La sua mancanza è, infatti, causa di esclusione della responsabilità per danno erariale, in quanto se il danno viene provocato dal pubblico impiegato al di fuori dell’esercizio “delle sue funzioni, si configura una diversa responsabilità.
In virtù di tale ragione, la dottrina (3) ha ricercato il fondamento dell’elemento soggettivo del rapporto d’impiego, anziché nel citato art. 82 della la legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità di Stato, nell’art. 1 g del D.P.R. del 10 gennaio 1952, n. 3 (Statuto degli impiegati civili dello Stato).
Detto art. 18, infatti, prevede il risarcimento dei “danni derivanti da violazioni di obblighi di servizio” e tale formulazione consente di ampliare le fattispecie di imputazioni non più ascrivibili al solo e più ristretto novero di pubblico impiego.
Su tale questione, interviene anche la Corte dei conti, la quale chiarisce che sia la responsabiIità contabile, ovvero connessa al maneggio di denaro e valori, che la responsabilità derivante da danni cagionati all’erario da pubblico dipendente nell’esercizio delle sue funzioni, trovano sempre il loro fondamento in un preesistente rapporto tra lo Stato e il presunto responsabile (l Sez. del 4 luglio 1949, n. 32).
ll presupposto fondamentale, quindi, che quaIifica la responsabilità per danno erariale, non è dato soltanto dall’esistenza di un rapporto di impiego nel suo più proprio significato, ma è sufficiente l’esistenza di un rapporto di servizio, ovvero di un rapporto, che anche al di fuori di un rapporto di impiego vero e proprio, ponga il soggetto in grado di partecipare all’attività della pubblica amministrazione.
Per l’identificazione di questo particolare rapporto, la giurisprudenza della Corte dei conti ha fatto riferimento, di volta in volta, ad elementi di varia natura, quali l’adeguatezza della retribuzione, la possibilità di fare carriera, la natura dell’attività svolta, e, soprattutto, la volontarietà del servizio.
Per quanto attiene ai requisiti diversi dalla volontarietà, sono stati considerati elementi sussidiari, valutabili con un criterio di pertinenza occasionale ed eventuale, cioè come atti volti a meglio identificare il rapporto di impiego in senso lato, che implica la competenza della Corte dei conti in materia di responsabilità.
La Corte di Cassazione, pronunciandosi sulla questione, ha ritenuto che deve considerarsi dipendente statale chi abbia con la pubblica amministrazione un rapporto di impiego o quanto meno sia legato all’Amministrazione stessa da un vincolo di servizio volontario congruamente retribuito (4).
La giurisprudenza della Corte dei conti, come si diceva, si fonda sulla volontarietà del rapporto e con riferimento a tale specifico criterio, sono stati ritenuti soggetti a responsabilità per danno erariale i sottufficiali in servizio continuativo, i graduati di truppa riaffermati, i militari arruolati a domanda e vincolati da ferme speciali, i militari trattenuti a domanda, gli ufficiali di complemento, ecc. (5).
La giurisprudenza della Corte, inoltre, nel tempo si è orientata (sin dai primi anni sessanta) verso una interpretazione estensiva dei presupposti della responsabilità de qua.
In proposito, infatti, si è affermato che il principio generale su cui si fonda, a norma dell’art. 82 della legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità di Stato e dell’art. 52 del Testo Unico delle leggi sulla Corte dei conti, la giurisdizione della stessa Corte, è quello di sottoporre alla cognizione di uno speciale organo giurisdizionale tutte le controversie relative ai danni patrimoniali arrecati allo Stato per colpa, nell’adempimento dei doveri di servizio, da parte di quei soggetti che tali doveri hanno assunto in virtù di un rapporto particolare (Corte dei conti, Sez. giur. Regione Sicilia, g febbraio 1962, n. 695).
Sulla scorta di tale impostazione, vengono ritenuti rientranti nella nozione di rapporto di servizio, i funzionari onorari, i componenti dei collegi e i componenti delle commissioni della pubblica amministrazione, anche se estranei ad essa, i funzionari di fatto, gli impiegati dello Stato o di enti pubblici distaccati o comandati presso amministrazioni diverse da quella di appartenenza.
ln altre parole, è necessaria e sufficiente ai fini della responsabilità in questione, l’esistenza di un rapporto comunque prestabilito, alla formazione concorra l’adesione volontaria, anche mediata o indiretta del soggetto e che imponga allo stesso l’obbligo giuridico di agire per il perseguimento dei fini dell’ente.
Alla luce di quanto indicato, la nozione di rapporto di servizio assume un ampio ambito. Esso, pertanto, può configurarsi quando un soggetto sia inserito a vario titolo (volontario, onorario, impiegatizio) nell’apparato organizzativo pubblico e sia investito, anche convenzionalmente, nello svolgimento dell’azione amministrativa.
La responsabilità per danno erariale, quindi, trova il suo ineludibile presupposto nel rapporto di pubblico impiego o in un rapporto di servizio con la pubblica amministrazione.
La responsabilità per danno erariale in virtù di tale ragione, assume natura contrattuale. sia pure con le dovute differenze.
Al riguardo, tuttavia, occorre evidenziare che pur riscontrandosi elementi in comune, non vi è, tuttavia, una perfetta identità tra responsabilità per danno erariale e responsabilità civile.
Le due fattispecie di responsabilità in esame, hanno in comune i presupposti che la condizionano, ovvero la colpa in senso lato, il danno e nesso di causalità. Esse, tuttavia, se ne differenziano per altri aspetti.
La responsabilità per danno erariale, innanzitutto, ha una propria peculiare fisionomia giuridica, essendo connessa al carattere pubblicistico, di cui la responsabilità civile è priva.
Tale peculiarità sancisce a giurisdizione esclusiva della Corte dei conti in materia di responsabilità per danno erariale.
Altra caratteristica che distingue la responsabilità per danno erariale dalla responsabilità civile del diritto comune, è rappresentata dalla riducibilità della misura del danno ammessa per la prima.
Per il diritto civile, sia che si tratti di inadempimento di obbligazione (responsabilità contrattuale ex art. 1229 e ss . del c..), sia che si tratti di atto illecito (responsabilità extra – contrattuale ex artt. 2O43 e ss. del c.c. l’obbligo del risarcimento riguarda tutto il danno causato.
Non costituiscono eccezione a tale regola né il caso in cui il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare (art. 1 226 del c.c.), né il caso in cui il creditore abbia concorso con il suo comportamento colposo a cagionare il danno (art. 1227 del c’c’).
Nel primo caso, infatti, è il giudice che non potendo determinare altrimenti l’ammontare del danno, procede ad una valutazione equitativa di esso.
Nel secondo, viene esclusa dal risarcimento quella parte di danno che è imputabile per colpa dello stesso avente diritto al risarcimento, parte che viene determinata in relazione alla gravità della colpa di costui e all’entità delle conseguenze che ne derivano.
Nel diritto privato, pertanto, la responsabilità è esclusa per una qualsiasi causa esimente o sussiste e in tal caso deve essere risarcito per intero.
Per la responsabilità per danno erariale, il legislatore (art. 83 della legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato, art. 52 del Testo unico delle leggi sulla Corte dei conti), conferisce alla Corte dei conti, nella sua esclusiva giurisdizione, la facoltà di valutare le singole responsabilità e di porre a carico dei responsabili tutto il danno accertato o parte di esso.
ln merito, occorre, tuttavia, chiarire che il potere riduttivo della Corte dei conti non attiene alla fase della determinazione del danno, la cui estimazione va fatta a seguito di una esatta e puntuale individuazione del quantum da risarcire alla pubblica amministrazione, ma interviene solo in momento successivo, onde è da considerarsi piuttosto una parziale rinuncia del credito connessa alla valutazione del giudice contabile.
Altra differenza fra la responsabilità per danno erariale e la responsabilità civile, è riscontrabile nella quantificazione del danno.
La quantità del danno, nella responsabilità per danno erariale, infatti, viene determinata con criteri che si discostano in parte da quelli strettamente giuridici, da cui è normalmente regolata la responsabilità contrattuale.
Nella responsabilità de qua, infatti, si tiene conto non solo al rapporto di causalità giuridica tra il fatto produttivo del danno e il danno, secondo la regola sancita dall’art. 1223 del c.c., ma anche di altri elementi che sono stati elaborati dalla giurisprudenza della Corte dei conti.
Tali elementi, sostanzialmente, possono distinguersi, a secondo se si tratta o meno di circostanze inerenti alla persona del responsabile, in obbiettive e non obbiettive.
Tra le circostanze obbiettive assunte in considerazione, ai fini della responsabilità in questione, sono da ricordare, oltre che, genericamente, tutte le circostanze di tempo e di luogo, le difficoltà che ineriscono all’esercizio delle funzioni o di qualsiasi altra attività; la rilevante mole e la complessità del lavoro svolto; l’insufficienza numerica e l’impreparazione professionale del personale dipendente, nonché l’eccessiva gravosità dei compiti disimpegnati; la particolare delicatezza, onerosità e pericolosità delle prestazioni; l’urgenza del servizio o del lavoro; l’entrata in vigore di una nuova disciplina giuridica della materia trattata.
Per quanto riguarda, invece, le cause non obbiettive, rilevano la conformità a prassi consolidata del comportamento del dipendente; gli ottimi precedenti di carriera; l’eccessivo zelo nell’attività che ha causato il danno; la perizia tecnica dimostrata nei precedenti di carriera; la prontezza ed il lodevole comportamento tenuti dal dipendente, verificatosi il danno, per ovviare alle conseguenze e ridurre la portata; le particolari condizioni personali (es. malattia, stanchezza per il servizio gravoso); la soggettiva coscienza dell’urgenza nell’esecuzione di un ordine superiore; la giovane età dell’autore del danno.
Dalla formulazione del citato art’ 82, ovvero dal richiamo al “danno allo Stato”, possiamo definire il danno erariale, sia pure nella sua formulazione generale, nel deterioramento di bene pubblico facente parte del patrimonio dello Stato o di un ente pubblico, o più precisamente in una diminuzione patrimoniale, causato dalla condotta, colposa o dolosa, del pubblico impiegato.
Essa, pertanto, si configura sostanzialmente in una responsabilità di carattere a contenuto patrimoniale, piuttosto che in responsabilità sanzionatoria.
Parte della dottrina, tuttavia, ha dubitato della natura propriamente risarcitoria della responsabilità per danno erariale, affermando che essa consiste nella irrogazione di una punizione al pubblico dipendente per il suo comportamento contrario al diritto.
ll profilo sanzionatorio della responsabilità per danno erariale, tuttavia, non appare esaustivo, pur non potendosi negare che essa consiste in una sanzione prevista dall’ordinamento (in senso civilistico la condanna del debitore al risarcimento del danno è una sanzione) e che si accomuna alla comminazione di una pena a seguito di un comportamento irregolare.
La natura sanzionatoria della responsabilità per danno erariale tuttavia è in contrasto con una serie di elementi, che portano ad escludere tale configurazione.
La responsabilità de qua intesa come sanzionatoria costituirebbe, in gran parte, una duplicazione della responsabilità disciplinare, la quale si realizza con autotutela. Nella procedura disciplinare, infatti, la pubblica amministrazione esercita direttamente la propria potestà sanzionatoria, senza intervento dell’organo giurisdizionale, il quale può intervenire in via eventuale a seguito di ricorso del soggetto leso.
La natura sanzionatoria, inoltre, comporterebbe l’esercizio del diritto della pubblica amministrazione ad ottenere il risarcimento del danno in sede civile presso il giudice ordinario.
La responsabilità di tipo sanzionatorio, infine, non è direttamente collegata ad un danno effettivo subito dall’erario.

 

  • 3. ll termine prescrizionale

La responsabilità per danno erariale, riconducendosi al rapporto di pubblico impiego, cosi come previsto dall’art. 82 della legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità di Stato, si configura come danno di natura contrattuale.
Al riguardo, la dottrina prima e la giurisprudenza della Corte dei conti successivamente, come si è rappresentato nel paragrafo precedente, hanno ampliato l’ambito di tale presupposto soggettivo, riavendolo anche nel rapporto di servizio con la pubblica amministrazione.
ln particolare, la giurisprudenza della Corte dei conti, ai sensi dell’art. 52 del Testo Unico delle leggi sulla Corte dei conti, ha chiarito che oggetto della propria giurisdizione, sono tutte le controversie relative ai danni patrimoniali arrecati allo Stato per colpa, nell’adempimento dei doveri di servizio, da parte di quei soggetti che tali doveri hanno assunto in virtù di un rapporto particolare.
La dottrina, invece, si richiama, in luogo dell’art. 82 della legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità di Stato, all’art. 18 del D.P.R. 3/1957, ovvero agli obblighi di servizio.
ll suddetto richiamo dottrinale, rileva non solo in merito alla determinazione dell’elemento soggettivo del rapporto d’impiego, ma assume anche una valenza organica in tema di responsabilità per danno erariale.
ln tal modo, infatti, rispetto all’art. 18 dello statuto degli impiegati civili dello Stato, si configura come logica e sistematica conseguenza, la statuizione contenuta nel successivo art. 19.
Detto afticolo prevede che il risarcimento si estingue decorso il termine di prescrizione ordinario previsto dall’art. 2946 del c.c., ovvero dopo dieci anni, anziché decorsi i termini più brevi previsti dall’art. 2947 del c.c.
Tale termine, come vedremo successivamente, è stato modificato dalla legge 14 gennaio 1994, n.20, che ha previsto la prescrizione quinquennale.
ll termine della prescrizione dell’azione per responsabilità per danno erariale, in ogni caso, decorre dalla data dell’evento dannoso.
Per il computo del suddetto termine prescrizionale, occorre, quindi, conseguentemente, stabilire quando si verifica il fatto dannoso, la cui determinazione può essere di non univoca interpretazione. Su tale questione si rimanda al paragrafo 9 alla voce “riduzione del termine prescrizionale”.

 

  • 4. ll danno erariale: gli elementi costitutivi

Nella struttura della responsabilità per danno erariale, distinguiamo l’elemento oggettivo, che è dato dall’antigiuridicità del comportamento, dal conseguente danno e l’elemento soggettivo, costituito dalla sussistenza di un rapporto di impiego, dal processo psicologico (colpa o dolo), quale presupposto di imputabilità e la relazione tra elemento oggettivo e soggettivo (nesso di causalità).
ll danno per essere risarcibile, deve essere economicamente valutabile.
ll caso di scuola, e quindi di più semplice formulazione, è quello in cui il danno trova la propria misura in una determinata somma di denaro equivalente alla misura del danno.
Negli altri casi, è necessario procedere ad una valutazione dell’interesse oggetto del danno.
ll risarcimento, tuttavia, non si limita alla diminuzione patrimoniale subita dallo Stato (danno emergente), ma si estende anche agli aumenti patrimoniali non conseguiti dall’evento dannoso (lucro cessante).
ll danno, inoltre, per essere risarcibile, deve essere effettivo ed attuale e, pertanto, deve essersi già verificato e risultare, altresì, irrecuperabile o irreversibile.
ll danno, infine, può essere diretto, se la condotta antigiuridica abbia prodotto conseguenze negative esclusivamente nei confronti della pubblica amministrazione o indiretto se la pubblica amministrazione abbia dovuto risarcire i terzi danneggiati dal fatto illecito commesso dall’impiegato nell’esercizio delle sue funzioni pubbliche.
Al riguardo, tuttavia, è stato rilevato che è irrilevante ai fini della proponibilità dell’azione di responsabilità, la circostanza che i danni siano stati cagionati allo Stato direttamente o indirettamente, essendo sufficiente che esso abbia subito comunque una menomazione patrimoniale per omesso o irregolare adempimento degli obblighi di servizio.
Per quanto attiene al processo psicologico, distinguiamo il dolo e la colpa.
ll dolo, com’è noto, è caratterizzalo dalla cosciente intenzione del soggetto, mentre la colpa è l’omissione di un dovere di diligenza, senza la volontà malevole di nuocere. L’elemento distintivo tra le due fattispecie è dato, pertanto, dall’intenzionalità, assente nella colpa e propria del dolo.
Nell’elaborazione dottrinale del dolo si è distinto la volontarietà del fatto (c.d. volontarietà della condotta) e la consapevolezza della conseguenza dannosa derivante dal fatto (c.d. consapevolezza di provocare l’evento dannoso).
Tale diversificazione è rilevante, in quanto il dolo eventuale è stato assunto nelle decisioni della Corte dei conti.
Si è affermato, ad esempio per dei militari della Guardia di Finanza impegnati in un controllo fiscale, la sussistenza del dolo eventuale anche se essi non avevano la conoscenza specifica dei vantaggi fiscali conseguenti alla verifica irregolare (Corte dei conti, sez. Umbria, 4 dicembre 2003, n.390).
ln merito alla colpa, il richiamato art 82 della legge sulla contabilità di Stato, come si è visto, parla di azione colposa e non sembra fare alcun riferimento alla gradazione della colpa (grave, lieve e lievissima).
La dottrina (6), al riguardo, ha ritenuto che il pubblico impiegato rispondesse solamente per la colpa grave e lieve, con l’unica esclusione della colpa lievissima.
Si riteneva legittima l’imputazione per colpa lieve, quale conseguenza del carattere contrattuale di detta responsabilità. Sostanzialmente, si affermava che il pubblico dipendente traendo vantaggio e lucro (carriera e retribuzione) dal rapporto con la pubblica amministrazione, era giusto che fosse responsabile anche per la colpa lieve.
La giurisprudenza della Corte dei conti, tuttavia, ha dato luogo ad una interpretazione meno restrittiva, ammettendo l’errore scusabile, sulla scorta dell’errore professionale (art.2236 c.c., in base al quale la responsabilità di un professionista nella sua prestazione d’opera può essere contestata soltanto nei casi di dolo o di colpa grave). La Corte infatti considerava l’errore professionale errore scusabile, solamente se esso dipendeva dalla obbiettiva difficoltà delle norme o nelle ipotesi di irrazionale ed incongrua situazione organizzativa riconducibiIe escIusivamente all’amministrazione.
La controversia circa il grado di colpa per la sussistenza della responsabilità per danno erariale, è stata poi superata alla luce dell’art. 23 del Testo unico 10 gennaio 1957, n. 3. Tale norma, infatti, prevede la colpa grave, per la responsabilità verso terzi per gli atti compiuti dal pubblico dipendente.
Tale articolo, tuttavia, ha suscitato un ampio dibattito che giungeva a porre la legittimità costituzionale della stessa norma.
In particolare, si affermava la questione della legittimità costituzionale dell’art.23 del Testo unico 10 gennaio 1957, n. 3 (e conseguentemente dell’art. 22 dello stesso), in riferimento all’art. 28 della Costituzione.
Sostanzialmente, si eccepiva il contrasto fra il tipo di colpa lieve che è alla base della responsabilità dello Stato per il danno civile arrecato ai terzi dai propri dipendenti e la colpa grave previsto dal richiamato art. 23 a fondamento della responsabilità di questi ultimi.
In merito, la Corte dei conti (Sez. l, 11 febbraio 1975, n. 17), investita della legittimità costituzionale per asserito contrasto con gli art. 3,24 e 28 della Costituzione dell’art. 22 del predetto testo unico, dichiarava la questione manifestatamene infondata. ln particolare, la legittimità costituzionale del richiamato art. 22 veniva sollevata, in quanto tale norma riconosce al terzo danneggiato la facoltà di proporre l’azione di risarcimento congiuntamente contro l’impiegato autore del danno e la pubblica amministrazione che abbia risarcito il terzo del danno cagionato dal dipendente, il diritto di rivalersi contro quest’ultima.
Al riguardo, la Corte rigettava la questione, in quanto l’art. 28 della Costituzione, pone sullo stesso piano, nei confronti dei terzi lesi, la pubblica amministrazione e i dipendenti, i quali ne concretano, esplicandola, l’attività, senza obbligo di una comune chiamata in causa.
D’altra parte, occorre anche considerare se nel campo privatistico i soggetti conservano una ampia disponibilità di autodeterminazione in ordine ai rapporti in cui intervengono ed alle azioni che autonomamente compiono, diversa è la situazione nella pubblica amministrazione. Nell’ambito pubblicistico, infatti, il dipendente è inserito in un’organizzazione, caratterizzata da un’accentuata articolazione, sotto il profilo decisionale e la sottoposizione ad un sistema caratterizzato dal rapporto di gerarchia, rendendo assai difficile l’estrinsecarsi della volontà in senso conforme alle soggettive valutazioni.
La citata decisione della Corte dei conti, tuttavia, non risolveva del tutto la questione. Rimaneva, infatti, la problematica connessa al fatto che il pubblico dipendente risponde per colpa grave nei confronti dei terzi, mentre risponde per colpa, e quindi per colpa lieve, nei confronti dell’amministrazione stessa (art. 82 della legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato).
La questione sembrerebbe superata con l’art. 3, comma 1, lettera a) del D.L. 23 ottobre 1996, n. 543 (recante “Disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti”), il quale “limita la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave”.
Per tale aspetto, tuttavia, la norma, è stata oggetto del giudizio di legittimità costituzionale, per contrasto agli artt. 3, 97 e 103, secondo comma, della Costituzione.
La Corte Costituzionale, con sentenza n. 371, del 20 novembre 1998, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale.
In merito, rileva “che la norma denunciata si colloca nel quadro di una nuova conformazione della responsabilità contabile, ispirata “alla finalità di determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo, e non di disincentivo”.
Ultimo elemento della responsabilità per danno erariale, è il nesso di causalità tra il danno e la colpa. Il problema del nesso di causalità, com’è noto, ha trovato ampia trattazione nel campo del diritto penale.
Nel campo della responsabilità per danno erariale, la Corte dei conti si è adeguata alla teoria della causa efficiente, ammettendo la responsabilità quando sia possibile accertare un rapporto diretto ed immediato di causalità tra comportamento colposo del pubblico dipendente ed il danno erariale.
Non è, pertanto, rilevante per dar luogo alla responsabilità per danno erariale, una infrazione qualsiasi o generica. Occorre, invece, la dimostrazione certa ed inoppugnabile che tra l’infrazione e l’evento che ha determinato il danno erariale, sussista un rapporto diretto ed immediato di causa ad effetto o, altrimenti, che detta causa abbia, in qualche modo, potuto influire a produrre il danno.
D’altro canto, anche se nell’accertamento della responsabilità per danni non è possibile risalire da causa a causa fino ai fatti remoti, è pur vero che non può non tenersi conto di quelle cause, anche non immediate, che siano in evidente nesso causale con l’evento, sempre che esse siano di eguale valore od equivalenti di queste ultime, dando luogo ad un rapporto di concatenazione o di inscindibilità tale da potersi affermare che se quei fatti non fossero stati posti in essere l’evento dannoso non si sarebbe verificato.

 

  • 5. La divisibilità del danno e la responsabilità solidale

L’art. 82, comma2, della legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità di Stato, sancisce il principio della divisibilità del danno risarcibile.
Detta norma, infatti, prevede che “quando l’azione o l’omissione è dovuta al fatto di più impiegati, ciascuno risponde per la parte che vi ha presa, tenuto conto delle attribuzioni e dei doveri del suo ufficio, tranne che dimostri di aver agito per ordine superiore che era obbligato ad eseguire.
La norma, quindi, stabilisce un principio di ripartizione del danno, quando alla produzione dell’evento dannoso abbiano partecipato più soggetti, sancendo che ognuno risponde nella misura in cui ha concorso al danno.
ll suddetto principio di ripartizione o divisibilità del danno, ha posto il problema se anche in materia di responsabilità per danno erariale, possa sussistere il principio di solidarietà passiva di matrice civilista.
Nel diritto privato, infatti, in presenza di più soggetti responsabili di danni, derivanti da inadempienza contrattuale o da atti illeciti, essi sono solidalmente obbligati a risarcirli (art. 1292 e ss. e art. 2055 del c.c.).
ln altre parole, si pone il problema della compatibilità dell’obbligazione solidale, con il principio della ripartizione del danno, prevista dal richiamato art. 82, comma 2, della legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità di Stato.
Al riguardo, la giurisprudenza della Corte dei conti, ha ritenuto, sostanzialmente, che il principio della solidarietà passiva fra più condebitori, per il carattere generale che riveste, deve trovare applicazione in ogni situazione di responsabilità patrimoniale, ovvero sia che essa derivi da un rapporto di diritto privato sia’che consegua da un rapporto di diritto pubblico.
ll vincolo di solidarietà passiva non si pone in contrasto con il principio della ripartizione del danno, in quanto della diversa condotta tenuta dal pubblico impiegato nella determinazione del danno si tiene conto nello stabilire la misura dell’addebito del danno.
La ripartizione del danno, in altre parole, consente, fermi restando il vincolo solidale e la facoltà della pubblica amministrazione di escutere i condebitori nell’ordine che ritenga più opportuno, la discriminazione delle responsabilità, ai fini della determinazione del quantum da porre a carico del singolo coobbligato, in ragione della efficienza causale del fatto concorrente a ciascuno imputabile.
D’altra parte il principio della solidarietà, costituisce una oggettiva garanzia per la pubblica amministrazione, il cui vantaggio appare irrinunciabile. Tale principio, infatti, tutela la pubblica amministrazione sia in termini di esigibilità che per una più rapida realizzazione del credito.

 

  • 6. ll potere di riduzione dell’addebito

Una delle peculiarità della responsabilità per danno erariale, come si è visto, è costituita dal cosiddetto potere della Corte dei conti di riduzione dell’addebito.
Esso trova il suo fondamento nell’art. 52 del Testo Unico delle leggi sulla Corte dei conti n. 1214 del 1934.
ll citato articolo prevede che la Corte dei conti, valutando le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto.
Tale potere è, poi, sancito anche dall’art. 19 del Testo Unico del 10 gennaio 1957.
ll potere di riduzione dell’addebito, consiste in una parziale rinuncia del credito, non ad opera del creditore, ma quale conseguenza della valutazione del giudice contabile.
L’esercizio del suddetto potere, pur nella sua discrezionalità, deve, chiaramente, essere motivato.
ll giudice contabile, nel suo prudente apprezzamento, deve tener conto della situazione oggettiva nella quale il soggetto responsabile ha operato, nonché della situazione soggettiva concernente l’attività stessa del responsabile.
ll potere di riduzione, infatti, trova una sua ragione nella considerazione che la responsabilità per danno erariale, consegue anche dalla violazione dei doveri di custodia e di fedeltà dell’agente. Tale comportamento, conseguentemente, deve essere valutato nel contesto ambientale in cui l’evento dannoso si è verificato.

 

  • 7. La responsabilità verso terzi

La responsabilità dei pubblici dipendenti verso i terzi, implicando la possibilità del coinvolgimento e della conseguente responsabilità della pubblica amministrazione, ha dato luogo ad un ampio e controverso dibattito in sede dottrinale e giurisprudenziale.
Tale dibattito ha dato luogo, sostanzialmente, a due tesi.
Una prima tesi afferma che i pubblici impiegati in qualunque caso, e mai quindi lo Stato, rispondono dei danni verso terzi arrecati nell’esercizio delle loro funzioni. Si afferma, in altre parole, che essendo il danno provocato dalla negligenza del pubblico impiegato, sarebbe antigiuridico riversare il danno sullo Stato, la cui attività, per definizione, è volta a soddisfare le esigenze collettive.
Secondo l’altra tesi, invece, è lo Stato a dover rispondere verso i terzi per i danni provocati dal pubblico dipendente, in quanto esso agisce sempre in nome e per conto dello Stato. Conseguentemente, è ingiusto sottrarre lo Stato, in ordine a tale operato, al principio di colpa (in eligendo o in vigilando), in base al quale tutti i privati rispondono per i propri dipendenti.
Tale dibattito è stato, poi, superato, con l’art. 28 della Costituzione che stabilisce: “l funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi civili, penali e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti”.
In tali casi la responsabilità si estende allo Stato e agli enti Pubblici.
La norma costituzionale, tuttavia, prevedendo la responsabilità diretta del pubblico impiegato da un lato e dall’altro l’estensione della responsabilità civile dell’Amministrazione, non chiarisce l’ambito di tale estensione.
Al riguardo, tuttavia, dovrebbe rilevare la responsabilità diretta dell’Amministrazione, così come emerge dai lavori preparatori dell’Assemblea costituente, oltre che dall’elemento lessicale della norma, che “estende” allo Stato e agli enti pubblici la responsabilità degli impiegati.
ln ogni caso, la responsabilità della pubblica amministrazione, è subordinata all’accertamento della responsabilità dell’ impiegato.
Quest’ultima, quindi, costituisce il presupposto per la responsabilità della pubblica amministrazione.
ln considerazione di tale presupposto, si supera l’obbiezione della mancanza dell’elemento soggettivo, di cui la persona giuridica è priva.
Infatti se è vero che la pubblica amministrazione, come qualsiasi persona giuridica, pubblica o privata, non essendo una persona fisica, non può compiere atti di natura psichici e, di conseguenza, l’indagine psichica diretta per accertare l’elemento soggettivo dell’illecito, si dimostra impossibile; è altrettanto vero che l’ordinamento giuridico di uno Stato può stabilire che sia sufficiente e idonea la dimostrazione dell’elemento soggettivo (volontarietà dell’atto) nella persona fisica che opera come organo dell’ente, per far risalire all’ente stesso l’imputabilità delle azioni od omissioni commesse dalla persona fisica.
La responsabilità dell’impiegato verso i terzi, come si è visto, si estende alla pubblica amministrazione, la quale è costretta a risarcire il danno, ma a sua volta si rivale verso il proprio impiegato, autore del danno.

 

  • 8. ll risarcimento del danno non patrimoniale

La giurisprudenza della Corte dei conti, accanto alla figura tradizionale di danno come diminuzione patrimoniale, ha elaborato altri tipi di danno, che pur avendo un contenuto patrimoniale (in quanto connessi ad un interesse comunque suscettibile di valutazione economica e quindi produttivi di uno svantaggio economico), non sono di natura patrimoniale in senso stretto o diretto.
Rientra in tale elaborazione giurisprudenziale, ad esempio, il danno all’immagine, che si sostanzia fondamentalmente nella lesione al prestigio e all’onore dell’ente dinanzi all’opinione pubblica, nonché nella compromissione del rapporto di trasparenza, fiducia e lealtà che la pubblica amministrazione deve garantire ai cittadini ed in generale alla collettività. È evidente, infatti, che comportamenti illeciti dei pubblici funzionari discreditano la pubblica amministrazione, ponendo in dubbio i principi di legalità e di legittimità, nonché di imparzialità, a cui la sua azione deve uniformarsi nello svolgimento.
La configurazione di nuove fattispecie di danno erariale, dal contenuto non propriamente patrimoniale, ha tuttavia posto il problema della risarcibilità del danno.
La risarcibilità dei danni non patrimoniali, trova un riferimento normativo nell’art. 2059 del c.c. La suddetta norma, tuttavia, prevede la risarcibilità di tali danni solo nei casi determinati dalla legge. Nel nostro ordinamento manca un’apposita norma che prevede il risarcimento dei danni non patrimoniali, ad esclusione dell’art. 185 del codice penale. La norma penale, però, prevede il risarcimento per i soli danni derivanti da reato.
Si pone, pertanto, il problema della risarcibilità del danno non patrimoniale al di fuori della fattispecie criminosa.
Tale situazione è stata superata in sede di elaborazione giurisprudenziale.
Al riguardo, infatti, la Corte, a sezioni riunite, con Sent. 23 aprile 2003, n.1O/2003/QM, ha affermato che “ll danno all’immagine di una pubblica amministrazione non rientra nell’ambito di applicabilità dell’art. 2059 del c.c. ma è una fattispecie del danno esistenziale”.
Successivamente, la Corte di Cassazione (sentenze del 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828), ha dato luogo ad un’interpretazione dell’art. 2055 del c.c., volta a ricomprendere nell’astratta previsione della norma ogni danno non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona. Si ricomprendono in tal modo il danno morale soggettivo, inteso come turbamento dell’animo della vittima; il danno biologico in senso stretto, quale lesione all’integrità psicofisica della persona; il danno esistenziale, derivante dalla lesione di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona.
Alla luce della suddetta elaborazione giurisprudenziale, si può affermare in materia di responsabilità per danno erariale, che vi è un ampliamento della nozione del danno, al fine di ricomprendervi qualsiasi pregiudizio degli interessi fondamentali della collettività, nei confronti della quale lo Stato assume gli obblighi di tutela e protezione, purché suscettibili di valutazione economica.
ll fondamento del risarcimento del danno, è pertanto, da rinvenirsi nella lesione di beni comuni a tutti e come tali patrimoniali in senso ampio.
ln tale contesto si inserisce il danno esistenziale, quale mancanza di attività non remunerativa, ma fonte di soddisfazione, compiacimento e in generale di benessere.
ll danno esistenziale, quindi, assume la valenza di una fattispecie generale e distinta dal danno biologico, dal danno morale e dal danno patrimoniale.
ll danno biologico consiste in un peggioramento della qualità della vita del danneggiato, causato da una lesione fisica o psichica. ll danno esistenziale, invece, sussiste indipendentemente da una lesione fisica o psichica.
ll danno morale consiste in una sofferenza morale, in una prostrazione dell’animo, in un abbattimento dello spirito. ll danno esistenziale prescinde dalla predetta sofferenza e consiste nella rinuncia di una attività concreta.
ll danno patrimoniale consiste in una diminuzione patrimoniale, mentre il danno esistenziale prescinde dalla riduzione della capacità reddituale.
ll danno esistenziale, in conclusione, si configura come una fattispecie aperta, quale danno reddituale e comprensivo di qualsiasi lesione di attività esistenziali del danneggiato (7).
Le attività non remunerative, d’altra parte, costituiscono un interesse dell’individuo tutelato dall’ordinamento (la Costituzione riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità) e la loro lesione costituisce un danno ingiusto e come tale risarcibile ai sensi dell’art. 2043 del c.c.

 

  • 9. La nuova disciplina

ll legislatore, con la riforma del 1994 (leggi nn. 19 e 20) e del 1996 (L. 639), ha inteso introdurre una normativa sistematica volta ad unificare le diverse fattispecie di responsabilità.
Per quanto attiene, l’argomento in esame, la legge 14 gennaio 1994, n. 20, introduce una serie di princìpi, in parte innovativi rispetto alla precedente normativa.

 

  • 9.1 ll principio della personalità della responsabilità

La nuova normativa introdotta dalla L. 20/1994 in esame, sancisce, innanzitutto il principio della personalità della responsabilità.
L’art. 1 , comma 1, di detta legge, infatti prevede: “La responsabilità dei soggetti sottoposti . alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, ferma restando l’insidacabilità nel merito delle scelte discrezionali. ll relativo debito si trasmette agli eredi secondo le leggi vigenti nei casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi”.
La norma in esame, quindi, viene ad innovare profondamente la materia della responsabilità de qua.
Prima, infatti, di detta formulazione, gli eredi del pubblico dipendente al quale era imputato un danno erariale, nello svolgimento del proprio rapporto di servizio, erano considerati soggetti passivi dell’azione di responsabilità.
Tale configurazione derivava dalla posizione di successore, Ia quale si sostanzia nella titolarità di diritti ed obblighi che all’erede deriva dal precedente titolare.
ll principio della personalità della responsabilità sancito da detta norma, sotto un profilo di carattere generale, trova il suo fondamento nella difficoltà da parte degli eredi del pubblico dipendente a difendersi nei confronti della pretesa della pubblica amministrazione. Difficoltà, che in alcuni casi, diviene impossibilità, qualora la responsabilità venga a realizzarsi dopo un lungo tempo dal momento in cui è stata posta in essere l’attività che ha dato luogo all’evento dannoso per la pubblica,amministrazione.
La ratio della norma, quindi, va ravvisata nella tutela di difesa degli eredi del dipendente pubblico che ha dato luogo al danno e trova il suo fondamento nell’art. 24 della Costituzione.
La giurisprudenza della Corte dei conti, si è occupata della questione a vario titolo, affermando al riguardo il principio di irretroattività della norma in esame.
La giurisprudenza della citata corte, inoltre, ha sancito la necessità di verificare la sussistenza dei requisiti posti dalla norma, con particolare riferimento all’indebito arricchimento degli aventi causa nell’ambito del rapporto successorio, nonché la totale copertura della norma medesima nei confronti della responsabilità c.d. “amministrativa” come “contabile.
Ne consegue, pertanto, che l’azione amministrativa non può essere esercitata, per carenza di legittimazione passiva, nei confronti di quegli eredi a carico dei quali non risulta provato f indebito arricchimento a seguito dell’illecito arricchimento del dante causa (Sez. Giurisdiz. Puglia, sent. n. 16 del 15 febbraio 1995).
Sul piano processuale, invece la giurisprudenza della Corte, ha ritenuto che la mode di uno dei convenuti non causi l’interruzione del processo, ove ricorre l’ipotesi di intrasmissibilità del debito agli eredi (Sez. App. lll, sent. n.97 del27 marzo 19e8).

 

  • 9.2 ll principio di esclusione della solidarietà

L’articolo in esame, al comma 1-quater, prevede che se il fatto dannoso è causato da più persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso.
Tale formulazione riproduce sostanzialmente il dettame dell’art. 82 della legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità di Stato, che prevede appunto la ripartizione del debito.
Al riguardo, come si è visto, la giurisprudenza della Corte dei conti, si era espressa, invece, per il vincolo di solidarietà, trattandosi di un principio a carattere generale.
ll legislatore, in considerazione di ciò, coerentemente con il principio della responsabilità personale, definisce l’ambito di ripartizione del danno erariale, al successivo comma 1-quinques.
Detto comma, infatti, esclude la ripartizione del danno e prevede, quindi, la solidarietà passiva, qualora i soggetti che hanno cagionato il danno abbiano agito con dolo o abbiano conseguito un illecito arricchimento.
Al di fuori di tali ipotesi, ciascuno risponde per la parte che vi ha preso, con una perfetta corrispondenza tra apporto causale ed evento dannoso.
In merito alla questione dell’esclusione del vincolo di solidarietà, previsto dalla L. 20/1994, è stata investita anche la Corte Costituzionale.
La suddetta Corte, infatti, è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1-quínques, della L. 20/1994, per contrasto agli artt. 3, 23,24, primo comma, 28 e 97, primo e secondo comma, della Costituzione.
ln merito, la Corte Costituzionale, con Sentenza n. 453 del 30 dicembre 1998, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale.
In detta sentenza, la Corte Costituzionale, ha osservato che se la solidarietà passiva costituisce un principio generale, occorre tener conto della nuova conformazione dell’istituto della responsabilità amministrativa e contabile.
Precisando al riguardo, che nel quadro di tale nuovo ordinamento il legislatore, in caso di danno cagionato da più persone, ha dettato una disciplina dei rapporti fra i corresponsabili tale da renderla più aderente, come emerge dai lavori parlamentari, alla misura della partecipazione avuta da ciascun dei vari soggetti nella causazione dell’evento dannoso, disponendo che la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanni “ciascuno per la parte che vi ha preso” (art.1, comma-quater, della L. 20/1994), salva l’ipotesi in cui i concorrenti “abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo”, nel qual caso essi sono invece “responsabili solidamente”, così come espressamente dispone il successivo comma 1-quinques.

 

  • 9.3 ll principio di insindacabilità delle scelte tecniche

L’articolo in esame, inoltre, introduce la limitazione dell’insidacabilità nel merito delle scelte discrezionali.
Al riguardo, un’interpretazione meramente letterale della norma, porterebbe nell’individuazione del limite di cognizione nell’accertamento e nell’eventuale attribuzione di responsabilità nei soli casi di violazioni di disposizioni regolanti l’azione amministrativa, senza peraltro incidere nella libera determinazione della pubblica amministrazione della scelta dei propri fini e delle modalità e dei tempi attraverso i quali raggiungerli.
ll sindacato giurisdizionale della Corte dei conti, pur non potendosi estendere alla scelta discrezionale in quanto tale, ma può e deve investire la logicità della scelta, avendo come parametro di valutazione la missione della pubblica amministrazione, nonché le modalità attraverso Ie quali tale scelta si esplica e si concretizza (8).
La Corte dei conti, pertanto, deve valutare la razionalità e Ia congruità dei comportamenti, spaziando nell’ambito dall’accertamento compiuto dei fatti, del loro ragionevole apprezzamento, della coerenza della condotta, della completezza della motivazione (Sez. App. ll, sent. n, 212 del 26 giugno 2002).

 

  • 9.4 L’elemento soggettivo

La normativa in esame non presenta elementi innovativi per quanto attiene all’elemento soggettivo richiesto per l’imputazione della responsabilità de qua.
In particolare, l’art. 1, comma 1, conferma che l’elemento soggettivo in questione, è costituito dalla colpa grave o dal dolo.
ll requisito della colpa grave, con esclusione di quella lieve, come si è visto, era già stata prevista dall’art. 23 del Testo unico 10 gennaio 1957, n.3.

In particolare, l’art. 1, comma 1, conferma che l’elemento soggettivo in questione, è costituito dalla colpa grave o dal dolo.
ll requisito della colpa grave, con esclusione di quella lieve, come si è visto, era già stata prevista dall’art. 23 del Testo unico 10 gennaio 1957, n.3.

 

  • 9.5 ll principio del vantaggio conseguito dall’Amministrazione

L’art. 1 , comma 1-bis della L. 20/1994, stabilisce: “Nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei pubblici soggetti al giudizio di contabilità.
La norma, introduce, un’ipotesi specifica nella determinazione del danno erariale, ovvero che la fattispecie presenti la peculiarità di un vantaggio qualunque, anche indiretto, conseguito dalla pubblica amministrazione dalla condotta che ha causato il danno.
Al riguardo, occorre preliminarmente evidenziare che non appare conforme all’istituto in questione, la “compesatio lucri cum danno” di cui all’art. 1223 del c.c.
Per la fattispecie prevista dal richiamato articolo del c.c., infatti, occorre accertare che l’arricchimento sia effettivamente esistente ed accertabile, oltre che a derivare dallo stesso fatto che ha generato l’addebito contestato.
In ogni caso, non può non rilevarsi che il vantaggio comunque ricevuto dalla pubblica amministrazione, , derivi da un fatto illecito.
La giurisprudenza della Corte dei conti (9) , al riguardo, ha delineato l’interpretazione della norma in questione, affermando che il tener conto dei vantaggi conseguiti dalla pubblica amministrazione, non può consistere in una mera operazione contabile tra effetti vantaggiosi dalla stessa e condotta illecita posta in essere.
ll tener conto dei vantaggi conseguiti, quindi, equivale ad individuare, in maniera oggettiva, il vero danno imputabile, inserendo lo stesso nel contesto generale dei fini istituzionali propri della singola amministrazione interessata.
Al riguardo, eloquente è la seguente sentenza della Corte dei conti: “la fornitura – in assenza di regolare contratto – di stampati e moduli vari da utilizzare nel normale svolgimento dell’attività amministrativa può essere considerata “arricchimento” indennizzabile in esito a legittimo apprezzamento della utilitas, ove la prestazione acquisita e riconosciuta utile, attenga a servizi essenziali ed urgenti che il comune avrebbe dovuto comunque assicurare, tenuto altresì, conto che il prezzo pagato non risulti superiore a quello che si sarebbe dovuto corrispondere in presenza di una regolare procedura di contrattazione” (Sez. Giurisdiz. Sicilia, sent. n. 201 del 1″ luglio 1997).

 

  • 9.6 La riduzione del termine prescrizionale

L’art.2 della L.20/1994, introduce il termine prescrizionale di cinque anni per il risarcimento, in luogo della prescrizione ordinaria di dieci anni, prevista, come si è visto, dall’art. 19, comma. 3, dello statuto degli impiegati civili dello Stato D.P.R. 3/1957.
La prescrizione pone il problema della decorrenza, ovvero della fissazione del “dies a quo”. Occorre, infatti, stabilire da quando si intende verificato il fatto dannoso, per il computo della prescrizione.
Al riguardo, si rappresenta sinteticamente che la dottrina ha elaborato, sostanzialmente, due teorie: quella della condotta e quella dell’effettività del danno.
La teoria della condotta tiene conto del momento in cui il comportamento pone in essere i presupposti necessari per il verificarsi successivamente del danno.
La teoria dell’effettività del danno, invece, fissa la decorrenza del computo del termine prescrizionale, al momento in cui riverifica materialmente il danno.
Al riguardo, la Cassazione (Sez. lll, Sent. n. 8845 del 12 agosto 1995), ha stabilito che è la conoscibilità, intesa come manifestazione esteriore del danno, a determinare la fissazione del termine di decorrenza della prescrizione.
Nel caso di comportamento omissivo, conseguentemente, la prescrizione decorre dal momento in cui scade il termine di esercizio del diritto, illecitamente omesso (Corte dei conti, Sez. ll, Sent. n. 122 del 24 aprile 1998).
Alla luce di quanto esposto, ne deriva che la decorrenza del termine prescrizionale, nel caso di danno non propriamente patrimoniale, ovvero di danno all’immagine della pubblica amministrazione, è da rinvenire nel clamor fori. In tal caso, il dies a quo è riscontrabile nel momento in cui la notizia diventa di dominio pubblico.
ln riferimento all’interruzione dei termini prescrizionali, infine, occorre rilevare che la costituzione di parte civile della pubblica amministrazione nel giudizio penale, costituisce effetto interruttivo permanente.
Altro effetto di interruzione del predetto termine, è rappresentato dalla messa in mora del dipendente, da parte della pubblica amministrazione.
L’atto di messa in mora deve, tuttavia, indicare la responsabilità del soggetto in ordine ad una fattispecie identificata.

 

  • 10. Breve disamina della giurisprudenza in materia di colpa nella responsabilità per danno erariale

Nel corso del presente esame, uno degli elementi più controversi, oggetto di dibattito dottrinale e giurisprudenziale, è, come si è visto, certamente l’elemento soggettivo della colpa.
In particolare, tale elemento ha suscitato ampie discussioni circa la sua gradazione, ai fini di determinare l’imputabilità del soggetto che ha cagionato il danno erariale.
La controversia nasce dalla formulazione dell’art. 82, primo comma, della legge sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità di Stato, dove l’espressione “anche solo colposa”, può far protendere che l’assunzione giuridica della colpa sia anche quella lieve.
Diversamente, il legislatore non avrebbe utilizzato la locuzione “anche” e avrebbe espressamente previsto l’imputazione solamente per la colpa grave.
Prescindendo dal dibattito dottrinale e dall’orientamento degli altri organi giurisdizionali, di cui si è dato, tra l’altro, rappresentazione, appare opportuno evidenziare il decorso della Corte Costituzionale sulla questione.
La Corte Costituzionale, infatti, è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale, sia pure in diversi aspetti, della imputabilità della colpa grave in materia di responsabilità per danno erariale, più volte.
Le prime pronunce della Corte Costituzionale, si caratterizzano come casi di limitazione della responsabilità per danno erariale alle ipotesi di colpa grave.
La Corte, infatti, con Ia sentenza n. 54 del 5 marzo del 1975, limita la responsabilità per danno erariale alla colpa grave (e chiaramente al dolo), relativamente al Presidente ed ai componenti del consiglio di amministrazione dell’Università.
Al riguardo, infatti, afferma che tale limitazione trova la sua giustificazione in duplice ordine di motivi.
Innanzitutto essi svolgono la propria attività gratuitamente e, inoltre, sono presenti anche soggetti (come, ad esempio, i rappresentanti degli enti privati dei contribuenti), per i quali la legge non richiede alcuna capacità e, quindi, non è coerentemente esigibile – nell’esercizio di una gestione economica e finanziaria, quale ò, appunto, l’attività di amministrazione in questione – un grado massimo di diligenza.
La Corte Costituzionale, quindi, ravvisa nel caso in specie una giustificazione della limitazione della responsabilità de qua alla colpa grave, sostanzialmente in base ad un principio di ragionevolezza.
Con la Sentenza n. 164 del 19 ottobre del 1982, invece” la Corte Costituzionale, rinviene il fondamento della limitazione della responsabilità per danno erariale, sulla non rilevanza del grado di colpa, il quale non costituisce una costante del sistema in tema di responsabilità.
Solo nel 1998, con la sentenza n. 1032 del 27 ottobre, si introduce una limitazione all’imputazione in questione, che assume una valenza generale e non strettamente connessa alla fattispecie in esame.
ln detta sentenza, infatti, la Corte (chiamata a rispondere sulla legittimità dell’ar1′ 52, comma primo, della legge regione siciliana n. 7 del 1971 – che limita la responsabilità degli impiegati regionali ai soli casi di dolo o colpa grave), stabilisce un principio, il cui ambito di applicazione va ben al di là della fattispecie esaminata.
La Corte, al riguardo, afferma “che la disposizione censurata è ragionevolmente volta a garantire (con ciò attenuando anche le esigenze sub artt. 97 e 103 Cost.) un pò più efficiente e sollecito svolgimento dell’azione amministrativa da parte degli uffici della Regione, senza intaccare sostanzialmente il principio di responsabilità dei dipendenti verso l’Ente di appartenenza”.
La Corte, pertanto, implicitamente afferma la necessità che, per i singoli dipendenti pubblici, la responsabilità non costituisca una preoccupazione tale da frenare l’attività amministrativa e fungere in tal modo da disincentivo. La Sentenza n. 1032/1998 in questione, pertanto, appare una tappa importante, in quanto, indubbiamente, segna una svolta, in tema di valutazione della colpa nella responsabilità per danno erariale.
Principio che viene ripreso successivamente dalla Corte nella Sentenza n. 371l1999.
La Corte Costituzionale, infatti è investita nuovamente sulla questione della legittimità costituzionale della limitazione della responsabilità per danno erariale alla colpa grave.
La Corte, è chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, letta a) del D.L. 23 ottobre 1996, n. 543, recante “Disposizioni urgenti in materia di ordinamento della Corte dei conti”, per asserito contrasto agli artt. 3, 97 e 103, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui “limita la responsabilità dei soggetti alla giurisdizione della Corte dei conti ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave”.
In detta sentenza, la Corte riprende il principio, per cosi dire, del timore della responsabilità per danno erariale, precisandone ulteriormente la ragione d’ambito.
Al riguardo, infatti la Corte afferma che la norma oggetto del giudizio di legittimità si colloca nel quadro di una nuova conformazione della responsabilità amministrativa e contabile. Conseguentemente: “la disposizione risponde, perciò, alla finalità di determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo, e non di disincentivo.

 

Note
(1) ll termine di agente è una espressione generica ed è usata nella pubblica amministrazione, non solo in riferimento ai contabili, ma anche per indicare chiunque sia incaricato di una specifica funzione amministrativa, come ad esempio l’agente della riscossione, l’agente ordinatore di spese, l’agente pagatore, ecc.
(2) L’agente contabile risponde di tutti i beni avuti in consegna, anche se appartenenti a terzi. Egli, infatti, è responsabile sia penalmente che amministrativamente. In via penale per peculato, in via amministrativa per sottrazione di beni di cui lo Stato non sia proprietario, ma ne abbia la custodia o il possesso. Ciò in ragione del fatto che quando il denaro o altre cose mobili sono entrati nel potere della pubblica amministrazione, la quale avendone la disponibilità ne risponde verso i terzi, è irrilevante che il denaro o le altre cose mobili siano di proprietà private, in quanto la pubblica amministrazione è comunque danneggiata da tale sottrazione.
(3) In Tema di responsabilità patrimoniale degli impiegati dello Stato, in Riv. Corte dei conti, 1954, l, p. 4.
(4) Cass., Sez. Un., 16 giugno 1955, n. 1830; Cass., Sez. Un., 18 aprile 1958, n. 1290; Cass., Sez. Un.,5 febbraio 1969, n. 363.
(5) Corte dei conti, Sez. riun., 7 gennaio 1952, n. 29; Corte dei conti, Sez. giur., regione Sicilia, I febbraio 1962, n. 695; Corte dei conti, Sez. l, 30 marzo 1976, n. 35.
(6) Bennati A., Manuale di contabilità di Stato, Napoli, 1990.
(7) Orefice M., Manuale di contabilità pubblica, Direkta Editori, 2003.
(8) Quanto indicato, sembra avvalorato anche dalla giurisprudenza della Corte dei conti: Sez. Giur. Fruili Venezia Giulia, Sent. n. 7 del 22 gennaio 2002; Sez. App. ll, Sent. n. 212 del 26 giugno 2002; Sez. Giur. Sicilia, Sent. n. 1362 dell’8 luglio 2002.
(9) Al riguardo, la Corte è intervenuta più volte, con un orientamento univoco. Si indicano alcune decisioni a titolo esemplificativo: Sez. Gir. Regione Sardegna n. 168 del S marzo 1997; Sez. Riun. Sent. n. 1 del 7 gennaio 1998.

 

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